Il ‘Grande Reset’ e il rischio di un Grande Interventismo

Secondo l’Istituto della Finanza Internazionale, il debito globale dovrebbe raggiungere la cifra record di 277 mila miliardi di dollari entro la fine del 2020.

Intanto, il debito totale dei mercati sviluppati – governo, imprese e famiglie – è aumentato al 432% del Pil nel terzo trimestre. E anche il rapporto debito/Pil dei mercati emergenti è salito a quasi il 250 per cento nello stesso periodo di tempo, con la Cina che ha raggiunto il 335 per cento e che dovrebbe arrivare a circa il 365 per cento del Pil globale a fine dicembre.

La maggior parte di questo enorme aumento di 15 mila miliardi di dollari in un anno deriva dalle risposte dei governi e delle imprese alla pandemia. Tuttavia, va ricordato che il debito totale aveva già raggiunto livelli record nel 2019, prima della pandemia e in un periodo di crescita.

Il problema principale è che la maggior parte di questo debito è un debito improduttivo. I governi stanno usando permessi fiscali senza precedenti per perpetuare la spesa corrente, che non genera alcun reale ritorno economico; quindi, probabilmente il debito continuerà a crescere anche dopo la fine della crisi della pandemia, e il livello di crescita e di produttività raggiunto non sarà sufficiente a ridurre l’onere finanziario sui conti pubblici.

Il Grande Reset

In questo contesto, il World Economic Forum (Wef) ha presentato una tabella di marcia per quello che è stato chiamato ‘Il Grande Reset’. Si tratta di un piano che mira a cogliere l’opportunità per «modellare la ripresa» e «contribuire a informare tutti coloro che determinano lo stato futuro delle relazioni globali, la direzione delle economie nazionali, le priorità delle società, la natura dei modelli di business e la gestione di un global commons».

Secondo il Wef, il mondo deve anche adattarsi alla realtà attuale «orientando il mercato verso un futuro più equo […], deve assicurare che gli investimenti avanzino verso obiettivi condivisi, come l’uguaglianza e la sostenibilità […] e sfruttare le innovazioni della Quarta rivoluzione industriale per sostenere il bene pubblico».

Questi obiettivi sono ovviamente condivisi, ma la realtà dimostra che il settore privato sta già attuando queste idee: la tecnologia, gli investimenti rinnovabili e i piani di sostenibilità prosperano in tutto il mondo.

Si sta infatti assistendo in tempo reale alla prova che le imprese si adattano rapidamente e forniscono beni e servizi migliori a prezzi accessibili a tutti, raggiungendo un livello di progresso negli obiettivi ambientali e nel benessere che sarebbe impensabile se fossero i governi, invece, al comando del processo.

Questa crisi dimostra proprio che il mondo è sfuggito al rischio della scarsità e dell’iperinflazione, grazie a un settore privato che ha superato ogni aspettativa in una crisi apparentemente insormontabile.

Pericolo di interventismo

Il messaggio complessivo del Wef sembra promettente. Ci sono solo tre parole che lo rovinano: «guidare il mercato». C’è quindi il grande rischio che i governi partano da queste idee per promuovere un massiccio interventismo. L’idea del Grande Reset, del resto, è stata rapidamente abbracciata dalle economie più burocratiche, il che convalida il trend del crescente intervento dei governi nell’economia.
Tuttavia, questo non è corretto e funzionale.

L’idea che i governi promuovano un sistema economico che riduca l’inflazione, migliori la concorrenza e dia più potere ai cittadini è più che inverosimile. In quanto tale, il Wef non può ignorare il rischio di un intervento governativo su questa idea di Grande Reset, che del resto non ha bisogno di essere artificialmente applicato in quanto è già in atto da anni.

La tecnologia, la concorrenza e i mercati aperti faranno sempre più per la sostenibilità, il benessere sociale e l’ambiente rispetto al governo, perché anche i governi con le migliori intenzioni cercheranno di difendere ad ogni costo tre cose che vanno contro il messaggio del Wef: le grandi aziende nazionali, l’aumento dell’inflazione e un maggiore controllo dell’economia. Queste tre cose vanno contro l’idea di un nuovo mondo con beni e servizi migliori e più accessibili per tutti, con un maggiore benessere, una minore disoccupazione e un fiorente settore privato ad alta produttività.

Anche se le idee sembrano buone, bisognerà sempre preoccuparsi di coloro che sono contro la libertà e la concorrenza.

Cancellare il debito

C’è una parte ancora più oscura. Molti interventisti hanno accolto questa proposta come un’opportunità per cancellare il debito. E sembra tutto bello, finché non si capisce cosa questo comporterebbe veramente.

C’è l’enorme rischio, infatti, che i governi usino la scusa di cancellare parte del loro debito per ‘cancellare’ anche gran parte dei risparmi delle persone. E questa non è nemmeno una teoria del complotto: la maggior parte dei sostenitori della Teoria monetaria moderna partono dalla premessa che i disavanzi pubblici siano compensati dai risparmi delle famiglie e del settore privato, e che quindi non vi sia alcun problema. Beh, l’unico problema minore (si noti l’ironia) è quindi far corrispondere il debito di uno con i risparmi di un altro.

Se si comprende il sistema monetario globale, allora si capirà che cancellare miliardi di debito pubblico significherebbe anche cancellare miliardi di risparmi dei cittadini.

L’idea di un sistema economico più sostenibile, più pulito e sociale non è nuova, e non ha bisogno che i governi la impongano. Sta accadendo proprio ora, grazie alla concorrenza e alla tecnologia. Non si dovrebbe però permettere ai governi di ridurre e limitare la libertà dei cittadini, i loro risparmi e i loro salari reali, neanche per una promessa in buona fede.

Il modo migliore per garantire che i governi o le grandi imprese non usino questa scusa per eliminare la libertà e i diritti individuali è promuovere il libero mercato e una maggiore concorrenza. Investimenti lungimiranti e idee che favoriscono il benessere non hanno bisogno di essere spinti o imposti: i consumatori stanno già facendo sì che le aziende di tutto il mondo attuino politiche sempre più sostenibili e rispettose dell’ambiente.

L’idea di un approccio orientato al mercato è di gran lunga migliore rispetto al rischiare che l’interventismo e la manipolazione del governo prendano il sopravvento, perché una volta accaduto sarebbe quasi irreversibile.

Se si vuole un mondo più sostenibile, bisogna difendere politiche monetarie sane e meno interventi governativi. I liberi mercati, non i governi, renderanno questo mondo migliore per tutti.

 

Daniel Lacalle, Ph.D., è capo economista presso l’hedge fund Tressis e autore di ‘Libertà o Uguaglianza’, ‘Fuga dalla trappola della Banca Centrale’ e ‘La vita nei mercati finanziari’.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

Articolo in inglese: The ‘Great Reset’ and the Risk of Great Interventionism

 
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