Il racket (e l’ingenuità) dell’immigrazione africana

Gli esperti del settore dell’immigrazione, al contrario del pubblico generale, lo sanno bene: la stragrande maggioranza dei migranti che arrivano in Italia sono di tipo economico e non fuggono da guerre o dittature. Cercano l’Europa, invece, perché sognano di migliorare la propria condizione economica, che molto spesso non è di povertà, ma già di relativo benessere.

C’è quindi un problema di scarsa informazione (oltre che in Italia) in Africa: molti giovani – secondo l’esperta di storia africana Anna Bono, intervistata da Libero – sono infatti convinti che basti entrare in Europa per divenire ricchi. Ma la realtà è che, arrivati in Italia, si ritroveranno a non contare nulla, in una società culturalmente diversa, con una lingua che non padroneggiano e spesso senza titoli di studio validi, né le possibilità finanziarie per intraprendere nuovi percorsi di studio. E molto spesso il sogno diventa incubo: lavoro agricolo, salari da fame e caporali senza scrupoli.

Ma né le cause della partenza (la disinformazione) né i suoi effetti (il lavoro sotto i cosiddetti ‘caporali’) sono solo frutto del caso o della ingenuità del migrante. Anzi, fanno molto spesso parte di un piano – semplice quanto efficace – del trafficante africano e dell’imprenditore italiano a cui il caporale risponde.

Il sociologo Marco Omizzolo, che ha studiato il caporalato in prima persona, infiltrandosi nei campi come lavoratore, definisce «delocalizzazione sul posto» lo sfruttamento dei migranti in Italia nei campi agricoli. L’imprenditore in Italia, infatti si avvantaggia della possibilità di assumere dei migranti a stipendi molto bassi, senza dover delocalizzare.
A volte la forma dello sfruttamento è quella di assunzioni con contratti regolari con stipendi a norma, che però il migrante si ritrova costretto a restituire in buona parte, pena il licenziamento.
Altre volte il lavoro è del tutto in nero. E non di rado l’imprenditore esige anche altri tipi di ‘tributi’, da parte delle braccianti donne o dalle mogli dei braccianti uomini.

Il caporale è quello che gestisce e organizza il lavoro agricolo ed è quindi il tramite tra imprenditore e lavoratori. È di solito straniero e bilingue ed esige assoluta disciplina dai braccianti, che tipicamente inganna con false promesse di ogni tipo sulle loro condizioni di lavoro future. Senza considerare che a volte – racconta Omizzolo nel suo studio – il caporale o l’imprenditore truffano i lavoratori facendosi pagare centinaia di euro per servizi quasi gratuiti, come l’ottenimento di una carta d’identità.

Tornando alla disinformazione in Africa, nemmeno l’assoggettamento ai caporali è casuale. Infatti, a contatto con il caporale o l’imprenditore, c’è la figura del trafficante/sponsor: un soggetto con una fitta rete di contatti in Africa, che convince i giovani a venire in Italia facendo loro promesse più o meno ingannevoli.
A volte la promessa sul tipo di lavoro è onesta, ma viene taciuto quanto le condizioni siano precarie; oppure si lascia sperare il migrante che, seppur precario, il lavoro sia volto ad accumulare denaro per una successiva crescita. Altre volte il trafficante paga i costi del viaggio, esigendo in seguito la restituzione del prestito: secondo un articolo di lindro.it questo è anche il motivo per cui molte donne africane si prostituiscono (volontariamente ed avendone coscienza fin da prima del viaggio) in Italia.
Il calcolo di molti migranti è che, superata una fase iniziale di accumulo del denaro e di pagamento dei debiti, si potrà partire alla volta della Francia o di altri Paesi, dove accrescere la propria posizione sociale: «In Libia tutti gli immigrati sanno che gli italiani reclutano stranieri per la raccolta dei pomodori – racconta Asserid, un migrante nigeriano, citato da un articolo di meltingpot.org – Ecco perché sono qui. Questa è solo una tappa. Non avevo alternative. Ma spero di risparmiare presto qualche soldo e di arrivare a Parigi».

Ma è facilmente comprensibile quanto questo progetto di vita sia illusorio: molto spesso i giovani africani rimangono bloccati nei campi per anni. E, anche in seguito, il futuro che li attenderà non sarà certo radioso, mancando queste persone di titoli di studio e di mezzi socioeconomici ‘per farsi una posizione’ (un traguardo niente affatto semplice anche per gli italiani).

In tutto questo, si intrecciano poi legami tra imprenditori, caporali e criminalità organizzata, sia italiana che africana. A volte queste attività illecite proliferano perché i controlli vengono evitati grazie alla corruzione, e talvolta il caporale o l’imprenditore hanno bisogno di utilizzare la forza per assicurare la disciplina e persino far fuori chi si ribella e mette in pericolo il sistema.

Viene a questo punto da chiedersi, perché a certi imprenditori agricoli e venga lasciata a tal punto ‘mano libera’ – per usare un eufemismo – mentre tanti altri vengono sottoposti a controlli e tartassamenti di ogni genere; verifiche a volte giuste, ma che altre volte arrivano al limite della ‘persecuzione’ burocratico-fiscale. Come è legittimo chiedersi, quanto costerebbero – ad esempio – i pomodori, se chi si ‘spezza la schiena’ a raccoglierli fosse retribuito (in regola) a 1.200 euro al mese, invece di poche centinaia di euro.

E viene anche da pensare alla tanto ‘amata’ Europa: in questa ultra decennale emergenza immigrazione, cosa hanno fatto e fanno le autorità e le istituzioni europee? Che ruolo hanno, in un simile scenario, le superpotenze europee Francia e Germania?

Al di là della facile retorica di stampo pseudo-umanitario (o razzistico), quindi, a scavare un minimo sotto la superficie si riesce a scorgere quanto complessi siano i problemi sociali, economici e politici connessi all’immigrazione. E quanto ancora tanto vi sia da capire, prima di essere in grado di ‘fare la cosa giusta’.

 
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