Il ‘tso politico’ allo studente di Fano

Di Alessandro A. Negroni

L’Associazione Radicale Diritti alla Follia (di cui chi scrive è presidente) già il 6 maggio è intervenuta per chiedere alle autorità competenti l’immediato rilascio di uno studente di un istituto superiore di Fano sottoposto a tso per malattia mentale per aver rifiutato di indossare la mascherina al banco, ossia per aver voluto respirare senza impedimenti, e per aver manifestato a scuola il proprio dissenso dall’imposizione della mascherina.

Desta particolare preoccupazione il ricorso a un tso per malattia mentale che appare essere stato eseguito in assenza dei presupposti normativi che lo legittimano e per una finalità di tipo ‘politico’ consistente nel contrastare una forma di dissenso e di protesta rispetto all’uso della mascherina. 

La normativa (artt. 33, 34 e 35 della legge n. 833 del 1978) stabilisce che sia possibile ricorrere al tso per malattia mentale in regime di ricovero ospedaliero solo se sussistano determinate condizioni, tra le quali la sussistenza di una ‘malattia mentale’ e la presenza in atto di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici.

Lo studente di Fano non è persona affetta da ‘malattia mentale’, salvo considerare una manifestazione di dissenso rispetto a un obbligo imposto dal governo (quello di indossare una mascherina) e delle opinioni dissenzienti un ‘sintomo’ di malattia mentale e di disturbo delirante. 

Il ‘problema’ è che la libertà di manifestazione del pensiero non è una ‘malattia mentale’, al contrario «la libertà di manifestazione del pensiero è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle anzi che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato» (Corte cost., sentenza n. 9/1965). 

E il problema è altresì che la diagnosi psichiatrica, per essere accettabile e plausibile in uno Stato di diritto liberale e democratico, non può e non deve mai essere utilizzata per la repressione del dissenso di carattere politico o per contrastare opinioni non gradite al potere oppure in contrasto con le opinioni della massa; lo stesso Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-5), la ‘bibbia’ della psichiatria, avverte significativamente l’esigenza di sottolineare come «comportamenti socialmente devianti (per es., politici, religiosi o sessuali) e conflitti che insorgono primariamente tra l’individuo e la società non sono disturbi mentali». 

Neppure si comprende ove fossero le alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, salvo considerare che la costituzionalmente legittima manifestazione di dissenso attuata dallo studente di Fano (peraltro in modo pacifico) sia qualcosa da ‘curare’ a mezzo trattamenti sanitari. Si consideri peraltro come anche in presenza di una manifestazione violenta di dissenso la risposta di uno Stato di diritto non possa consistere nel ricorso a trattamenti sanitari, bensì nel ricorso all’azione delle forze di polizia e alla repressione penale (con tutte le garanzie riconosciute ai cittadini in materia).

Vi è poi da evidenziare il ruolo passivo del sindaco di Fano, Massimo Seri, che con quella che appare essere una notevole leggerezza ha firmato un’ordinanza di tso per malattia mentale nei confronti di un giovane studente che stava manifestando un dissenso di natura politica, e vi anche è il ruolo della preside dell’istituto ove studia il ragazzo, un ruolo che andrebbe approfondito e chiarito per comprendere come si possa arrivare a chiedere l’intervento in una scuola della polizia di Stato (che in ben altri compiti è impegnata con dedizione) in assenza di reati consumati o tentati.

Infine, ma non ultima, vi è la “salute” dello studente di Fano: in che modo il sindaco che ha disposto il tso per malattia mentale, i due medici che lo hanno proposto e la preside che ha chiamato la polizia pensano di aver tutelato quella salute che l’Oms definisce come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non la mera assenza di malattia o di infermità»? E sono altresì consapevoli che lo stigma associato all’essere sottoposti a tso per malattia mentale (e più in generale alla ‘malattia mentale’) conduce a un totale discredito e a una completa svalutazione della persona che subisce tale tipo di tso?

Altre domande si potrebbero porre, ma per concludere si osservi come il caso di Fano mostri, ove ve ne fosse bisogno, l’esigenza di una urgente riforma legislativa del tso per malattia mentale, riforma di cui il parlamento deve farsi carico. Al riguardo sia consentito ricordare come l’Associazione Radicale Diritti alla Follia, in stretta collaborazione con altre associazioni, abbia elaborato una articolata proposta di riforma in grado di offrire maggiori garanzie ai destinatari del tso per malattia mentale e di rendere il ricorso ad esso, come invero già dovrebbe essere, una reale eccezione. 

 

L’autore dell’articolo, Alessandro A. Negroni, svolge attività di ricerca presso l’Università di Genova, ha collaborato e collabora con diverse università in Italia e all’estero, è membro del comitato editoriale di alcune riviste scientifiche ed è autore di diversi libri e articoli. Tra le sue ultime pubblicazioni le monografie «La libertà di (non) vaccinarsi» (Vicolo del Pavone, 2021), «Profili costituzionali del trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale» (Genova University Press, 2016) e, come curatore, «Il consenso informato tra bioetica e diritto» (Vicolo del Pavone, 2020). È presidente dell’Associazione Radicale Diritti alla Follia. 

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

 
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