La Cina paga influencer sui social media all’estero per promuovere le Olimpiadi

Di Eva Fu

Pechino sta pagando degli influencer americani per la campagna di promozione dei Giochi olimpici invernali, nel mezzo di un’ondata di boicottaggi diplomatici da parte dell’Occidente.

I Giochi invernali del 2022, ospitati da Pechino, si svolgeranno dal 4 al 20 febbraio. Con un contratto da 300 mila dollari con il consolato cinese di New York, Vippi Media, una società di consulenza del New Jersey, supervisionerà una campagna di marketing fino a metà marzo su Instagram, TikTok e la piattaforma di live streaming Twitch.

L’obiettivo principale è quello di presentare un ritratto favorevole dei Giochi di Pechino e delle relazioni Usa-Cina, secondo una divulgazione del 10 dicembre presentata al Dipartimento di Giustizia ai sensi della legge sulla registrazione degli agenti stranieri. La denuncia è stata segnalata per la prima volta da OpenSecrets, un’organizzazione no profit di Washington che tiene traccia dei dati finanziari e di lobbying della campagna.

Vippi Media ha ricevuto un anticipo di 210 mila dollari dal consolato, come mostrato nella documentazione. Il consolato cinese ha incaricato Vippi di assumere otto influencer sui social media che hanno raggiunto determinati livelli di popolarità: per cinque di loro è necessario che abbiano minimo 100 mila follower e per gli altri tre almeno 500 mila.

In base al contratto, datato 22 novembre, gli influencer dovranno pubblicare almeno 24 post incentrati su Olimpiadi, Paralimpiadi e cultura cinese, come i preparativi degli atleti a Pechino, le nuove tecnologie impiegate per i Giochi, i «momenti commoventi», e la storia di Pechino.

Circa un quinto dei post dovrà concentrarsi sulla «cooperazione e su qualsiasi cosa buona nelle relazioni tra Cina e Stati Uniti». Esempi di ciò citati nel documento includono scambi di alto livello e «risultati positivi», nonché collaborazione su cambiamento climatico, biodiversità e nuova energia.

Vippi Media ha declinato ogni commento.

L’operazione sui social media arriva a seguito dall’annuncio di un boicottaggio diplomatico da parte degli Stati Uniti contro Pechino per la continua repressione degli uiguri e di altre minoranze etniche e religiose nello Xinjiang, una mossa che vari alleati, tra cui Canada, Australia e Regno Unito, hanno seguito.

La spesa per la campagna è solo una frazione degli sforzi di propaganda del regime cinese gestiti dai media statali. Da maggio a ottobre, il China Daily, un quotidiano in lingua inglese gestito da Pechino, ha riportato un budget di spesa di oltre 5 milioni e 500 mila dollari per pubblicizzare e distribuire il suo giornale al pubblico occidentale. Eppure l’operazione sui social media rappresenta una frontiera nuova e più comoda per il regime per diffondere e amplificare le sue narrazioni pro-Cina a livello globale.

Il consolato cinese prevede che i post ottengano 3 milioni e 400 mila visualizzazioni entro la fine del contratto il 13 marzo: quasi quattro volte la diffusione globale del China Daily. Il regime ha sfruttato a lungo il potere dei social media per diffondere le sue narrazioni, sia a livello nazionale che estero.

L’anno scorso, documenti trapelati ottenuti da Epoch Times hanno mostrato che il regime utilizza pagine Facebook varie per affermare la sovranità di Pechino sull’isola autogovernata di Taiwan e promuovere un’ipotetica invasione militare.

All’inizio di questo mese, la società madre di Facebook, Meta, ha dichiarato di aver rimosso circa 600 account legati a Pechino che diffondevano false affermazioni sul Covid-19 e altri messaggi anti-Usa. Twitter ha rimosso separatamente un totale di 2 mila 160 account collegati allo Stato che hanno tentato di respingere le critiche occidentali sulle violazioni dei diritti umani nello Xinjiang.

Cgtn, il braccio internazionale dell’emittente statale cinese Cctv, ha anche avviato una campagna di due mesi ad aprile per arruolare talenti dei media globali e celebrità dei social media che parlino inglese. Ai partecipanti che si sono aggiudicati la vittoria è stata offerta la possibilità di diventare un «narratore» part-time o a tempo pieno presso gli uffici della Cgtn a Washington, Londra o Nairobi, in Kenya.

Dallo scorso anno, almeno 14 influencer hanno pubblicato contenuti relativi allo Xinjiang su piattaforme di social media occidentali in linea con la narrativa ufficiale di Pechino, che sono stati poi sfruttati da account cinesi controllati dallo Stato su piattaforme di social media con sede negli Stati Uniti in ben 556 post, secondo una recente analisi del think tank Australian Strategic Policy Institute.

 

Articolo in inglese: China Pays US Social Media Influencers to Promote Beijing Olympics, ‘Positive’ US–China News

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