Il racconto di un americano finito in una prigione cinese senza ragione

Di Steven Schaerer

Bam! Tutto il mio corpo tremò quando sentii le guardie del Pcc sbattere la grande porta di metallo dietro di me.

Ero inorridito. Rimasi lì, coperte macchiate di sangue in mano, cercando di comprendere il mio nuovo ambiente: l’interno di una cella in una prigione comunista cinese di un sito nero.

Giorni prima, c’era stato un blitz della polizia nel mio ufficio a Pechino, a seguito del quale mi era stato detto di presentarmi in una stazione di polizia per discutere del motivo per cui io fossi nel Paese.

Dopo essere stato separato dai miei colleghi ho passato ore ad essere interrogato dagli agenti di polizia del Pcc. «Sai quanti soldi guadagniamo?», mi ha chiesto uno degli agenti di polizia dopo che il suo collega ha ispezionato i miei documenti cinesi dell’imposta sul reddito.

«No», ho risposto.

«Tu guadagni più di quanto guadagniamo noi», ha risposto, sottintendendo che uno straniero che guadagna più di un cittadino cinese fosse di per sé una cosa illegale. «Fai troppi soldi nel nostro Paese».

Dopo quasi quattro ore di interrogatorio, la polizia del Pcc ha praticamente tirato fuori ed esaminato la mia intera vita, ma non ha trovato prove di alcuna violazione della legge. Mi è stato chiesto di firmare e mettere le impronte digitali su quasi 40 pagine di documenti in cinese che non mi è stato dato il tempo di leggere o tradurre.

In Cina, quando la polizia ti dice di fare qualcosa, è una imposizione, non una domanda. Non ci sono organizzazioni per i diritti umani, meccanismi per un giusto processo o giornali che parlino della brutalità della polizia.

E non sapevo che, con questo stratagemma, mi erano stati fatti firmare segretamente i documenti della mia «confessione».

«Venite a ritirare i vostri passaporti domani», ci è stato detto dai funzionari del Pcc.

Siamo tornati la mattina successiva, come da istruzioni, aspettandoci di ritirare i nostri passaporti. Una volta all’interno della stazione di polizia, siamo stati introdotti in una stanza sterile che aveva un tavolo di legno di grandi dimensioni al centro e sedie lungo le pareti.

Dopo quasi un’ora di «attesa per i nostri passaporti», un furgone da trasporto di quelli che si usano per i prigionieri è apparso dalla finestra. Uno dei miei colleghi mi ha dato una gomitata affermando sarcasticamente: «Forse è per noi». Abbiamo riso.

Quel veicolo di trasporto carcerario in stile militare si è rivelato un’orribile sorpresa per iniziare i nostri giorni. I funzionari del Pcc hanno mentito sfacciatamente: si è scoperto che non eravamo alla stazione di polizia per «ritirare i nostri passaporti».

«Entrate», ci ha abbaiato uno dei funzionari, dopo che eravamo stati condotti fuori. Senza nemmeno un’accusa formale o la prova che fosse stata violata alcuna legge, siamo stati successivamente rinchiusi nella gabbia nel retro del furgone.

Quel veicolo alla fine ci avrebbe trasportato alla nostra destinazione finale quella stessa notte: un complesso carcerario non ufficiale in stile militare.

Per quasi 15 ore, siamo stati tenuti in una cella di detenzione senza accusa, trasportati in una miriade di stazioni di polizia e centri di elaborazione, e siamo stati costretti a sottoporci a una serie di test medici contro la nostra volontà.

In Cina non esiste un giusto processo. Non ci sono avvocati da chiamare, nessun diritto Miranda, nessuna cauzione, nessuna telefonata, nessun giorno in tribunale e nessun mezzo di comunicazione che possa legalmente parlare della tua storia. Il Pcc dice che sei colpevole e semplicemente sparisci dalla società dopo essere stato rinchiuso in una gabbia.

Nessuno, a parte il Partito Comunista, ha il potere di impugnare tale decisione. Se ci provi, sparisci anche tu.

In base alle famigerate e vaghe leggi sulla sicurezza della Cina, alla fine siamo stati falsamente accusati di essere «impiegati illegalmente» nel Paese.

Quando siamo finalmente arrivati ​​al complesso della prigione siamo rimasti sbalorditi dal livello di sicurezza. L’ingresso era un posto di blocco presidiato con porte di metallo alte 9 metri per l’ingresso e l’uscita dei veicoli. Il perimetro era altrettanto robusto, con alti muri di cemento rivestiti di filo spinato e torri di avvistamento presidiate da guardie armate. Questa non era una struttura di detenzione alternativa: era una prigione.

All’interno, ci hanno sottratto tutte le nostre cose. Siamo stati spogliati nudi, fatti passare attraverso i metal detector, spinti in stanze dove è stato prelevato il nostro sangue e ci è stata fatta la scansione dell’iride in appositi macchinari. Tutto questo dopo essere stato trattenuto per quasi 15 ore senza cibo e acqua.

Ci è stato detto di prendere le coperte da un bidone (erano macchiate di sangue) e ci hanno dato una giacca, pantaloni e sandali della prigione.

Per quasi un mese, non ho visto altro che l’interno della mia cella di prigione dove siamo stati rinchiusi 24 ore al giorno, ad eccezione di una routine di esercizi settimanali che si è svolta nel cortile della prigione nelle gelide temperature invernali di Pechino.

Sono stato rinchiuso con altri 16 detenuti che condividevano un unico bagno ‘alla turca’, costretto a mangiare fanghiglia gialla da un secchio comune e a dormire su assi di legno con le coperte macchiate di sangue.

La cella della prigione doveva contenere da otto a dieci detenuti. Eravamo in 17. Luci fluorescenti luminose ci venivano puntate addosso 24 ore al giorno e i prigionieri dormivano piegati l’uno sull’altro, sullo spazio insufficiente delle assi di legno.

Ogni due ore, i detenuti dovevano darsi il turno per fare il «controllo»: dovevi stare in piedi contro il muro e guardare gli altri detenuti per assicurarti che nessuno cercasse di uccidere un altro. Se capitava, c’era un pulsante rosso sul muro da premere per le emergenze.

In altre parole, queste condizioni rendono impossibile dormire e sei forzatamente privato del sonno. Degli studi dimostrano che l’esposizione prolungata a queste condizioni provoca letteralmente l’atrofia del cervello.

«È illegale contattare la tua ambasciata», veniva detto abitualmente a me e agli altri detenuti stranieri. Alcune volte sono stato tirato fuori dalla mia cella, per fare il traduttore del dialogo tra le guardie e i detenuti stranieri che avevano smesso di mangiare in altre celle.

«Fallo mangiare», ordinavano le guardie, mentre indicavano uno straniero indifeso sull’orlo della morte, mentre sulle pareti erano affissi cartelli di avvertimento per il suicidio.

Dopo quasi un mese in cui sono stato trattenuto e detenuto a tempo indeterminato, sono stato finalmente tirato fuori dalla mia cella dalle guardie del Pcc.

«Americano, vieni.»

Sono stato deportato a San Francisco nel novembre del 2016, la stessa Bay Area in cui sono nato e dove avevo frequentato il college.

Sono tornato negli Stati Uniti estremamente malnutrito, orribilmente privato del sonno, malato e tormentato dal disturbo da stress post-traumatico. Sono fortunato ad essere ancora vivo.

A tutto ciò ho risposto scrivendo un libro di 350 pagine che riporta gli orrori di quell’esperienza, intitolato: Sopravvivere alla detenzione comunista cinese.

Questo è un avvertimento e un campanello d’allarme per qualsiasi cittadino straniero che entri in Cina. Indipendentemente dal fatto che tu sia un turista, un ingegnere, un imprenditore o un giornalista, in quel Paese non sei al sicuro.

Come straniero in Cina, sei seduto su una bomba a orologeria che può esplodere in qualsiasi giorno e per qualsiasi motivo. Non devi infrangere una sola legge e puoi avere tutti i documenti di lavoro necessari per operare legalmente nel Paese, ma non sei ancora al sicuro.

La Cina non è un Paese che abbraccia i diritti umani, il giusto processo, e nemmeno le proprie leggi. Questo è il mio avvertimento a qualsiasi cittadino straniero che abbia l’idea di visitare o trasferirsi in Cina per qualsiasi motivo: non andare.

 

Steven Schaerer è un tecnico e autore del libro «Sopravvivere alla detenzione comunista cinese».

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Why Is China’s Communist Party Indefinitely Detaining and Torturing Bay Area Entrepreneurs?

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