Il ‘don’t be evil’ di Google usa due pesi e due misure

Il 6 dicembre, Joseph Dunford, un importante generale statunitense, ha definito «inspiegabile» il comportamento di Google, che da un lato sta rifiutando di lavorare con il Pentagono e dall’altro continua a fare affari con la Cina, dove le aziende godono di libertà notevolmente minori rispetto agli Stati Uniti.

«I buoni siamo noi – ha dichiarato il generale – Mi sembra inspiegabile che scenda a compromessi pur di ampliare il proprio giro di affari in Cina, dove la libertà è limitata, e la proprietà intellettuale delle aziende viene acquisita forzatamente».

Il portavoce di Google responsabile delle questioni cinesi non ha voluto commentare a caldo le dichiarazioni del generale. Tuttavia, recentemente l’amministratore delegato Sundar Pichai aveva dichiarato che l’azienda investe in Cina da anni e intende continuare a farlo, così come intende continuare a collaborare con il governo americano nei progetti legati alla sanità e alla sicurezza informatica.

Ad ogni modo sembra che Google non voglia più collaborare con il Pentagono; l’azienda ha recentemente comunicato di non essere più interessata a una gara d’appalto da 10 miliardi di dollari per la realizzazione di un sistema di cloud computing per conto del Dipartimento della Difesa Usa, perché il progetto non è conforme alle nuove linee guida etiche aziendali.

Inoltre, a giugno il gigante dell’informatica ha annunciato di non voler rinnovare l’attuale contratto con l’esercito americano per l’analisi delle immagini dei droni aerei, nella speranza di placare le polemiche interne scoppiate in seguito all’accordo. Il cosiddetto ‘Project Maven’, infatti, ha fatto scatenare quasi una rivolta all’interno dell’azienda, in quanto una parte dei dipendenti si è mostrata fortemente contraria all’uso della tecnologia Google in ambito militare.

È tuttavia peculiare come Google stia invece continuando a sviluppare un motore di ricerca appositamente censurato per gli utenti cinesi, attualmente ancora in fase sperimentale.

Naturalmente il colosso dell’IT ha sempre cercato di aumentare la propria presenza in Cina, poiché il Paese rappresenta il mercato di internet più grande al mondo. Il problema è che per competere con i principali servizi internet autoctoni è necessario il sostegno del governo. E pur di ottenerlo, Google ha deciso di piegarsi alla censura.

 

Articolo in inglese: Top US General Urges Google to Work With Military

 

 
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