Il Giappone ha finito di scherzare e ora prende la Cina sul serio

Di Richard A. Bitzinger

La Cina costituisce un pericolo militare in crescita per i suoi vicini, che si sta espandendo in termini di dimensioni, capacità e qualità. E in nessun luogo questa crescente insicurezza nei confronti della Cina è più evidente che in Giappone.

Pechino è sempre più intransigente e risoluta nel portare avanti i suoi obiettivi di grande potenza regionale, soprattutto da quando i suoi progressi nel campo militare le consentono un approccio così aggressivo. La Cina costituisce infatti la principale minaccia militare per l’Occidente e per lo status quo politico-militare nella regione Asia-Pacifico.

Un decennio fa, Tokyo era molto più tollerante nei confronti del cattivo comportamento del regime cinese. Il white paper sulla difesa del Giappone del 2010 osservava semplicemente che le attività militari regionali della Cina costituivano una «preoccupazione per la regione», e quindi, si diceva, «dobbiamo analizzarla attentamente».

Oggi, l’atmosfera a Tokyo è molto più cupa. Nel suo Libro bianco sulla difesa del 2021, il Giappone ha senza mezzi termini la accusato Cina di portare ancora avanti «i suoi tentativi unilaterali di cambiare lo status quo nei mari della Cina orientale e meridionale». Questo in riferimento alle affermazioni secondo cui Pechino sta militarizzando le isole Spratly e Paracel, espandendo le operazioni navali e paramilitari nel Mar Cinese Meridionale e lavorando per aumentare la portata operativa dell’Esercito di Liberazione Popolare (Pla) negli oceani Pacifico e Indiano. Più vicino a casa, la Cina sta sempre più allungando la propria potenza marittima e aerea vicino al Giappone, in particolare intorno alle contese Isole Senkaku/Diaoyu.

Nel complesso, Tokyo sostiene che la Cina stia tentando di «trasformare in routine» le sue operazioni aeree e navali nelle acque vicine al Giappone.

Il libro bianco del 2021 è ancora più esplicito quando si tratta del peggioramento della situazione della sicurezza intorno a Taiwan. I precedenti white paper avevano cercato di essere più cauti quando si trattava di Taiwan, preferendo semplicemente affermare che «l’equilibrio militare complessivo tra Cina e Taiwan sta pendendo a favore della Cina».

Oggi Tokyo è inequivocabile. Il libro bianco sulla difesa del 2021 afferma senza mezzi termini che «stabilizzare la situazione che circonda Taiwan è importante per la sicurezza del Giappone e la stabilità della comunità internazionale» e sottolinea che la situazione deve essere osservata da vicino con un «senso di crisi».

Questo punto sull’importanza centrale della sicurezza di Taiwan è stato riaffermato durante un evento di raccolta fondi politica del luglio 2021, quando il vice primo ministro giapponese Taro Aso ha dichiarato che un’invasione cinese di Taiwan costituirebbe una «minaccia esistenziale» che potrebbe spingere Tokyo a esercitare il suo diritto all’autodifesa collettiva.

Nonostante questo riconoscimento di una crescente minaccia militare dalla Cina, il Giappone ha impiegato un po’ di tempo per reagire. L’espansione militare compensativa del Giappone è stata lenta e non ha in alcun modo eguagliato la Cina in termini di dimensioni o ritmo. Tuttavia, va detto che è diventata comunque sempre più netta.

Diversi sviluppi recenti dimostrano questo costante progresso nella modernizzazione della posizione di difesa del Giappone. Nel 2014, il governo giapponese ha annullato il divieto quasi totale sulle esportazioni di armi. Nello stesso anno, anche Tokyo aveva abbandonato la sua tradizionale «posizione esclusivamente orientata alla difesa», a favore del «diritto all’autodifesa collettiva».

Entrambe queste azioni hanno lo scopo di «normalizzare» le politiche di difesa del Giappone. Ciò ha significato l’acquisizione di nuove capacità offensive da parte delle Forze di autodifesa giapponesi (Sdf) come le armi aria-terra a guida di precisione (per esempio le munizioni di attacco diretto congiunte a guida Gps).

Le nuove politiche consentono inoltre al Giappone di cooperare più strettamente con alleati e altri partner, soprattutto quando si tratta di sicurezza e difesa comuni.

Più recentemente, anche Tokyo ha iniziato a rafforzare le forte di autodifesa (Sdf). È nel mezzo dell’acquisto di 157 Joint Strike Fighter F-35 (Jsf), tra cui 42 versioni «B» dell’F-35, la variante a decollo corto e atterraggio verticale (Stovl) del Jsf. Allo stesso tempo, il Giappone sta andando avanti a tutto gas su un caccia da combattimento indigeno di «quinta generazione» – l’X-2/F-3 – e persino una «sesta generazione di aereo da combattimento».

La Forza di Auto-Difesa Aerea (Asdf) del Giappone probabilmente sostituirà tutti i suoi vecchi aerei da combattimento (F-15, F-4 e F-2) con un massimo di 350 caccia di quinta e sesta generazione. Una tale Asdf costituirebbe un formidabile contraltare alla modernizzazione dell’aeronautica cinese.

Come osservato in precedenza, il Giappone acquisirà presto anche le sue prime portaerei dopo più di 75 anni. Nel 2018, la Japan Maritime Self-Defense Force (Msdf) ha annunciato che avrebbe convertito i suoi due «cacciatorpediniere elicotteri» di classe Izumo da 27.000 tonnellate, fondamentalmente navi d’assalto anfibie a ponte aperto, in navi in ​​grado di utilizzare velivoli ad ala fissa.

Quei 42 F-35B che il Giappone sta acquistando, molto probabilmente verranno schierati su queste navi. All’inizio di ottobre, la Msdf ha condotto i suoi primi decolli e atterraggi di un F-35B dal ponte dell’Izumo, inaugurando lo status della nave come portaerei ad ala fissa. Ognuna di queste navi probabilmente trasporterà da 12 a 24 F-35B.

Se ciò accade, il Giappone avrà le sue prime portaerei dalla fine della seconda guerra mondiale. Secondo John Venable, un esperto di difesa presso la Heritage Foundation, le forze Sdf che operano sull’F-35B creeranno una «serie più diversificata di complicazioni per il Pla» fornendo all’Asdf aerei da combattimento che non dipenderebbero dalle piste e dando la potenza aerea marittima Msdf.

L’Sdf sta anche aggiornando il suo arsenale in altri modi, con nuovi velivoli da pattugliamento marittimo, un cacciatorpediniere di nuova generazione, una capacità di difesa missilistica ampliata e un nuovo missile aria-aria a medio raggio (in fase di sviluppo in collaborazione con il Regno Unito).

Per pagare tutto questo, il Partito Liberal Democratico al governo ha sollevato l’idea di raddoppiare il bilancio della difesa, dall’1% del Pil al 2%. Naturalmente, un tale aumento dovrebbe essere introdotto gradualmente nel corso di diversi anni. E questo se effettivamente si realizzerà. Del resto,la cifra dell’1% del Pil è stata più o meno incorporata per tradizione nella politica di difesa nazionale del Giappone dagli anni ’60 e potrebbe mancare il sostegno pubblico per il suo raddoppio.

Tuttavia, il Giappone, spinto dalle crescenti minacce provenienti dalla Cina (e dalla Corea del Nord), sta compiendo lenti ma inesorabili progressi nel trasformare le Sdf in un esercito capace di proiettare forza e di impegnarsi nella difesa collettiva con alleati e altri partner. A Tokyo va il merito di aver compiuto passi coraggiosi per diventare un ostacolo più efficace alla crescente potenza militare cinese nella regione.

 

Richard A. Bitzinger è un analista di sicurezza internazionale indipendente. In precedenza è stato membro anziano del programma di trasformazione militare presso la S. Rajaratnam School of International Studies (Rsis) di Singapore e ha ricoperto incarichi nel governo degli Stati Uniti e in vari think tank. La sua ricerca si concentra su questioni di sicurezza e difesa relative alla regione Asia-Pacifico, compresa l’ascesa della Cina come potenza militare, la modernizzazione militare e la proliferazione degli armamenti nella regione.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Japan Gets Serious About China

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