Insegnare la creatività: si nasce o aspettiamo la Musa?

Uno dei miei studenti del master, un regista della Repubblica Ceca, mi ha raccontato, di recente, di aver sconcertato del tutto i suoi amici in patria perchè stava in Australia per studiare scrittura creativa. Secondo quanto avrebbero detto: creativi si è o non si è. Sebbene con poca enfasi, anche molti miei studenti hanno espresso il sospetto che tutto ciò potesse essere solo una sciocchezza.

Da questo ho capito: insegnare a essere creativi, invece di dispensare un insieme di istruzioni su come esserlo, significa aiutare gli studenti nell’identificare i tipi di situazioni o condizioni di cui hanno bisogno per agevolare un’apertura mentale. Poi possono imparare a guidare questa creatività in maniera emozionante. Ma prima bisogna affrontare le resistenze.

Molte delle resistenze in cui mi sono imbattuta possiamo farle risalire al diciottesimo secolo, alla visione romantica dell’artista in quanto genio, ‘unico nel suo genere, un grandioso originale’, come descritto da Margaret Atwood nel suo libro sulla scrittura, Negoziando con le ombre (2003).

O nasci in quel modo o non c’è nulla da fare. Oppure aspetti l’arrivo dell’ispirazione dall’alto, dal basso o dai lati, divina o di altro tipo. In ogni caso la creatività sembra al di fuori del tuo controllo.

I luoghi comuni sull’originalità sono altri fattori di resistenza tra i miei studenti e ciò può portare ad avere una vera sfiducia in sé stessi. Se emulano gli altri, si sentono come se ciò non contasse come creatività, oppure se non riescono a pensare a qualcosa di ‘interamente nuovo’,credono di non riuscire nemmeno ad iniziare e si bloccano del tutto.

Ma quando cominci a dissolvere questa percezione e li aiuti a capire che la creatività è una risposta sensoriale e si verifica sempre grazie a qualcosa o qualcun altro, allora si inizia ad intravedere uno spiraglio. A questo punto l’operazione estetica in atto – fare le connessioni tra una cosa ed un’altra – è al centro del gioco combinatorio della creatività, mettendo l’enfasi su una struttura a sua volta rifrangente e rimodulante tutto il concetto di ‘preso in prestito’ o ‘rubato’.

SMETTI DI PENSARCI

Uno dei concetti più difficili da comprendere è l’apparente paradosso che la creatività abbia poco a che fare con l’intelletto. Ma dire: «cerca di non pensarci troppo duramente o troppo a lungo» è fin troppo facile e del tutto inutile. Piuttosto, io chiedo ai miei studenti di pensare alla creatività come a una sorta di spazio alterato e li porto a riflettere su che sensazione hanno di questo.

Tutti possono richiamare alla mente una volta in cui la concezione del tempo è sembrata loro distorta o hanno udito per caso una frase che hanno continuato a ripetere nella propria mente con un proprio suono particolare.

Potrebbero aver fissato per ore il proprio schermo tentando di lavorare, ma solamente quando si rassegnavano e andavano a dormire la creatività cominciava a fluire nel momento in cui posavano la testa sul cuscino.

O potrebbero essere entrati in un palazzo e aver sentito il proprio corpo reagire allo spazio nel senso descritto da Peter Eisenman nella sua introduzione al libro di Elizabeth Grosz Architettura dall’Esterno (2001). Egli scrive della reazione somatica affettiva che abbiamo in spazi architettonici che emerge da una qualche possibilità virtuale di quello spazio architettonico, piuttosto che da una sensazione percettiva o udibile.

SUPERARE I LIMITI

Tutte queste esperienze possono essere viste come ciò che plasma l’inizio della creatività. Se siamo in grado di incoraggiare una sensibilità o un’apertura mentale, lo spazio creativo risulta quasi tangibile. In questo senso la creatività diventa ‘altro’, ma ovviamente mai interamente spazio esterno.

Durante le lezioni, mostro agli studenti una gamma di prospettive e ‘metodi’, con lo scopo di dimostrare che possiamo essere creativi senza necessariamente partire con un’idea. Per esempio, dilettandoci con la stessa lingua siamo in grado di creare qualcosa di simile a ciò che Hazel Smith descrive nel suo libro pubblicato nel 2005 The Creative Writing Experiment (Esperimento di Scrittura Creativa, ntd).

Da molti anni mostro una serie di estratti di scrittura sperimentale sullo spazio, tra cui Le Città Invisibili di Italo Calvino (1972), che io e i miei studenti leggiamo insieme in classe. Dopodiché chiedo loro di scrivere del quartiere in cui sono cresciuti.

La prima volta in cui ho fatto tutto questo sono rimasto colpito da quanto il loro modo di scrivere fosse cambiato. D’un tratto tutto era più concreto, fisico, stabilito, e più vivido di ogni altra cosa che avevo visto loro scrivere in tutto il semestre. Ho notato un’inclusione dei sensi con una meravigliosa attenzione alla profondità, ampiezza e altezza dei luoghi e delle esperienze descritte. Erano evidenti anche tracce degli iniziali estratti di scrittura presentati per l’esercizio, combinati nella loro scrittura in modo unico.

Ho visto crescere la fiducia in sé stessi una volta ammesso che svolgere un esercizio del genere avesse dato spazio allo sviluppo della creatività. E non c’era stato bisogno di uno sforzo eccessivo.

Articolo pubblicato inizialmente su The Conversation.

Articolo in inglese: Teaching Creativity: Born That Way or Waiting for the Muse?

 
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