Come l’Imperatore Kangxi avrebbe affrontato l’attuale pandemia di coronavirus

Di Marco D'Ippolito

Kangxi è passato alla storia come uno dei più grandi Imperatori della millenaria civiltà cinese, celebre per la sua saggezza e rettitudine. Regnò sulla Cina per ben 61 anni, tra il 1661 e il 1722, lasciando dietro di sé un’eredità culturale senza pari.

Nel passaggio di un testo attualmente poco noto, un ormai anziano Kangxi racconta come ha affrontato e superato le calamità e i disastri nel corso della sua lunga vita da Imperatore. Si tratta di un brano che assume un rinnovato valore nel mezzo della pandemia globale scatenata dal nuovo coronavirus, anche noto come virus del Pcc. Il fatto curioso è che l’approccio illustrato da Kangxi è completamente diverso rispetto a quello adottato oggi in gran parte del mondo:

«Io da piccolo sono montato sul trono, e da che vi salii fino ad ora, passati sono già più di sessant’anni: se in tutto questo tempo ci fu talora, e vi fu certamente, o terremoto, o siccità, o inondazione considerabile: io costumai sempre di riprendermi in tali occasioni, ed esaminare con diligenza i miei mancamenti, e di conseguenza i malori e le pubbliche calamità rapidamente si dileguavano. In qualunque tipo di castigo del Cielo, o sventura, o infortunio, non conviene perdere il coraggio per nessun timore e spavento: facendo riflessione sopra sé stesso, investigando i propri difetti, pentendosene, e correggendosene, la disgrazia da per se medesima si cambia in felicità. Quel che si dice nel Libro delle Odi: “Chi segue la virtù, godrà di felicità; chi segue il vizio, incorrerà in disgrazie. La felicità, e le disgrazie sono come l’ombra e l’eco, quella del bene e queste del male”. Per verità è appunto così».

Naturalmente si può dubitare della veridicità delle parole di Kangxi, ma è innegabile che poggiano su un principio che fino a pochi anni fa era condiviso, un principio che la scienza moderna forse non può dimostrare, ma che non per questo – se gli antichi saggi avessero ragione – smetterebbe di essere valido e di manifestarsi nel mondo. Si tratta del principio di retribuzione del bene e del male, uno dei fondamenti della civiltà cinese, come anche della cultura cristiana. Tuttavia, Kangxi afferma anche che se in queste circostanze critiche si è capaci di riflettere sui propri errori, pentirsene e correggersi, «la disgrazia da per se medesima si cambia in felicità».

D’altronde, che le calamità e le epidemie siano il risultato delle cattive azioni degli uomini è un’idea costantemente presente anche nella cultura pre-cristiana; da opere classiche come l’Iliade e l’Edipo Re di Sofocle, che si aprono entrambe con piaghe che affliggono la popolazione a causa delle malefatte commesse dai loro Re, rispettivamente Agamennone ed Edipo; fino all’Antico Testamento della Bibbia dove vengono narrati numerosi episodi di questo genere.

Tuttavia, oggi la mentalità è cambiata e si ritiene che quelle degli antichi fossero più che altro credenze superstiziose; così quando le calamità arrivano si cerca semplicemente di prendere contromisure esterne di ogni tipo, che però – se ha ragione Kangxi – rischiano di rivelarsi alla fine poco efficaci poiché non possono risolvere il problema alla radice.

 

Il brano sopracitato è tratto dall’opera cinese 聖祖仁皇帝庭訓格言 (Sublimi Familiari Istruzioni dell’Imperatore Kangxi), una raccolta degli insegnamenti impartiti da Kangxi ai suoi figli pubblicata nel 1730 dal suo erede al trono, nonché figlio, Imperatore Yongzheng.

 
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