Il virus porterà a un nuovo equilibrio geopolitico?

Di Alessandro Starnoni

La crisi dovuta al Covid-19 sta già cambiando impercettibilmente l’equilibrio geopolitico rispetto all’asse Washington-Pechino. Prima della pandemia globale sembrava che la Cina avesse ormai in pugno il ruolo di leader politico-economico mondiale; infatti, con la Nuova Via della Seta, secondo molti Pechino ha tentato di consolidare la propria egemonia politica a livello globale, usando l’esca degli accordi economici e commerciali.
Con lo scoppio della pandemia in Cina però, questo ‘ambizioso’ progetto ha subito un duro colpo, dopo che tutte le economie si sono fermate. Oltre alla Nuova Via della Seta, un’altra questione chiave che adesso può contribuire a spostare gli equilibri geopolitici è Taiwan: è fuori dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ed è paradossalmente il Paese che meglio ha gestito l’epidemia non essendosi fidata di Pechino.

Da quale parte penderà l’ago nel nuovo assetto geopolitico quando le economie ripartiranno, dipenderà tutto dall’atteggiamento ‘politico’ di alcuni Stati chiave su queste due questioni chiave.

L’Italia e la Nuova Via della Seta

Lo Stivale al centro del planisfero è un perno cruciale per gli equilibri geopolitici. Si tratta dell’unico Paese del G7 ad aver firmato un accordo relativo alla Nuova Via della Seta, nonostante gli ammonimenti di Washington e degli altri Stati del Gruppo a non farlo. Infatti, in quanto l’unica economia più avanzata ad aver dato la propria disponibilità a Pechino, questa decisione ha spostato di non poco il contrappeso geopolitico a favore del Partito Comunista Cinese.

Così, la reazione ‘politica’ dell’Italia alla pandemia originata in Cina, è altrettanto cruciale per capire quale sarà il nuovo assetto geopolitico futuro; anche perché la reazione dell’Italia potrebbe determinare in buona parte anche quella che potrà essere la posizione finale dell’Europa.
E a questo riguardo ci sono altre due questioni interne pendenti e fondamentali.

La prima, è la recentissima risoluzione presentata dalla Lega in Commissione Esteri della Camera il 14 maggio, il cui primo firmatario è il vicepresidente della commissione Paolo Formentini. La risoluzione intende chiedere al governo di impegnarsi «ad assumere, nelle sedi internazionali competenti, anche in raccordo con gli alleati del nostro Paese, tutte le iniziative utili alla promozione di un’indagine internazionale sulle origini dell’epidemia da SARS-CoV-2, che accerti la dinamica degli eventi e le eventuali responsabilità dei singoli Paesi coinvolti e della stessa Organizzazione Mondiale della Sanità sotto il profilo della tempestiva comunicazione dei fatti accertati alla comunità internazionale e della congruità delle poche misure raccomandate rispetto alla gravità della situazione».
E «ad adottare iniziative per l’elaborazione di un indirizzo unitario dell’Unione europea, da sostenere in ambito internazionale, in materia di gestione delle emergenze epidemiologiche, con l’obiettivo di pervenire quanto meno all’elaborazione di linee guida comuni cui attenersi in futuro in occasione di crisi che abbiano caratteristiche simili a quella determinata dal Covid-19».

A quanto sembra, come fa notare formiche.net, pur provenendo dall’opposizione è una risoluzione che è stata ben accolta dalla maggioranza, in particolare dal Pd. L’ostacolo maggiore però, sempre nella maggioranza, è proprio il M5S; o almeno quella sua parte più filo-pechinese, che ha tra l’altro reso possibile l’intesa con il regime cinese sulla Nuova Via della Seta lo scorso anno.

Appare infatti evidente che una tale presa di posizione contro la Cina significherebbe per l’Italia la fine di quel rapporto che da poco aveva iniziato a diventare sempre più intimo con Pechino. E assesterebbe un ulteriore duro fendente ai piani della Cina. Quindi, bisognerà capire come il M5S valuterà la questione: se prevarrà, anche tra i pentastellati, il buonsenso ‘democratico’ e il sentimento di coesione nazionale, di una nazione offesa che chiede il conto a chi l’ha ingannata, o se avrà la meglio sempre la stessa linea politica filocinese che ha portato all’accordo della Nuova Via della Seta, che ha in sé obiettivamente caratteristiche più egemoniche che democratiche.
Ad ogni modo, una eventuale divergenza di opinioni nella maggioranza su questo nodo cruciale potrebbe portare a una spaccatura nella stessa e plausibilmente a una crisi governativa; non bisogna dimenticare infatti che l’ultima discordanza di vedute nella maggioranza ha portato al crollo del precedente governo.

La seconda questione interna, di minore impatto geopolitico ma comunque molto importante, è il recente annuncio del 29 aprile, da parte del deputato Lega Paolo Grimoldi. Vorrebbe intraprendere un’azione legale contro Pechino per chiedere un risarcimento danni di 20 miliardi di euro, da restituire alla Regione Lombardia. Sebbene sia una richiesta a livello regionale, nel caso venisse accolta, impatterà direttamente sulla posizione dell’Italia in quanto nazione nei confronti di Pechino. Anche qui la posizione della maggioranza nel complesso sarà determinante.

La questione Taiwanese

Pur essendo lì, vicina alla Cina, Taiwan ha riportato solo 7 morti e 400 casi di nuovo coronavirus. E nessun lockdown stile Pechino o Italia. Quasi una ‘beffa’ all’Oms, che l’aveva esclusa dagli Stati membri dell’Organizzazione, a causa del fatto che Pechino considera Taiwan – sebbene abbia un governo democraticamente eletto – non uno Stato a sé ma una sua provincia ‘secessionista’.

Ma la storica diffidenza politica di Taiwan nei confronti del regime cinese ha permesso all’Isola di affrontare l’epidemia nel migliore dei modi. Taiwan non si è fidata delle rassicurazioni di Pechino sul virus, e una volta appreso di quella misteriosa polmonite virale a Wuhan ha messo in campo tutte le precauzioni necessarie per impedire i contagi. E ci è riuscita.

Il modello di Taiwan di risposta al virus – un caso che si potrebbe definire quasi un ‘miracolo’ vista la distanza di soli mille chilometri dell’Isola dalla Cina – ha sbalordito se non ‘svegliato’ diversi Paesi che prima della pandemia erano ben disposti verso il Partito Comunista Cinese. Tra questi l’Australia, che ha cominciato a sua volta a guardare con diffidenza la Cina, quel Paese con il quale aveva fino a quel momento avuto ingenti scambi commerciali.

L’Australia ha quindi cambiato completamente la sua posizione: come di recente dichiarato dal ministro degli Esteri Marise Payne all’Abc, la nazione ha chiesto un’indagine internazionale sul coronavirus mettendo in dubbio la trasparenza della Cina nella sua gestione dell’emergenza. Inoltre, come si legge sul The Sydney Morning Herald, ha mostrato tutto il suo sostegno affinché Taiwan partecipasse come osservatore all’Assemblea dell’Oms del 18-19 maggio.
In risposta al cambio di rotta dell’Australia, Pechino ha ‘punito’ il governo australiano bloccando le importazioni di carne bovina da quattro mattatoi australiani.

 Ministro della Salute australiano
Il Ministro della Salute australiano Greg Hunt ha confermato che il governo federale sostiene la proposta dell’Unione Europea per l’apertura di un’indagine indipendente sulle origini del virus del Partito Comunista Cinese. Canberra, Australia, 8 aprile 2020. (Sam Mooy/Getty Images)

La posizione dell’Australia, passata dall’essere maggiormente pro-Pechino a esplicitamente pro-Taiwan nel giro di poche settimane, pesa non poco sugli equilibri geopolitici, essendo Canberra il principale partner commerciale della Cina: nel 2018 ha scambiato con questa per un valore di 214 miliardi di dollari.

Ma al sostegno verso Taiwan come osservatore all’Assemblea dell’Oms, si sarebbe aggiunta anche la Nuova Zelanda, che per questo, come riporta il South China Morning Post, ha ricevuto i rimproveri della Cina; lo stesso sostegno arriva dal Giappone, rimasto anch’esso colpito dal ‘miracolo di Taiwan’ e che aveva avuto anch’esso finora notevoli rapporti economici con la Cina.

Queste prese di posizione di Australia, Nuova Zelanda e Giappone stanno già chetamente indebolendo Pechino, già flagellata economicamente dall’epidemia, e spostando maggiormente gli equilibri a favore di Washington.
Senza contare che, come riporta il The Taiwan Times, gli ambasciatori di Canada, Francia, Germania e Regno Unito, tutti e quattro membri Nato insieme agli Usa, hanno già mostrato il loro sostegno per la partecipazione di Taiwan all’Oms come osservatore.

Per concludere, la posizione che assumerà l’Italia, anche su Taiwan, sarà fondamentale per determinare il definitivo spostamento dell’ago della bilancia a favore di Washington; che rappresenterebbe anche, senza mezzi termini, la vittoria delle forze democratiche sull’egemonica tirannia cinese. Sulla posizione del governo italiano potrebbe influire non poco anche l’opinione del popolo italiano, che almeno inizialmente sembrava aver creduto alla propaganda di Pechino sugli aiuti dalla Cina che, paradossalmente, dopo aver causato il danno nascondendo l’epidemia e trasformandola in pandemia globale, si era persino autoeletta a salvatrice del mondo.

Tuttavia, secondo un rapporto di Iai e Laps (Università di Siena), che hanno condotto un’indagine sull’opinione pubblica italiana sull’emergenza Covid e sulla politica estera, il 79 per cento degli italiani crede adesso che la responsabilità della pandemia globale sia da attribuire alla Cina (che dovrebbe ammettere la propria responsabilità); e un pur sempre incoraggiante 52 per cento crede che il governo cinese abbia utilizzato gli aiuti sanitari per aumentare la propria influenza politica in Italia.

 

Le opinioni espresse in quest’articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

 
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