Il principio di Creazione nell’arte e nella letteratura

Joseph Haydn, noto compositore austriaco del Settecento, è considerato il padre della sinfonia e del quartetto d’archi, nonché uno dei più importanti fondatori dello stile classico. L’oratorio La Creazione, che si apre con la celebrazione del caos primordiale, può essere considerato il suo più grande capolavoro, l’opera in cui Haydn esprime tutta la propria padronanza del linguaggio musicale.

La Creazione ha riscosso un enorme successo durante gli anni delle sue prime rappresentazioni; è stata tradotta in molte lingue, per poi essere eseguita nei teatri di tutta Europa. E per quanto nel corso dei diversi periodi storici sia stata tanto derisa quanto osannata, oggi è una delle composizioni più amate di Haydn.

Nel 1791, ispirato da un festival durante il quale un gruppo di mille musicisti eseguì le opere sacre di Georg Friedrich Händel (come il Messia e Israele in Egitto), Haydn decise di cimentarsi a sua volta nella scrittura di un oratorio sacro, un’opera che sarebbe stata eseguita nei secoli a venire.
Secondo alcune testimonianze, l’amico François-Hippolyte Barthélémon, indicando una Bibbia, suggerì a Haydn di prenderla e di cominciare a raccontarla dall’inizio. Altre fonti sostengono che prima che Haydn lasciasse Londra nel 1795, l’impresario Johann Peter Salomon gli abbia consegnato un libretto intitolato La Creazione del Mondo. Il testo era stato pensato per Händel mezzo secolo prima, ma il compositore lo aveva giudicato troppo lungo per essere messo in musica.

Poi Haydn passò il libretto al barone Gottfried van Swieten, bibliotecario imperiale di Vienna, che incoraggiò il progetto e si occupò del testo sia in inglese che in tedesco. L’opera trae spunto dal libro della Genesi, dal Paradise Lost di John Milton e da vari salmi, per raccontare i mitici giorni della Creazione.

Haydn impiegò almeno un anno e mezzo per scrivere La Creazione. In una lettera di risposta alle continue richieste di completare il lavoro, il compositore scrisse che non poteva accelerare gli sforzi necessari per terminare un’opera del genere e in seguito commentò: «Non ho mai pregato tanto come durante la composizione de La Creazione. Ogni giorno mi inginocchiavo e imploravo Dio di darmi la forza per portare a termine con successo quello che avevo iniziato».

L’oratorio inizia con la Rappresentazione del Caos nel primo movimento, con armonie e melodie fuori dai canoni dello stile classico, poi cresce fino a un inevitabile climax nel momento in cui Dio dichiara «Sia fatta la luce», con l’orchestra e il coro che innescano una potente esplosione di suoni. È a questo punto che l’intervento divino dissipa le tenebre e il caos prende forma. Durante un’esibizione alla quale prese parte lo stesso Haydn un anno prima della sua morte, quando la musica raggiunse il momento di massima intensità, il pubblico gli dedicò un fragoroso applauso. Allora il compositore indicò il cielo e disse che non era opera sua, ma che proveniva tutto da lassù.

L’idea che la creazione e la creatività siano opera di Dio, o che riguardino comunque la sfera divina, affonda le sue radici nell’antichità ed è comune a numerose culture in tutto il mondo.

IL CREARE

Oggi la parola ‘creatività’ è sinonimo di originalità ed è sempre legata all’immaginazione. Secondo la definizione dei professori Robert Sternberg e Todd Lubbart, può dirsi creativo qualcosa di «nuovo e appropriato». Questo termine ancora non esisteva per come lo conosciamo adesso fino alla metà del diciannovesimo secolo; prima di allora, infatti, l’atto del creare era inteso come un gesto che poteva essere compiuto soltanto da Dio.

Platone, in particolare, sosteneva che la creazione fosse una prerogativa esclusivamente divina, mentre gli essere umani potevano solo imitare e ricreare le idee dell’Iperuranio. Si tratta di una concezione ancora piuttosto attuale: gli scrittori, ad esempio, spesso affermano che non esistono storie completamente nuove; non che ciò tolga alcunché al piacere di raccontarle o ascoltarle, a prescindere dal luogo e dal modo in cui siano nate.
Anche altre culture, come quelle diffuse in Asia orientale, India e Asia sudorientale, hanno vedute più o meno simili sull’argomento. La conclusione di Lubbart, dopo aver passato in rassegna circa una dozzina di studi riguardo la creatività orientale, è che secondo queste culture gli artisti attingano da una sorta di fonte universale dalla quale ricreano, imitano o sviluppano le proprie opere.
Mark Runco, psicologo cognitivo e studioso del pensiero creativo, ha scritto un testo sulla ricerca della creatività nel mondo occidentale: ripercorrendo la storia del verbo ‘creare’ nella lingua inglese, dalle origini latine fino al 1393, quando Geoffrey Chaucer, considerato il padre della letteratura inglese, lo usò per la prima volta in riferimento alla creazione divina.

William Shakespeare, in seguito, lo impiegò nella tragedia Macbeth (1606). Raymond Williams, romanziere e accademico del ventesimo secolo, ha fatto risalire proprio a Shakespeare l’uso del termine ‘creazione’ per indicare l’immaginazione umana. In realtà, l’espressione usata dal celebre drammaturgo era quasi platonica, dato che definiva l’immaginazione come «un pugnale della mente, una falsa creazione». La parola ‘creatività’ è entrata presumibilmente a far parte della lingua inglese nel 1875, ma anche allora era poco usata.

Nonostante sia stato scritto molto sul grande impulso creativo del periodo rinascimentale, in tale periodo la parola ‘creatività’ non veniva affatto impiegata. Alcune ricerche, comunque, sostengono che proprio nel Rinascimento sia avvenuto un cambiamento riguardo la concezione della creatività, mentre altri studiosi lo fanno risalire persino all’epoca del Medioevo.

L’ECCEZIONALE E L’ISPIRATO

Durante il periodo medievale, si credeva che gli uomini dotati di un’abilità o un talento particolare fossero ispirati da una forza esterna, qualcosa di potente e ultraterreno. Il Medioevo, un’epoca che ha segnato la storia del mondo occidentale, durò un intero millennio, dal quinto al quindicesimo secolo.

Nel corso del Rinascimento, che fiorì in tutta Europa tra il quattordicesimo e il diciassettesimo secolo, iniziò invece a diffondersi l’idea che la mente umana potesse agire e funzionare indipendentemente dall’intervento divino. Straordinari capolavori artistici e grandi opere letterarie furono il risultato delle eccezionali personalità di questo periodo; in realtà non si trattò di un grande cambiamento di rotta per il pensiero dell’epoca, ma gli studiosi oggi lo considerano un passaggio fondamentale per la nascita del concetto di creatività.

Le persone creative, in un certo senso, sono speciali, diverse dalle altre; Mark Runco e Robert Albert, autori del manuale The Cambridge Handbook of Creativity, nel capitolo dedicato alla ricerca della creatività sembrano sostenere che i creativi, gli artisti, vedano ciascuna delle rispettive epoche in termini dicotomici.

Durante l’Illuminismo, l’era delle idee, nota anche come l’età della ragione, la creatività svolse un ruolo di primo piano a sostegno del pensiero indipendente contro ogni restrizione imposta dalle istituzioni. Fu in questo periodo che nacque la ricerca, con le grandi scoperte scientifiche che iniziarono a rovesciare, uno dopo l’altro, tutti i sistemi culturali dell’epoca: Copernico e Galileo con i loro studi sul sistema solare, Newton con le leggi della fisica, Lavoisier con la scoperta dell’ossigeno, dell’idrogeno e i fondamenti della chimica moderna, e così via. Gli scrittori, oltre a promuovere la libertà di espressione e l’originalità, fecero una distinzione tra il talento, che poteva essere acquisito, e il genio, che invece era un qualcosa di autentico e innato.

Durante l’epoca romantica, poi, la creatività caratterizzò lo stile di vita bohémien degli artisti che si ribellarono all’industrializzazione di massa. La scienza ormai, agli occhi dell’opinione comune, era stata così sistematizzata dal metodo scientifico da soffocare qualsiasi spiraglio di innovazione. Secondo Runco e Albert, il conflitto dominante dell’epoca diventò quello tra «lo scienziato eccessivamente razionale e l’artista come genio incompreso».

All’inizio del ventesimo secolo, con intellettuali come Charles Darwin e Sigmund Freud che approfondirono lo studio della natura umana, i concetti di creatività e psiche assunsero una notevole rilevanza. Runco e Albert hanno affermato che ogni grande psicologo del ventesimo secolo ha preso in seria considerazione il concetto di creatività, e che la ricerca iniziata in quel periodo «può definirsi a dir poco esplosiva». Gli psicologi si interessarono molto all’analisi della personalità umana, indipendente dalla cultura e, contro ogni teoria precedente, dalla spiritualità.

LA CREATIVITÀ COME INVENZIONE DELLA GUERRA FREDDA

Durante la Guerra Fredda, la creatività è stata riconsiderata alla luce della dicotomia tra l’individualismo occidentale e il collettivismo sovietico.
Negli anni ’50, Joy Paul Guilford, uno degli psicologi più citati dai suoi contemporanei, esortò pubblicamente i propri colleghi a proseguire le ricerche sulla creatività.
Nel 1966, Ronald Reagan, all’epoca in corsa per la carica di governatore della California, in uno dei suoi interventi parlò di una ‘società creativa’ in grado di combattere i problemi della nazione.
Secondo la ricercatrice Camilla Nelson, il materiale divulgato nel breve lasso di tempo compreso tra questi due discorsi, gran parte del quale sarebbe stato finanziato dai fondi militari, uguagliò il numero degli articoli e dei saggi sulla creatività pubblicati nei duecento anni precedenti. Inoltre, il celebre Hyman Rickover – l’ammiraglio della marina americana noto per aver diretto lo crescita e lo sviluppo dei sottomarini nucleari – avrebbe suggerito a Reagan l’idea di promuovere l’istruzione nella sua campagna elettorale. Rickover sostenne il ruolo delle cultura per la sua capacità di formare persone creative, considerandole la soluzione al problema del totalitarismo sovietico.

Nel libro Designing the Creative Child, la professoressa Amy F. Ogata ha approfondito la critica contro la conformità sociale durante la Guerra Fredda e il modo in cui sia stata «costruita, divulgata e consumata» negli Stati Uniti l’idea che i bambini siano di natura fantasiosi e creativi. A partire dagli anni ’50 e ’60, i giocattoli, la programmazione didattica e i musei sarebbero stati progettati apposta per confermare questa idea, fino a farla diventare una convinzione che è tuttora dominante.

Nel 2010, dalle interviste a 1.500 amministratori delegati di 33 aziende internazionali, è emerso che la creatività, più della disciplina gestionale, del rigore, dell’integrità o del fiuto per gli affari, sarebbe il requisito più richiesto per avere successo nel mondo di oggi. Un sondaggio pubblicato sulla rivista Time nel 2013 ha dimostrato che il 94 per cento degli americani preferisce la creatività rispetto a doti come l’intelligenza, la compassione, l’umorismo, l’ambizione e la bellezza.

PERCHÉ CREARE?

La creatività ha sempre avuto qualcosa di vago e indefinito: in principio non esisteva nemmeno un termine per definirla, poi è diventata una parola polivalente per molti aspetti, e ora è uno dei vocaboli più in voga. Tutti considerano la creatività come una dote eccezionale, artistica e spesso originale; pertanto gli studiosi hanno delineato l’evoluzione che ha subito nel corso dei secoli, associando la sua definizione ai tratti caratteristici di ogni epoca.

Perché valorizzare la creatività? La capacità di creare qualcosa dal nulla, o qualcosa di nuovo rispetto a convenzioni antiquate, è una qualità senz’altro notevole. Runco e Albert sostengono che la ricerca della creatività sia sostanzialmente la ricerca della natura umana; oltre che per l’introspezione interiore, l’uomo ha sempre nutrito un profondo interesse nel capire come e perché alcune persone siano più eccezionali di altre.

Ma è probabile che La Creazione di Joseph Haydn soddisfi ancora oggi un pubblico così ampio non tanto perché sia un’opera particolarmente creativa e nemmeno il frutto di un lampo di genio improvviso, quanto perché Haydn cercò di fare qualcosa di buono per l’umanità.
Tra la fine del diciottesimo e l’inizio del diciannovesimo secolo, i romantici criticarono pesantemente l’opera di Haydn, giudicandola troppo semplicistica per quanto riguarda la composizione e la rappresentazione del mondo. In seguito, dato che l’opera iniziò a riacquistare popolarità dopo quel periodo, i musicologi sostennero che in realtà Haydn, con la sua semplicità, cercò solo (e giustamente) di comunicare ottimismo.
Nel 1802, in risposta alla lettera di un suo ammiratore, Haydn scrisse: «Spesso, quando mi ritrovavo ad affrontare qualsiasi tipo di difficoltà, una voce mi sussurrava: “Ci sono così poche persone felici e soddisfatte in questo mondo; il dolore e la tristezza le inseguono ovunque… Forse la tua opera diventerà, per loro, una fonte di pace e ristoro”».

Articolo in inglese: Chaos, Inspiration, and the Creation of Creativity

Traduzione di Lorena Badile

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