Il prima e dopo Fidel Castro a Cuba

Cosa è stato il prima e quale sarà il dopo Fidel Castro, è la domanda a cui in molti cercano di rispondere, dopo la morte del Líder Máximo il 26 novembre scorso a L’Avana. Tuttavia, agli occhi dei giovani della nuova generazione cubana, praticamente cresciuti sotto l’unica ideologia socialcomunista, appare ancora un argomento ostico da affrontare.

C’è da tenere in considerazione il fatto che Fidel, che si diplomò in Diritto Diplomatico all’Università di L’avana, impose la sua leadership a seguito di un’attività di guerriglia, alla quale diede inizio nella metà degli anni 50. La sua ascesa al potere porta a interrogarsi su grandi questioni come la giustizia, la libertà e la democrazia, e a indagare sul significato delle parole dittatura e totalitarismo, così come di quelle esecuzioni che hanno caratterizzato la lotta in nome dei suoi ideali.

Cuba, prima che il Líder Máximo sbandierasse il suo motto ‘Patria o morte, vinceremo’, secondo i dati ufficiali del Banco mundial, contava circa 7 milioni di abitanti accompagnati da un’aspettativa di vita di 63 anni, cifre di molto superiori a quelle del resto dell’America Latina (in cui l’aspettativa di vita è 56 anni), e del terzo mondo (dove l’aspettativa era di 40 anni).

Dopo Castro, secondo il programma Historia Cultural de Cuba, «il 20 per cento della popolazione se ne è andato». Già questa frase basterebbe a riassumere il dramma umano che la popolazione cubana è stata costretta a vivere.
In una relazione prodotta dal regime castrista (L’educazione e la salute a Cuba), dove si cerca di fare il punto sui successi in tema di salute ed educazione, viene riconosciuto proprio questo punto: «Assieme al trionfo della rivoluzione, molti insegnanti e professori, così come quasi la metà dei medici che Cuba contava nel 1959, hanno abbandonato il Paese».

Oggi a Cuba ci sono più di 11 milioni di abitanti e l’aspettativa di vita è di 79 anni, al pari di quella degli Stati Uniti, anche se ancora inferiore a quella del Cile e di alcuni Paesi europei.

Secondo i dati storici, tra il 1902 e il 1934, Cuba accolse circa 1,2 milioni di immigrati; in seguito il flusso migratorio si mantenne pressoché nullo, ma dal 1959, secondo i dati di Cuba Geográfica citati da Herald, «cominciò a crescere drammaticamente», anche se nel senso opposto. Infatti, si calcola che agli inizi degli anni 90, circa un milione di persone aveva abbandonato il Paese.

Tra il 1990 e il 2014, un totale di 610.811 cubani ha ottenuto una residenza permanente negli Usa; a questa cifra c’è da sommare quella sconosciuta dei cubani provenienti da altri Paesi, in particolare Spagna, Canada e Messico. Inoltre, l’Ufficio della dogana e della protezione delle frontiere degli Stati Uniti, nell’anno fiscale 2015, ha registrato 40.115 casi di entrata nel Paese senza visto, e nel luglio del 2016 la cifra era ulteriormente aumentata.

Ma perché così tante persone hanno deciso di fuggire dal loro Paese? Perché hanno deciso di abbandonarlo nonostante Fidel avesse garantito di aver raggiunto una situazione di equità e uguaglianza nella popolazione?

Dalle guerre di indipendenza dalla Spagna — iniziate da Carlos Manuel Céspedes quando liberò i suoi schiavi sulla Sierra Maestra il 10 ottobre 1874 — la Repubblica di Cuba è passata da periodi conservatori fino all’entrata al potere del Partito Rivoluzionario, guidato da José Martí, nel 1895. Ma nel 1899, dopo che la Spagna perse tutte le sue provincie d’oltremare nella guerra ispano-americana, gli Usa imposero il loro governo fino al 1934.
Da allora, tutti i tentativi di sviluppare una repubblica indipendente e democratica fallirono, e nel 1952 ci fu il colpo di Stato di Fulgencio Batista; qualche anno dopo si verificò quello della ‘Rivoluzione Cubana’ di Fidel nel 1959, tramite il quale il Líder Máximo impose il suo potere assoluto.

Dalle parole di sua sorella, Juanita Castro, si apprende che la rivoluzione fu un periodo cruento, che seminò odio. La donna lasciò il Paese nel 1964 per recarsi in Messico e mai più fare ritorno. Oggi continua a sostenere la sua posizione, contraria a quella del fratello e di Che Guevara, in particolar modo sul tema delle esecuzioni.
La rivoluzione «mi ha fatto uscire pazza – ha dichiarato a novembre in un’intervista televisiva – Il primo dei rivoluzionari più spietati è stato Che Guevara, per le sue ingiustizie. C’erano persone che per vivere avevano sempre lavorato con il Governo di Batista, e non avevano nessuna colpa, inclusi soldati che appartenevano all’esercito precedente, senza alcun grado; fucilavano chiunque, non so se per impressionare il mondo o per vendetta. Non so cosa ha portato Che Guevara a compiere così tante malvagità gratuite. Questo mi ha avvelenata per tutta la vita».
«All’inizio, forse ingenuamente, ho voluto credere che Fidel non lo sapesse; dopo mi sono resa conto che stava ingannando persino me, così ho cercato di far scappare i prigionieri che arrestavano per le loro idee politiche, che alla fine erano stati traditi da Fidel e dal regime che aveva instaurato».

Ernesto ‘Che’ Guevara, nel 1964, provando a giustificare le esecuzioni all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sostenne che fosse colpa degli Stati Uniti; queste le sue parole citate dalla Bbc: «È una verità conosciuta e non l’abbiamo mai nascosta agli occhi del mondo. Esecuzioni, sì. Abbiamo fucilato, fuciliamo e continueremo a fucilare finché sarà necessario. La nostra lotta è una lotta di morte […] Viviamo in queste condizioni per imposizione dell’imperialismo nordamericano».

Ernesto Pinto-Bazurco Rittler, ex ambasciatore del Perú a Cuba, nel suo libro Diplomazia e Libertà, ha descritto la disperazione del popolo cubano che abbandonava in massa il proprio Paese a causa della rivoluzione di Fidel e Guevara, persino decenni dopo le loro principali conquiste.

Stando al media peruviano El Comercio, il diplomatico ha raccontato che il 4 aprile del 1980, 10 mila 834 persone ‘invasero’ la sua dimora per chiedere asilo, ma egli dovette negoziare direttamente con Fidel per tutta la notte prima di ottenere il lasciapassare. In questo modo li salvò da una morte certa, fosse essa causata da una carestia o da fucilazione: «Per dare un’idea di quella che era la situazione, c’erano cinque persone per metro quadro. Quello era un segnale del fatto che c’era un’enorme pressione sociale così come un’enorme necessità di scappare dal Paese». Tre di quelle persone che ottennero l’asilo quella notte, rimasero nell’ambasciata addirittura nove anni prima di potersene andare. Uno di loro era un poliziotto che aveva disertato.
Quella notte, Castro, descrivendo la sua ‘duttilità’ nel modo di esercitare il potere, aveva riferito al diplomatico: «C’è una differenza bella grande tra noi; io so uccidere e tu no».

L’organizzazione El Cato, nella sua relazione intitolata I fallimenti della rivoluzione di Cuba, riferisce: «Il regime di Fulgencio Batista era autoritario, era sorto da un colpo di Stato violento, ma vi erano ancora delle libertà pubbliche sufficienti a far circolare 120 pubblicazioni, a permettere l’esistenza di partiti di opposizione legale, di stazioni radio e di canali televisivi indipendenti, e a lasciare i cittadini liberi di entrare e uscire dal Paese».
«Oggi Cuba è governato da un regime totalitario che ha sostituito quello autoritario di Batista; cioè un partito unico di ideologia comunista con l’economia nazionalizzata, dove si reprime chi la pensa diversamente e si ostacola l’autonomia della società civile».
Dopo il 1959 Fidel fece in modo che tutti i mass media venissero confiscati o messi al servizio del partito e del governo: «Il Partito comunista, l’unico permesso, ha il monopolio su tutte le attività politiche dell’isola ed è assistito dalle cosiddette organizzazioni di massa […] L’unica libertà di espressione non repressa è quella che coincide con il Partito Comunista».

In merito al controllo delle masse, Fidel stesso ha riferito, nel suo discorso del 3 agosto del 1985 nella sessione di chiusura dell’incontro sul debito estero dell’America Latina e dei Caraibi: «Le idee non hanno bisogno di armi, nella misura in cui sono capaci di conquistare le grandi masse».
Il carismatico leader della guerriglia è diventato però popolare sia con le armi che con le parole, dopo l’assalto alla Caserma Moncada nel 1953. Lì evitò la pena di morte ergendosi a difensore di se stesso.

Prima della rivoluzione, quando Fidel venne assolto dall’accusa di aggressione armata, dopo un breve periodo di detenzione si rifugiò in Messico, dove organizzò l’invasione del 1956 che rovesciò il governo Batista nel 1959.

Secondo Cuba Archive, tra il 1952 e il 1958, a Batista sono state attribuite 1182 morti, tra cui 650 esecuzioni extragiudiziali, e 339 contro i suoi oppositori. Al regime di Fidel invece, tra il 1959 e il 2016 sono state attribuite 7062 morti, tra le quali 3116 sono avvenute tramite fucilazione, 1166 tramite esecuzioni extragiudiziali, e per le restanti si parla di sparizioni, scioperi della fame e suicidi politici.

A sua volta, il giorno in cui Fidel abdicò in favore del fratello, l’Archivio di Cuba del New Jersey, aggiornato dall’economista Armando Lago, aveva documentato 85.675 morti causate dalla rivoluzione cubana. 77.833 di queste sono una stima dei cubani che sono morti in mare cercando di fuggire. «Attualmente, il governo cubano onnipotente controlla ancora la maggior parte dei mezzi di produzione, e il gruppo imprenditoriale delle forze armate ha ampliato il suo controllo sul capitale e le risorse. I diritti individuali, tra cui quello alla proprietà privata, sono aberrazioni, come stipulato nella Costituzione; lo stesso vale per i raggruppamenti della società civile, tra cui i sindacati indipendenti […] Tutti i media rimangono nelle mani dello Stato e l’accesso a internet è estremamente limitato».

La Costituzione del 1840, instaurata da Batista, nell’articolo 25 proibiva la pena di morte per reati politici, ma la autorizzava in casi di «carattere militare, in caso di tradimento o di spionaggio a favore del nemico con una nazione straniera in tempo di guerra, e altri casi di crimini e terrorismo di estrema gravità».
Nel 1959, Fidel cambiò la Costituzione, applicò la riforma agraria con l’espropriazione delle terre, ed estese la pena di morte alle persone «condannate per reati controrivoluzionari».

Fidel era il comandante in capo delle Forze armate rivoluzionarie (1956-2008) e primo segretario del Partito Comunista di Cuba fondato da lui stesso dal 1965 al 2011, quando ha trasferito tutti i suoi incarichi al fratello Raul. 

Dopo la riforma agraria cubana del 1959, Castro espropriò i terreni e le proprietà commerciali statunitensi, entrando in un periodo di conflitto di interessi. Il governo degli Stati Uniti finì per interrompere le relazioni politiche e commerciali, stabilendo un embargo.

Nei suoi discorsi e con le sue parole, Fidel Castro alimentò non solo i sogni e gli ideali delle masse diseredate, ma anche l’odio per l’America, Paese al quale attribuì ogni tipo di disgrazia nella quale poteva incorrere il suo regime. Nel suo lungo intervento presso l’auditorium delle Nazioni Unite ha parlato per quattro ore; ma il suo discorso più lungo lo ha tenuto il 26 febbraio 1998, quando di fronte al Parlamento cubano si è fermato solo dopo sette ore e quindici minuti.

LA PENA DI MORTE SECONDO FIDEL

Gran parte di quel che riguarda ‘Cuba dopo Fidel’ si può comprendere ascoltando i suoi discorsi. Nel 2003 il leader è stato criticato per la fucilazione di Lorenzo, Bárbaro e Jorge, e per l’ergastolo dei loro compagni con i quali sequestrarono e tentarono di dirottare un traghetto tra la città di Avana e Casablanca.
Nell’analizzare il caso, l’Organizzazione Prodecu ha riferito: «Dopo due giorni di detenzione i sequestratori sono stati presentati al procedimento sommario. Il processo è durato solo 3 giorni e il processo di appello, incluso lo svolgimento del nuovo processo, altri due giorni».

Il media di Stato Gramma ha segnalato che Castro aveva chiesto una punizione severa e immediata, nonostante «tutti i passeggeri a bordo della nave sono stati salvati senza la necessità di ricorrere a sparatorie» e nonostante non vi fosse stato alcun ferito. Fidel in seguito, in uno dei suoi discorsi, ha giustificato queste esecuzioni. In primo luogo, come era solito fare, si è contraddetto affermando di essere contrario alla condanna a morte; dopo ha concluso il suo discorso affermando che si trattasse di un atto nobile e religioso: «I terroristi che dirottano le navi passeggeri o commettono atti di gravità simile, verranno sanzionati da parte dei giudici in base alle leggi precedenti. Neanche Cristo, che ha scacciato con una frusta i i mercanti dal tempio, non opterebbe per la difesa del popolo».
Questi discorsi di Castro non passano di certo inosservati, soprattutto dal momento che Fidel studiò in una scuola lasalliana e in un’altra gesuita. 

Il presidente dell’Istituto di Storia di Cuba, Renè Gonzalez, ha riferito alla Bbc che «tutte le esecuzioni nella storia della rivoluzione erano pubbliche, con processi pubblici aperti al popolo cubano, alla stampa nazionale e internazionale. E quelli che incorrevano in tali sanzioni avevano sulle spalle cause per gravi crimini contro il popolo cubano».

Dopo l’esecuzione del Generale Arnaldo Ochoa e del suo assistente, il colonnello Antonio de la Guardia, così come del suo aiutante Amado Padron, avvenute nel 1989, Ileana, la figlia di Antonio de la Guardia, ha riferito in una recente intervista a Diario Las Americas che «il processo è stato come una specie di circo dove tutti si accusavano a vicenda o si auto-accusavano. Più tardi abbiamo appreso che erano stati ricattati, che si dovevano auto-incolpare per sfuggire alla pena di morte e per proteggere la famiglia; c’erano molti ricatti verso la famiglia. Così è andato avanti il processo fino alla fine; la famiglia ha voluto fare appello, ma ci è stato negato. Poi il Consiglio di Stato si è pronunciato unanimemente a favore dell’esecuzione. Sono stati fucilati appena un mese dopo essere stati arrestati».

Gli accusati si trovavano in Africa, ma sono stati accusati di traffico di droga avvenuto su navi che entravano a Cuba. La giovane, che è ora in Francia, ha indicato che «a partire dall’anno 86 o 87 sono apparsi a Cuba articoli di stampa molto critici, sulla rivista Sputnik e Mosca News che parlavano della glasnost e del fatto che Gorbaciov stava per apportare rapidi cambiamenti. La gente lo leggeva e in casa di mio padre si parlava molto di questo, ne parlavamo in giardino, credevamo ci fossero microfoni ma non importava. Il fatto di trovarsi a un alto livello sociale e sapere che i sovietici stavano già cambiando il sistema, ha fatto loro credere che Fidel Castro avrebbe accettato, hanno pensato che non poteva essere così pazzo da rifiutare il cambiamento».
Ha dichiarato inoltre che molto probabilmente suo padre è morto perché ha spesso espresso il seguente pensiero di apertura: «Bisogna rendersi conto che questo non funziona più, bisogna dare la libertà alle persone di avere opinioni, viaggiare, e di godere dei diritti umani».
Ma Raul Castro diceva: «Quegli ufficiali che criticano, se ne andassero in Europa dell’Est», e ad un certo punto aveva anche pronunciato direttamente lo slogan «abbasso Ochoa», ha riferito la giovane.

La neurologa Hilda Molina, fondatrice della Scuola cubana e Latino-americana per la Riabilitazione Neurologica (Ciren), eletta al Parlamento di Cuba nel 1993 per i suoi meriti scientifici, ha voluto condividere la sua visione della realtà cubana dal punto di vista della salute; queste le sue parole agli studenti universitari argentini citate da El Cato: «La società nella quale si proietta il sistema sanitario cubano, è una società malata, perché per quasi mezzo secolo, molte generazioni sono cresciute sotto la mancanza di qualcosa di essenziale per la condizione umana, la libertà. In ogni caso, i medici, i pazienti, tutti sono malati. Si tratta di una società malata. Il governo cubano ha utilizzato risorse illimitate per propagare e rafforzare il mito del suo sistema sanitario insuperabile, perché questo mito serve come salvacondotto per agire impunemente da regime totalitario, regime che si è stabilito nel nostro Paese a vita».
Nel 1994, la dottoressa Molina si è dimessa dal regime cubano, sostenendo che il governo intendeva trasformare il suo istituto di cura in qualcosa di esclusivo per gli stranieri, con un fatturato in dollari. Il governo di Cuba riconosce questo fatto come una necessità economica per il Paese.

È interessante notare come, nel campo della salute, le istituzioni statali che sono state create per offrire un servizio al popolo, vengano trasformate in private dallo Stato, e per queste solo pochi godano dei diritti. In questo modo le persone si sentono tradite.

Nella Cuba dopo Fidel, si spiega questa vicenda riconoscendo che il capitalismo è qualcosa di comune nella società di oggi: si riceve denaro in cambio di un servizio. Tuttavia, tra gli innumerevoli contrasti e ambiguità che caratterizzano questo regime totalitario, si parla ancora di combattere il capitalismo. 

 

Traduzione di Alessandro Starnoni 

 
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