Cancro e non solo, la colpa è tutta dell’inquinamento

Nel corso degli ultimi secoli, l’uomo ha contaminato il proprio ambiente con una quantità di sostanze di produzione industriale: metalli pesanti, pesticidi, smog e additivi sono solo alcuni esempi di prodotti e sottoprodotti industriali ormai diffusi ovunque. Allo stesso momento, da qualche decennio si sta assistendo a un aumento di malattie come tumori, malattie neurodegenerative, obesità, diabete e intolleranze alimentari, per citare solo le più evidenti.

Sempre più persone si domandano se l’aumento di certe malattie sia imputabile all’inquinamento. Per approfondire questa questione Epoch Times ha intervistato il dottor Ernesto Burgio, pediatria che da anni svolge ricerca nell’ambito dell’epigenetica del cancro e del neurosviluppo per conto di diverse società scientifiche, soprattutto all’estero. Burgio fa anche parte di numerosi comitati scientifici e collabora con diverse università.

Qual è il ruolo dell’inquinamento nello sviluppo del cancro?

È una domanda molto complessa. Attualmente si tende a pensare che il cancro sia una sorta di incidente genetico. Da una trentina di anni, questa malattia si considera correlata a mutazioni casuali del Dna e quindi si valuta come un incidente biologico. Ma secondo la ricerca che da 15/20 anni viene portata avanti in vari istituti (in particolare, nel mio caso, all’European Cancer and Environment Research Institute), il cancro è il prodotto di una progressiva destabilizzazione del Dna di vari tessuti, essenzialmente causata dall’esposizione ambientale a vari agenti inquinanti. Oramai nell’aria o nelle catene alimentari esistono numerose sostanze cancerogene che nel medio-lungo periodo (ma alcune volte anche in breve tempo) determinano instabilità del Dna e nel medio lungo termine producono mutazioni.

È chiaramente un cambio di paradigma: non sono le mutazioni casuali del Dna a provocare il cancro, ma al contrario gli inquinanti e altri stressor a destabilizzare la doppia elica e a provocare mutazioni. Pertanto, il cancro dovrebbe essere sempre più inquadrato come una malattia epigenetica e non genetica, e anche come malattia ambientale piuttosto che un incidente biologico.

Cosa implica questo cambio di paradigma?

È un cambiamento, mi passi il termine, quasi epocale. Fino a qualche tempo fa, si pensava che nel Dna di tutti gli organismi in ogni cellula esistesse un ‘programma’ definitivo una volta per tutte e che le mutazioni casuali avrebbero determinato la comparsa di malattie. Il Progetto Genoma e l’attuale modalità con cui vengono considerate le malattie è fondato ancora su questo modello: il Dna come un programma genetico di base.

L’epigenetica studia invece il genoma e il suo ‘software’ – l’epigenoma – come un’entità dinamica, aperta ai ‘flussi informazionali’ provenienti dall’ambiente. Soprattutto nelle prime fasi della vita, quella embrionale e fetale, ma entro certi limiti per tutta la vita, l’epigenoma e non soltanto il Dna, subiscono gli influssi positivi e negativi dell’ambiente, in particolare dell’inquinamento. Per esempio la presenza di inquinanti nell’aria, come benzene, particolato ultrafine e idrocarburi poliaromatici, o nelle catene alimentari (emblematicamente pesticidi ed erbicidi), non altera il Dna dando origine a mutazioni, ma spinge progressivamente l’intero software del genoma a una instabilità progressiva di cui le mutazioni sarebbero una conseguenza.

Gli effetti principali dell’adozione del modello epigenetico è che le malattie non sono incidenti causati da errori nel Dna, ma il prodotto di queste instabilità che riguardano numerosi tessuti e organi. Basti pensare per esempio al sistema nervoso centrale, in cui si assiste a un aumento progressivo dei disturbi del neurosviluppo e malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, oppure al sistema immunocompetente in cui si assiste a un aumento di allergie e malattie autoimmunini, o ancora ai tumori che possono interessare tutti gli organi esposti.
Anche le patologie endocrino-metaboliche, in particolare l’obesità e il diabete di tipo II, come i disturbi del neurosviluppo e le malattie neurodegenerative, sono il prodotto di un’instabilità del programma genetico legata non tanto alla sequenza del Dna ma appunto al suo software, l’epigenoma.

Quali sono questi agenti destabilizzanti?

In parte sicuramente gli inquinanti, come quelli nell’aria che respiriamo: benzene, idrocarburi poliaromatici, metalli pesanti e il particolato, soprattutto ultrafine, diffuso prevalentemente nell’atmosfera delle grandi città. Ma anche nelle catene alimentari, dal momento che i cosiddetti ‘interferenti endocrini’, buona parte dei quali costituiti da pesticidi ed erbicidi, svolgono un ruolo preponderante, visto che si diffondono in tutte le catene alimentari interferendo con tutte le età della vita dell’uomo.

È per questo motivo che la s-programmazione epigenetica di organi e tessuti potrebbe avere un ruolo veramente maggiore, addirittura da una generazione a un’altra. Potremmo anche dire che obesità e diabete di tipo II stanno dilagando non tanto per un’alimentazione sbagliata delle persone che si ammalano, ma a causa degli errori dietetici dei loro genitori e in particolare delle mamme. Porto un esempio: se durante la gravidanza si segue una dieta incongrua con un’eccessiva presenza di zuccheri o si assumono cibi inquinati da interferenti endocrini, si può causare una cattiva programmazione nei tessuti dei figli.

È sufficiente una generazione per il trasferimento di questa informazione?

La ricerca sta evidenziando che il comportamento alimentare, ma in generale anche l’esposizione ad agenti inquinanti dei gameti, dell’embrione o del feto, si manifesta nella generazione successiva. Questo aumento significativo delle patologie croniche, infiammatorie e tumorali va dunque correlato all’esposizione dei genitori, piuttosto che a quella diretta dei bambini o dei giovani. Una sorta di passaggio trans-generazionale degli effetti epigenetici.

Quali sono le categorie più sensibili ai cambiamenti di questi agenti?

L’organismo in via di sviluppo è quello maggiormente plastico poiché sta programmando il proprio epigenoma per tutta la vita. Pertanto, queste interferenze possono creare errori di programmazione dei tessuti e negli organi, che poi si manifestano nel bambino o nell’adulto. I periodi più delicati sono dunque l’età fetale e i primi due anni di vita, e l’Organizzazione mondiale della Sanità pone l’accento proprio sui primi mille giorni. In Italia, la Società italiana di Pediatria, la Federazione italiana medici pediatri, la Società italiana di Pediatria preventiva sociale e il ministero della Salute hanno istituito tavoli di esperti che si occupano sempre di questi mille giorni, fondamentali per la salute di tutta la vita.

Questi agenti producono altri effetti?

Sì e le categorie di inquinanti sono tante. Obesità, diabete di tipo II, alcune patologie allergiche e tumorali ma anche i disturbi del neurosviluppo, stanno probabilmente aumentando proprio per questa interferenza nella prima fase della vita, quando il feto o il bambino piccolo si sta organizzando per reagire alle sollecitazioni ambientali. E questo limitandosi semplicemente ai pesticidi e ai plastificanti (in buona parte ‘interferenti endocrini’). Tutte le patologie in aumento avrebbero dunque base epigenetica piuttosto che genetica.

Gli interenti endocrini interferiscono con la produzione ormonale delle ghiandole endocrine?

È un termine coniato 30/40 anni fa, quando ancora si pensava che fossero essenzialmente molecole che disturbavano l’attività ormonale e la loro modalità di espressione, come per esempio la regolazione del metabolismo o della riproduzione. Attualmente si sta comprendendo che c’è molto di più: sono molecole mimetiche che possono comportarsi come ormoni, ma anche come fattori di crescita e che possono interferire con la programmazione dei tessuti fetali e provocare effetti dopo 20/30 anni.
Pesticidi, metalli pesanti e plastificanti sono molecole che ingannano i sistemi di regolazione dell’organismo. Per questo, negli ultimi anni gli studi dell’Organizzazione mondiale della sanità di queste sostanze sono diventati fondamentali. Adesso anche nell’ambito della pediatria italiana sta diventando molto importante.

Recentemente ha dichiarato che lo studio dell’inquinamento va affrontato in maniera diversa. Può spiegare meglio questo concetto?

Si spiega sulla base di quanto detto finora. Sino ad alcuni anni fa, si pensava all’inquinamento come a un qualcosa che colpiva le categorie più esposte, come per esempio gli operai nelle industrie. Ma non è più così. Oggi l’inquinamento è un fenomeno diffuso ovunque. Basti pensare all’aria che si respira in città, oppure alle catene alimentari e ovviamente anche alle falde acquifere. Un fenomeno che determina un ‘carico chimico’ globale; in altre parole gli inquinanti sono presenti ovunque. Pertanto, l’inquinamento diffuso è il vero problema perché espone tutti, non solo adulti ma anche bambini e organismi in via di sviluppo.

Inoltre questa esposizione è ‘sinergica’. Prima si era abituati a studiare gli inquinanti e i singoli effetti. Ma ormai siamo esposti, sempre più chiaramente, a tutte queste sostanze nello stesso momento: respiriamo, beviamo, mangiamo e siamo anche circondati da campi elettromagnetici, una forma molto recente e ubiquitaria di inquinamento.

Prima ha parlato del feto. In che cosa consiste il fetal programming?

Non è un termine generico. Significa che è in grado e ha la necessità di programmare i propri tessuti. Questi processi vengono attuati attraverso la programmazione del Dna, o meglio del proprio epigenoma, sulla base delle informazioni ricevute e innescano risposte adattative all’ambiente in modo predittivo. In altre parole, se l’embrione e il feto ricevono informazioni corrette si programmano correttamente; se invece esiste una presenza di interferenti endocrini, il Dna riceve informazioni sbagliate e si programma in modo non corretto. Questo è pericoloso poiché la programmazione fetale è la base dello sviluppo dell’organismo per tutta la vita. L’aumento delle malattie croniche, infiammatorie e tumorali è in larga parte causata dall’alterazione del fetal programming – la programmazione epigenetica dei tessuti.

L’aumento dell’autismo è correlato all’inquinamento?

È uno dei problemi al contempo più complessi e difficili da valutare. Questo va detto, perché di fatto l’aumento dei disturbi del neurosviluppo, in particolare di spettro autistico, è stato notevole negli ultimi trent’anni soprattutto nei Paesi anglosassoni dove i numeri sono molto allarmanti. I dati di diagnosi, negli Stati Uniti e in Inghilterra parlano addirittura di un aumento dell’autismo da un bambino su 1.500 di trent’anni fa, a uno su 70 di oggi. Una crescita venti volte superiore, che però va correttamente interpretata altrimenti costituirebbe un dato spaventoso. Non bisogna fermarsi a questo dato, ma approfondire e capire ad esempio quanto giochi la maggior capacità diagnostica e una maggiore attenzione e sensibilità verso questi problemi. Ma che l’aumento ci sia, direi che è molto probabile viste le cifre registrate dai maggiori centri epidemiologici ed è legata ancora una volta a numerosi fattori.

Certamente se durante la gravidanza e nei primi due anni di vita viene disturbato lo sviluppo delle reti neuronali, si possono determinare difficoltà notevoli di comunicazione e socializzazione. Il punto chiave è l’importanza di riconoscere immediatamente il problema: se la diagnosi avviene entro i primi due anni di vita, si può fare ancora molto; più tardi diventa difficoltoso intervenire con la terapia comunicazionale. Questo perché l’autismo non è un disturbo ‘organico’: il cervello non è infatti danneggiato, ma solo il suo software.

Gli inquinanti che possono determinare l’autismo sono probabilmente numerosi e, ancora una volta, è un problema di sinergia. L’inquinamento atmosferico delle grandi città, i pesticidi, probabilmente i campi elettromagnetici, possono tutti costituire fattori di disturbo. Come anche lo stress materno fetale e le infiammazioni della madre. Difatti, se la madre presenta un’infiammazione cronica non ben curata, può interferire sulla formazione delle reti neuronali. Pertanto questi problemi devono essere studiati nella loro complessità e analizzati con attenzione.

L’educazione dei genitori nei primi anni di vita gioca un ruolo importante?

Per anni questo è stato il modello dominante, al punto che c’è stato un eccesso di attenzione che responsabilizzava troppo i genitori. Una volta si diceva che l’autismo è il prodotto della ‘mamma frigorifero’, ossia della mamma che non sa dare affetto. Questa concezione negli ultimi anni è stata molto ridimensionata. Casomai lo stress della madre può interferire, ma il problema è dato dall’insieme dei fattori che stanno interferendo.
Tutto avviene soprattutto nella fase fetale fino ai primi anni di vita. Si è pensato anche che la causa fossero i vaccini, ma era una teoria astrusa. Bisogna invece spostare l’attenzione sulla grande quantità di fattori che disturbano la genesi delle reti neuronali: di nuovo, catene alimentari inquinate, inquinamento atmosferico, stress materno fetale, infiammazioni non ben curate nella madre.

Nei bambini si sta assistendo a una crescita di certi tumori, come i linfomi e i rabdomiosarcomi. È imputabile agli inquinanti?

L’aumento dei tumori infantili è stato documentato soprattutto verso la fine degli anni 90. Per una ventina d’anni, l’Agenzia europea di ricerca sul cancro ha condotto un enorme studio su oltre 130 mila tumori maligni contratti da bambini e adolescenti. Ha concluso che in Europa si è assistito a un aumento considerevole di questi tumori, soprattutto nel primo anno di vita.

Ora si sta cercando di valutare più a fondo quello che è successo negli ultimi dieci anni. L’aumento c’è stato e probabilmente l’esposizione a fattori inquinanti ha avuto un ruolo importante. Anche perché non è stato solo un aumento quantitativo ma si è anche assistito, come lei ha giustamente fatto notare, all’insorgenza di tumori che prima erano molto rari. Non è infatti aumentata la leucemia linfoblastica, che da quarant’anni è il tumore più frequente nei bambini e meglio curato. Piuttosto sono aumentate altre forme di leucemie, i linfomi (che prima erano quasi inesistenti nel bambino), i neuroblastomi e i sarcomi.

Questa situazione ha fatto veramente pensare che esistessero dei fattori che disturbavano la programmazione fetale. Sulla base dei nuovi studi epidemiologici, bisognerà vedere nei prossimi anni se la situazione migliorerà. Sicuramente l’aumento di questa patologie va studiato in modo complessivo e con grande attenzione. E, lo ripeto, bisogna spostare molto l’attenzione sui primi mille giorni di vita e mettere in sicurezza la gravidanza, riducendo l’esposizione delle mamme. La chiave è la prevenzione primaria. Non è sufficiente curare e nemmeno fare diagnosi precoce, sebbene sia molto importante.

Anche le intolleranze e le allergie sono imputabili a questi fattori ambientali?

Porto l’esempio della celiachia, l’intolleranza genetica al glutine. Sicuramente non sta aumentando come tale poiché la base genetica non cambia, ma piuttosto sono in crescita varie forme di intolleranze al glutine. Questo perché il glutine non è più quello di una volta: le proteine dei farinacei sono alterate, trattate e vengono stoccate per lunghi periodi nei magazzini. Inoltre l’ecosistema dei microbi nell’intestino, il cosiddetto microbiota, si sta alterando e questo crea una sorta di leggera infiammazione persistente della parete intestinale che a sua volta causa un aumento dell’assorbimento di proteine estranee. Il problema non è il singolo allergene, piuttosto questa infiammazione cronica dell’intestino che favorisce intolleranze e allergie. Ancora una volta, la chiave è la prevenzione: produrre cibi più naturali e controllare la filiera alimentare.

Recentemente ha dichiarato che la genetica scrive a penna, l’epigenetica a matita. Cosa significa?

È una frase interessante che è stata più volte citata. Significa che nella visione tradizionale, sono le mutazioni o i polimorfismi del Dna (le diverse varianti alleliche) a determinare le patologie: una visione semplicistica. Oramai il Dna sempre più si studia come un sistema molecolare complesso, dotato di epigenoma, un software dinamico. L’epigenoma è continuamente modulato dalle informazioni che riceve: è un programma adattativo, come i programmi del computer. Inoltre la sua programmazione è trasformabile e questo può fare la differenza poiché in presenza di informazioni corrette, l’epigenoma si corregge. Quindi molte patologie sono prevenibili, ma anche potenzialmente meglio curabili. L’epigenetica apre una grande prospettiva per il futuro.

La mente può costituire un fattore determinante nella programmazione epigenetica?

È una domanda che meriterebbe una lunga trattazione. Coscienza, cervello, mente, sono termini che vanno ridefiniti e studiati in modo sistemico. Che cosa sono e come interferiscono sull’intero sistema, ossia sull’organismo è quello che dobbiamo comprendere. È un problema immenso, non solo di tipo biochimico ma anche biofisico: la cosiddetta biologia quantistica ci aiuterà a capire in che modo il pensiero può interferire sulla materia organica del cervello e sull’intero sistema.

È una tematica che non si deve affrontare con leggerezza, come fanno alcuni pseudo-esperti di epigenetica che affermano che le idee influiscono sul Dna, senza far nulla per dimostrarlo.
Diventa sempre più importante studiare a fondo come l’epigenetica, che è una branca della biologia molecolare, possa subire l’influsso fisico-elettromagnetico e quantistico – di quello che chiamiamo coscienza. Per ora stiamo essenzialmente formulando ipotesi e, come diceva Einstein, è importante spiegare in modo semplice ma non bisogna semplificare oltre un certo limite. Altrimenti questioni importantissime vengono banalizzate e perdono di senso e di valore.

La politica che ruolo può giocare per migliorare questa situazione?

Se è vero, e personalmente ne sono convinto, che l’epigenetica è un grande strumento per capire il modo in cui l’ambiente possa interferire positivamente o negativamente nella prima fase della vita, è chiaro che le istituzioni avranno un ruolo importantissimo nei prossimi anni. Prima di tutto le istituzioni politiche, quelle socio-sanitarie e infine tutte quelle che possono ricoprire un ruolo sul territorio per attuare strategie di prevenzioneprimaria. Dalle leggi alle norme applicative, dalla produzione dell’informazione al modo in cui si fa diagnosi e si cura il bambino, la parola chiave diventa veramente prevenzione: ridurre gli inquinanti, produrre cibi più sani, evitare l’uso e l’abuso di pesticidi, evitare l’uso di antibiotici in zootecnia (si sta facendo già molto ma bisogna fare di più) e anche in medicina, perché se continuiamo a usarli in modo inconsulto rischiamo di causare la diffusione dei germi di resistenza e di perdere questi farmaci che sono una risorsa fondamentale della medicina.

In tutti questi campi, il politico avrà un ruolo importante, coadiuvato dai mezzi di stampa. Ci attende quindi un impegno collettivo e interdisciplinare. La capacità di tradurre in decisioni utili quanto si studia e si comprende, esiste. Bisognerà però lavorare con maggiore operosità affinché la Ricerca e la Medicina non siano troppo condizionate da interessi economici che in questo campo sono veramente enormi.

 
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