Venezuela al crocevia

Il 23 gennaio il presidente dell’Assemblea Nazionale Juan Guaidò si è autoproclamato presidente ad interim del Venezuela di fronte a una folla di quasi 100 mila manifestanti, scesi in piazza per chiedere la fine della dittatura socialista, che ha distrutto quello che era uno dei Paesi più ricchi dell’America Latina.

Tra i principali sintomi del malessere ci sono l’inflazione esorbitante, la penuria di cibo e medicine, la crisi dell’emigrazione e la corruzione dilagante. È anche per questo che Stati Uniti, Canada, Colombia, Paraguay, Brasile, Cile, Argentina, Costa Rica, Honduras, Panama e Israele non hanno tardato a riconoscere, uno dopo l’altro, il leader dell’opposizione Juan Guaido come legittimo presidente ad interim del Venezuela. Anche l’Unione Europea alla fine si è schierata apertamente contro Maduro, chiedendo che vengano indette rapidamente nuove elezioni. D’altra parte Cina, Russia, Iran, Cuba, Turchia e alcuni altri Paesi hanno dichiarato di sostenere il socialista Maduro, sebbene sembri ormai chiaro che la sua leadership ha i giorni contati.

Il ‘piano’ Guaido

Juan Guaido si è autoproclamato presidente ad interim, basandosi, a suo avviso, sulla Costituzione venezuelana, che prevede la destituzione del presidente e la sua sostituzione con il presidente dell’Assemblea Nazionale in determinate circostanze speciali. Attualmente sta lavorando per la realizzazione del processo di liberazione in tre fasi, che consistono nel porre fine all’usurpazione di Maduro, nel creare un governo di transizione e nell’indire poi libere elezioni.

A tal fine, il 30 gennaio, Guaido ha chiesto ai cittadini venezuelani di continuare a scendere pacificamente in piazza per mettere pressione su Maduro, e ha dichiarato: «Il Venezuela è determinato a cambiare. […] Non sottovaluto il rischio di una persecuzione, ma sono qui».

Il giovane presidente dell’Assemblea Nazionale sta dando molta importanza al ‘Canal Humanitario’ che consiste nel far conoscere al mondo la vera situazione del popolo venezuelano e nel chiedere il sostegno di tutti i Paesi democratici contro la dittatura, da lui considerata illegittima per via dell’illegittimità delle ultime elezioni presidenziali. Ha inoltre promesso l’amnistia agli alti funzionari del regime, dell’apparato militare e di quello della sicurezza, se prenderanno subito le distanze dal regime e non si sporcheranno le mani di sangue.

Il presidente ad interim venezuelano Juan Guaido (a destra) durante una sessione dell’Assemblea nazionale venezuelana a Caracas, Venezuela, il 29 gennaio 2019. (Carlos Garcia Rawlins/Reuters)

Il ruolo degli Usa

Gli Stati Uniti sono risultati da subito i più potenti alleati di Guaido, e il 29 gennaio hanno annunciato di aver iniziato a trasferire nelle sue mani il controllo di tutti i conti bancari del Venezuela presso la Federal Reserve e altre banche americane. Inoltre John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale, ha avvisato Maduro che il suo governo «subirà delle serie conseguenze» se venisse fatto del male a Guaido.

Gli Usa hanno anche imposto sanzioni sulla compagnia petrolifera statale del Venezuela, Petroleos de Venezuela, una mossa che ha il potenziale per privare il governo di Maduro di 11 miliardi di dollari di proventi previsti per il prossimo anno. Si tratterebbe di una perdita insostenibile, per un Paese che è già devastato dall’inflazione e dalle diffusissime carenze di cibo e medicine, fattori che negli ultimi anni hanno spinto milioni di persone ad emigrare.

La reazione di Maduro

Maduro dal canto suo è deciso a non lasciare le redini. Negli ultimi giorni ha presenziato alcune esercitazioni militari e ha accusato Washington di aver organizzato un golpe.
Durante un’intervista rilasciata il 30 gennaio a un agenzia di stampa russa ha dichiarato: «sono disposto a dialogare con l’opposizione nell’interesse della pace e del futuro del Venezuela», ma esclude la possibilità di nuove elezioni presidenziali.

Contemporaneamente, la Corte Suprema ha proibito a Guaido di lasciare il Paese, dopo che il procuratore generale Tarek William Saab, un importante alleato del leader socialista, ha annunciato di aver aperto un’inchiesta per via della sua competizione con Maduro.

«Ancora una volta usciremo vincitori» ha dichiarato Maduro, indossando un cappello e una maglietta verde, di fronte ad alcuni reparti dell’esercito.

Il leader venezuelano Nicolas Maduro durante una conferenza stampa a Caracas, il 25 gennaio 2019. (Yuri Cortez/AFP/Getty Images)

Venti anni di socialismo

L’era della democrazia moderna in Venezuela è iniziata nel 1959 con la deposizione del precedente regime militare e si è conclusa nel 1999 con l’elezione di Hugo Chavez. Il suo successore designato, Nicolas Maduro, ha completato la distruzione delle istituzioni democratiche e trasformato il Paese in un repressivo regime autoritario. Le politiche socialiste del governo hanno causato pesanti carenze di cibo, medicine, e altri beni di prima necessità, oltre ad aver generato un’iperinflazione che ha accompagnato una delle peggiori contrazioni economiche mai registrata. Nonostante questo, Maduro è stato rieletto a maggio del 2018 grazie a delle elezioni organizzate ‘su misura’, la cui validità non è stata riconosciuta da buona parte dei governi mondiali.

Il Venezuela possiede le più grandi riserve petrolifere al mondo, e il petrolio rappresenta la quasi totalità delle sue esportazioni. Tuttavia, attualmente la produzione è in calo per via della mala gestione della compagnia petrolifera statale, la Petroleos de Venezuela Sa (PdVsa). Secondo un articolo dell’economista Danielle Lacalle, nel 1998 l’azienda produceva 3,5 milioni di barili al giorno, mentre oggi non arriva a 1,3 milioni; sebbene il numero dei suoi dipendenti sia aumentato a dismisura: dai 25 mila impiegati del ‘98 ai 140 mila del 2017.

In un’ottica più generale Ricardo Hausmann, professore di economia presso l’Università di Harvard, ha fatto notare che «Quando Chávez salì al potere un dollaro valeva 0.547 bolivares; nel 2013, quando subentrò Maduro, ne valeva 26, circa 48 volte di più. Oggi un dollaro vale l’esorbitante somma di 6.000.000 di bolivares, circa 11 milioni di volte più di quanto valesse nel 1999».

Nei suoi primi anni di attività il governo chavista è riuscito ad attuare con apparente successo molte delle politiche socialiste che aveva in programma, principalmente grazie al costante aumento del prezzo del petrolio tra il 1999 e il 2010. Lacalle racconta come Chavez abbia istituito un forte sistema di sussidi sociali, ridotto le tutele della proprietà privata, nazionalizzato gran parte dei mezzi di produzione, espropriato imprese private, reso normale l’uso delle aziende statali per fini politici, attuato il calmieramento dei prezzi e diverse altre politiche di stampo socialista, che con il tempo, e il repentino calo del prezzo del petrolio dopo il 2010 hanno causato la paralisi della società venezuelana.

L’economista sottolinea che oggi il settore privato non esiste più, perché tutte le imprese di successo sono state espropriate dal regime, ma ora la stragrande maggioranza di queste imprese sono in bancarotta proprio a causa della gestione socialista.

Secondo l’Indice della libertà economica 2018, stilato dal Wall Street Journal, il Venezuela si trova al 179esimo posto, preceduto da Cuba e seguito unicamente dalla Corea del Nord.

Il governo venezuelano sostiene da tempo che i problemi economici del Paese siano dovuti a un presunto ‘embargo’ dei Paesi imperialisti. In realtà, secondo quanto scritto da Lacalle, gli Stati Uniti sono uno dei maggiori partner commerciali del Venezuela. Nel 2018, le transazioni commerciali tra i due Paesi sono aumentate di oltre il 9 percento, e il regime di Maduro ha inoltre accordi bilaterali con ben 70 Paesi.

Oggi il Venezuela è uno dei Paesi più poveri dell’America Latina e la situazione è diventata letteralmente insostenibile per i suoi abitanti. Secondo uno studio dell’Università Centrale del Venezuela, nel 2014 il 23,6 percento della popolazione si trovava in condizioni di povertà estrema, all’inizio del 2017 il 61,2 percento, e verso la fine dello stesso anno addirittura l’87 percento dei venezuelani si trovava in questa condizione.

 
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