Iraq, razzi sull’ambasciata Usa durante le proteste contro il governo

Di Bowen Xiao

Il 26 gennaio diversi razzi hanno colpito l’ambasciata americana di Baghdad, ferendo almeno un membro del personale e causando alcuni danni strutturali; l’attacco è avvenuto durante le ultime proteste contro il governo iraniano, in cui hanno perso la vita almeno cinque manifestanti.

Gli Stati Uniti hanno «espresso indignazione» per l’ultimo attacco.

L’attacco

Cinque razzi Katyusha hanno colpito l’ambasciata la sera del 26 gennaio, mentre le forze dell’ordine irachene stavano cercando di sedare le proteste contro il governo, in buona parte filo iraniano, che proseguono ormai da diversi mesi.

Fonti anonime hanno dichiarato a Reuters che tre persone sono state ferite quando almeno uno dei razzi ha colpito il complesso dell’ambasciata americana. Ed un razzo ha colpito un ristorante all’interno dell’ambasciata, secondo quando dichiarato da Associated Press. Ad ogni modo è già la terza volta in questo mese che vengono sparati dei razzi contro l’ambasciata americana di Baghdad.

È ancora ignoto chi siano i mandanti dell’attacco missilistico. Ma il 27 gennaio il segretario di Stato Mike Pompeo ha «espresso la sua indignazione» per i continui attacchi dei gruppi armati iraniani contro le strutture statunitensi in Iraq, compresi gli attacchi missilistici contro l’ambasciata Usa, durante una telefonata con il primo ministro iracheno Adil Abd al-Mahdi, secondo quanto dichiarato dal portavoce del Dipartimento di Stato Morgan Ortagus: «Il Segretario ha sottolineato ancora una volta che questi attacchi dimostrano una mancanza di rispetto per la sovranità irachena e il fallimento [del governo, ndr] nel tenere a freno questi pericolosi gruppi armati» ha dichiarato Ortagus, che ha poi aggiunto come Pompeo «abbia apprezzato l’impegno profuso dal primo ministro Abd al-Mahdi per rafforzare la sicurezza e proteggere il personale e le strutture diplomatiche americane».

Secondo Ortagus, Pompeo avrebbe dichiarato che gli Stati Uniti considerano l’attacco missilistico all’ambasciata come «un tentativo di distogliere l’attenzione irachena e internazionale dalla brutale repressione dei pacifici manifestanti iracheni da parte dell’Iran e dei suoi proxy».

Il governo iracheno ha prontamente denunciato l’attacco e ha annunciato che avrebbe indagato e arrestato i responsabili. A dicembre gli Stati Uniti hanno infatti esortato l’Iraq a prendere provvedimenti per fermare gli attacchi dei gruppi finanziati dall’Iran contro le basi che ospitano le forze statunitensi in Iraq.

«Denunciamo la continuazione di queste azioni criminali che hanno lo scopo di indebolire lo Stato iracheno e di violare la sua sovranità e la santità delle missioni diplomatiche sul suo territorio», ha dichiarato il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi in un comunicato rilasciato il 26 gennaio.

Mark Cancian, consigliere senior del Programma di sicurezza internazionale del Csis, ha dichiarato a Epoch Times che sembra che l’Iran «apparentemente non si stia ritirando come molti avevano sperato, ma stia continuando i suoi attacchi contro gli Stati Uniti usando dei proxy, come ha fatto spesso in passato».

Tuttavia, «Trump ha tracciato una chiara linea rossa circa l’uccisione di cittadini americani», ha aggiunto Cancian via e-mail: «Se gli attacchi iraniani uccideranno gli americani, potrebbe esserci un’altra escalation».

Le proteste antigovernative in Iraq proseguono ormai dal primo ottobre 2019, quando migliaia di persone si sono riversate per la prima volta nelle strade di Baghdad e di alcune città nella parte meridionale del Paese. In quest’ultima occasione le proteste sono iniziate il 25 gennaio, con i manifestanti iracheni che chiedevano la rimozione di tutti i politici, libere elezioni e la fine della corruzione.

Con un avviso del 23 gennaio, l’Ambasciata degli Stati Uniti aveva suonato l’allarme per le manifestazioni anti-americane che si sono svolte nel centro di Baghdad il 24 gennaio. Il comunicato intimava i cittadini americani a non avvicinarsi all’ambasciata.

In realtà già l’11 gennaio l’ambasciata aveva rinnovato le sue linee guida per i viaggi in Iraq, consigliando ai propri cittadini di non recarsi in Iraq «a fronte del terrorismo, dei rapimenti e dei conflitti armati».

Sinora sembra che dall’inizio delle proteste siano morte circa 500 persone, con forze dell’ordine e uomini armati non identificati che hanno ripetutamente aperto il fuoco contro i manifestanti. Dopo una tregua a inizio mese, le manifestazioni sono riprese; a Baghdad i manifestanti hanno preso il controllo di tre ponti chiave e mantengono accampamenti e blocchi stradali in diverse città del sud.

Il governo ha risposto con la violenza e con riforme frammentarie, mentre la comunità internazionale ha condannato la violenza. Gli Stati Uniti hanno ripetutamente denunciato gli attacchi del governo iracheno contro i manifestanti e i giornalisti. Uno degli episodi più gravi si è verificato a novembre, quando i manifestanti hanno dato fuoco ad un consolato iraniano e le forze dell’ordine irachene hanno reagito aprendo il fuoco contro i manifestanti e uccidendo almeno 45 persone.

Il 22 gennaio il presidente Donald Trump ha incontrato il presidente iracheno Barham Salih «per discutere di cooperazione militare, di come sconfiggere l’Isis e altro ancora».

Mentre negli ultimi giorni di dicembre, migliaia di manifestanti e membri di diversi gruppi finanziati dall’Iran si sono radunati intorno ai cancelli dell’ambasciata americana di Baghdad in risposta agli attacchi aerei statunitensi in Iraq.

Gli aerei statunitensi avevano attaccato basi appartenenti al gruppo terroristico sostenuto dall’Iran Kata’ib Hezbollah, uccidendo almeno 25 persone e ferendone diverse decine. L’attacco aereo statunitense ha rappresentato la risposta all’uccisione di un appaltatore civile statunitense durante un attacco missilistico contro una base militare irachena.

Tra la folla presente fuori dall’ambasciata americana erano ben visibili le bandiere di Kata’ib Hezbollah. Alcuni tra la folla hanno lanciato pietre, altri hanno bruciato il muro esterno che circonda l’ambasciata, mentre si sentivano intonare slogan come «No, no, America! … No, no, Trump!». Dopo aver sfondato il muro esterno, hanno anche spaccato le finestre antiproiettile dell’ambasciata degli Stati Uniti usando blocchi di cemento.

Il gen. Qassem Soleimani, capo della Quds Force iraniana, è stato ucciso il 3 gennaio con un attacco aereo americano ordinato da Trump. Secondo il presidente americano, il generale stava organizzando un imminente attacco contro i civili statunitensi. Ad ogni modo la decisione è arrivata in seguito ai ripetuti attacchi degli ultimi mesi da parte di gruppi terroristici sciiti appoggiati dall’Iran contro le basi che ospitano truppe statunitensi in Iraq.

Trump ha anche dichiarato che gli Stati Uniti hanno effettuato l’attacco aereo perché ritenevano che Soleimani avesse preso di mira quattro ambasciate americane, tra cui quella di Baghdad era l’obbiettivo principale. Inoltre, il presidente americano ha descritto l’attacco come «imminente».

 

Articolo in inglese: Rockets Strike US Embassy in Baghdad as Protests Continue

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