Il cattivo comportamento di Pechino le si sta ritorcendo contro

Di Richard A. Bitzinger

La Malesia, un Paese che di solito mantiene buoni rapporti con la Cina, ha avuto un piccolo assaggio della «strisciante assertività» di Pechino. Il 1 giugno, una flotta di aerei militari cinesi disposti in formazione tattica è entrata entro 60 miglia nautiche dalla Malesia orientale, all’interno della zona economica esclusiva della Malesia nel Mar Cinese Meridionale. L’aeronautica malese ha successivamente fatto decollare molti dei suoi aerei da combattimento per intercettare questi velivoli.

Questo incidente è solo il più recente di una lunga serie di atti belligeranti da parte del regime cinese, volti a portare avanti delle rivendicazioni nel Mar Cinese Meridionale e altrove. E sicuramente non sarà l’ultimo.

È difficile da credere ora, ma non molto tempo fa la Cina era vista come un agente per la pace e la stabilità nell’Asia-Pacifico. Nei primi anni del 21° secolo, Pechino è stata attivamente impegnata in un’intensa «campagna del sorriso» mirata a dimostrare di essere un attore non conflittuale dedito esclusivamente a una «ascesa pacifica». La Cina ha cercato di rassicurare i suoi vicini di essere un partner responsabile e costruttivo, impegnato a mantenere, a grandi linee, lo status quo regionale.

Nel 2004 l’Istituto internazionale per gli studi strategici affermava infatti che la Cina era disposta a «mettere da parte controversie politiche attive» che non potessero essere «riconciliate immediatamente, a condizione che nessuna delle altre parti coinvolte [disturbasse, ndr] lo status quo», in particolare lo status di Taiwan; la Cina, piuttosto, era pronta a rifocalizzare «le sue energie sull’espansione del commercio e della cooperazione con tutti i suoi vicini».

Forse questa strategia del ‘gioco gentile’ è stata più evidente che in ogni altro aspetto, nelle relazioni della Cina con gli Stati membri dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean). La Cina è stata il primo Stato non del sud-est asiatico a firmare un Trattato di amicizia e cooperazione con l’Asean. Questo accordo è stato seguito dal partenariato strategico Asean-Cina per la pace e la sicurezza, e da un accordo sul «Piano d’azione». La Cina è quindi diventata un partecipante attivo del Forum regionale dell’Asean (Arf), della Conferenza sulla politica di sicurezza dell’Arf (Aspc) e delle riunioni dell’Asean+3.

Durante gli anni 2000, la Cina si è sforzata molto per impedire che la disputa sul Mar Cinese Meridionale diventasse un punto critico internazionale. Nel 2002 Pechino e l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Asean) hanno concordato una «Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar Cinese Meridionale», che affermava l’intenzione dei firmatari di risolvere pacificamente le controversie territoriali e giurisdizionali e di esercitare l’autocontrollo nel Mar Cinese Meridionale, che «complica o aggrava le controversie e influenza la pace e la stabilità». L’accordo includeva esplicitamente l’astenersi da ulteriori costruzioni sulle isole allora disabitate.

Andiamo avanti di 15 anni o giù di lì: sotto Xi Jinping la Cina ha scatenato una linea d’azione aggressiva – il «sogno cinese» – guidata dal nazionalismo e da un senso di vittimismo, resa possibile dal crescente sviluppo economico e tecnologico, e sottolineando la «rivitalizzazione della nazione cinese». Un sottoprodotto chiave di questa strategia è una politica estera molto più assertiva, persino belligerante, doppiamente aggressiva.

Tutto questo è dolorosamente familiare alla maggior parte di noi. Pechino è diventata sempre più intransigente e bellicosa nel far pressione per portare avanti le sue rivendicazioni territoriali, in particolare nel Mar Cinese Meridionale. Secondo Pechino al giorno d’oggi non c’è «contenzioso», perché la Cina ha «sovranità indiscutibile» sul Mar Cinese Meridionale: chiaro e semplice. Lancia anche argomentazioni pretestuose sui primi avvistamenti storici delle Isole Spratly da parte di pescatori cinesi, o sulla scoperta di frammenti di ceramiche o monete cinesi su alcuni di questi isolotti. Accusa poi altri Paesi, come le Filippine, di «bullismo» verso la Cina, e sostiene che gli Stati Uniti e altre marine occidentali, conducendo pattugliamenti per la libertà di navigazione (Fonops) nel Mar Cinese Meridionale, operino in luoghi che non sono di loro diritto. Più recentemente, la «sovranità indiscutibile» è stata utilizzata per giustificare la costruzione da parte della Cina (e la successiva militarizzazione) delle isole artificiali nelle Spratly.

Inoltre, Pechino usa un linguaggio sempre più bellicoso quando quelle nazioni non sono abbastanza accomodanti. Un recente articolo del giornale statale cinese in lingua inglese, il Global Times, ha duramente attaccato l’Australia definendola «troppo debole per essere un degno oppositore della Cina», aggiungendo che se il Paese avesse osato «interferire in un conflitto militare, ad esempio, nello Stretto di Taiwan, le sue forze sarebbero tra le prime ad essere colpite». In particolare, l’Australia è «a portata» dei missili balistici a medio raggio della Cina e «non deve credere di riuscire a nascondersi, se provoca».

Qual è stato il grande crimine australiano? L’Australia ha avuto la temerarietà di unirsi a Stati Uniti, Francia e Giappone in una serie di esercitazioni navali nel Mar Cinese Orientale.

La nave da guerra della Royal Australian Navy Hmas Paramatta naviga di fronte all’iconica Sydney Opera House il 4 ottobre 2013. (Saeed Khan/Afp/Getty Images)

Ironia della sorte, l’Australia aveva passato anni a cercare di aggraziarsi Pechino. In particolare, l’ex primo ministro Kevin Rudd aveva propagandato la creazione di una «Comunità Asia-Pacifico» che avrebbe notevolmente innalzato il profilo regionale della Cina.

Tuttavia a partire dal 2018, le relazioni tra i due Paesi si sono inasprite per le crescenti preoccupazioni che la Cina stesse tentando di inibire la libertà di parola nelle università e nel governo australiano, e in particolare nella comunità cinese australiana. Inoltre, citando problemi di sicurezza, Canberra ha vietato alle aziende cinesi come Huawei di investire in settori strategici come le reti 5G australiane. Per rappresaglia, la Cina ha imposto divieti commerciali e dazi per oltre 20 miliardi di dollari sulle esportazioni australiane.

Quello che Pechino non riesce a capire è che questo comportamento aggressivo sta solo creando una reazione più unificata. Per esempio, le esercitazioni navali nella regione, quest’anno dovrebbero coinvolgere non solo Stati Uniti e Australia, ma anche Canada, Francia, Singapore, Giappone, Nuova Zelanda, Malesia, India e Paesi Bassi. Inoltre, la Royal Navy britannica sta inviando il suo Carrier Strike Group 21, guidato dalla portaerei Hms Elizabeth, per un viaggio di sette mesi che includerà dei movimenti Fonops nel Mar Cinese Meridionale.

Niente ha rafforzato i sentimenti anti-cinesi come le azioni maldestre di Pechino. La sua combattività ha solo unificato l’opinione pubblica statunitense: gli atteggiamenti negativi nei confronti della Cina sono aumentati vertiginosamente e la quota di americani che percepiscono la Cina come il loro più grande nemico è raddoppiata nell’ultimo anno. L’Europa, che per decenni ha cercato di coinvolgere la Cina per i suoi benefici economici, ignorando o sminuendo anche la sua condotta aggressiva in aumento e sempre più estesa, ultimamente si è resa conto che la Cina è una minaccia crescente per la stabilità e la sicurezza globali. Nel caso del cattivo comportamento del regime cinese, sembra che regga la legge delle conseguenze indesiderate.

 

Richard A. Bitzinger è un analista di sicurezza internazionale indipendente. In precedenza è stato membro anziano del programma di trasformazione militare presso la S. Rajaratnam School of International Studies (Rsis) di Singapore e ha ricoperto incarichi nel governo degli Stati Uniti e in vari think tank. La sua ricerca si concentra su questioni di sicurezza e difesa relative alla regione Asia-Pacifico, compresa l’ascesa della Cina come potenza militare, la modernizzazione militare e la proliferazione degli armamenti nella regione.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Beijing’s Bad Behavior Is Backfiring



 
Articoli correlati