Il regime di Pechino controlla anche i cinesi all’estero

È ben noto come il Partito Comunista Cinese governi utilizzando il pugno di ferro, con organizzazioni di Partito posizionate a ogni livello della società. Recentemente tuttavia, il controllo da parte degli organi di Partito si è esteso anche alle società straniere e a università in Cina finanziate dall’estero.

Non è molto chiaro come il regime cinese eserciti il controllo sui suoi cittadini che si trovano all’estero, ma un recente articolo del Global Times (quotidiano cinese in lingua inglese controllato dal regime) mostra come i cinesi all’estero continuino a vivere costantemente sotto l’ombra del Pcc. Il caso del recente incidente all’Università Davis della California, dove alcuni accademici della Cina continentale hanno istituito un organismo affiliato al Partito   ̶ salvo poi smantellarlo nel timore che potesse violare le leggi degli Stati Uniti   ̶ rappresenta solo una delle tante circostanze in cui il Pcc influenza i cittadini cinesi che vivono all’estero.

Secondo l’articolo pubblicato sul Global Times il 28 novembre, l’Università Nazionale della Tecnologia per la Difesa, una delle principali accademie militari in Cina, nel 2012 ha istituito all’estero otto filiali del Partito per i suoi studenti in scambio linguistico-interculturale e accademici specializzati. L’articolo cita il Pla Daily, la rivista ufficiale dell’esercito cinese, e afferma che una filiale del Partito può aiutare gli studenti cinesi all’estero «a resistere alla corrosiva influenza delle ideologie dannose» occidentali.

L’Università per gli Studi Internazionali di Shanghai (Sisu), ha poi creato delle filiali del Partito per i suoi studenti in interscambio culturale all’estero, in Messico, Cile e in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Olanda. Wang Xinyu, il capo della filiale in Spagna, e che attualmente studia presso l’Università Autonoma di Madrid, ha reso noto come gli studenti cinesi che si trovano presso la filiale abbiano scritto dei resoconti in cui hanno esposto i loro pensieri; un resoconto del genere di solito serve a monitorare la visione e le opinioni che una persona ha verso il Partito Comunista Cinese, in modo da poter determinare se quella persona rimanga sempre fedele al Partito o no. Al Global Times, Wang ha dichiarato: «Studiamo regolarmente la teoria del Partito e secondo le direttive della nostra sede centrale in Cina».

Ma, oltre alle università straniere, anche le aziende cinesi che conducono i loro affari all’estero attraverso l’iniziativa ‘One Belt One Road’ [Una cintura, una via, ndt]  ̶  un progetto in infrastrutture e una rete commerciale promossa dal leader cinese Xi Jinping, basato sull’antica Via della Seta, che collega la Cina con i Paesi euroasiatici  ̶  hanno stabilito le loro proprie filiali locali del Partito.

Nel citare un resoconto del media statale Guangming Daily, il Global Times ha inoltre reso noto che Zheng Xuexuan, vice presidente di un’impresa edile statale, ha ritenuto opportuno che per i suoi dipendenti fosse creata una filiale del Partito, per poterne controllare il pensiero e assicurarsi che sia sempre allineato ai diktat del Partito; per Zheng il problema è che «i loro pensieri possono cambiare da un momento all’altro, ponendo sfide al lavoro ideologico e politico».

Nel frattempo, il regime cinese ha ‘esortato’ le aziende straniere che fanno affari in Cina a creare organizzazioni di Partito all’interno delle loro imprese. Per il Pcc, tali organizzazioni sono autorizzate a prendere parte al processo decisionale aziendale, in modo da garantire che le attività commerciali siano in linea con le politiche cinesi.

Di recente, ad esempio, le aziende tedesche che operano in Cina hanno espresso la loro preoccupazione attraverso le delegazioni dell’industria e del commercio tedesco. L’organizzazione, in una dichiarazione pubblicata sul proprio sito web il 24 novembre, afferma: «Abbiamo potuto constatare che le decisioni aziendali prese senza interferenze esterne rappresentano una solida base per l’innovazione e la crescita […] Se questi tentativi di influenzare le imprese a capitale straniero dovessero continuare, non si può escludere che le aziende tedesche possano ritirarsi dal mercato cinese o riconsiderare le strategie di investimento». E secondo l’ultimo sondaggio annuale sulla fiducia delle imprese, pubblicato dall’ufficio commerciale tedesco di Taipei il 30 novembre, in contrasto col contesto imprenditoriale meno favorevole in Cina continentale, le aziende tedesche continuano ad avere fiducia nei loro investimenti a Taiwan. Il sondaggio ha infatti rilevato che il 39 per cento delle aziende prevede di investire, entro i prossimi due anni, in una nuova sede a Taiwan, mentre il 67 per cento considera buona o molto buona la propensione delle autorità taiwanesi verso gli affari.

Secondo infatti la politica ibrida di ‘una nazione due sistemi’ in qualche modo accettata dal regime comunista cinese, la situazione amministrativa, sociale ed economica differisce non poco fra il Continente e Taiwan, Macao e Hong Kong: mentre la Cina continentale continua a vivere sotto la dittatura totalitaria del partito unico al potere a Pechino, i taiwanesi godono di un governo ‘democraticamente eletto’ sin dagli anni ’90.  A Taiwan, infatti, il «sistema basato sulla democrazia e la libertà, la cooperazione tra industria e governo è la base per lo sviluppo futuro», ha dichiarato Axel Limberg, direttore esecutivo dell’Ufficio commerciale tedesco di Taipei, in un’intervista alla New Tang Dynasty Television Asia-Pacifico (Ntdtv Ap), aggiungendo di non aver mai visto le autorità di Taiwan interferire con le imprese straniere.

 

Articolo inglese: How the Chinese Regime Controls Chinese Abroad

Traduzione di Alessandro Starnoni

 
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