Il casco «dell’armonia» del regime comunista cinese

Di Alessandro Starnoni

Salto di qualità del Grande Fratello rosso: il South China Morning Post ha di recente riportato la notizia della sperimentazione di un nuovo dispositivo commissionato dal Partito Comunista Cinese: un casco di monitoraggio del pensiero umano.

Il dispositivo è in fase di sviluppo nella fabbrica Zhongheng Electric della città di Hangzhou. Agli operai è stato imposto di ‘testare il prodotto’ e indossare dei caschi di sicurezza speciali che – oltre a fungere da elmetti – possono anche leggere le loro onde cerebrali.
Il sensore di rilevamento nel casco trasmette costantemente a un computer le onde cerebrali della persona che lo indossa. Il computer, usa poi la tecnologia dell’intelligenza artificiale per determinare quali siano le emozioni dell’operaio (nervosismo, tristezza, rabbia) che possano influire negativamente sul lavoro dell’operaio.
In questo modo i capi reparto, in base ai dati ricevuti, possono modificare il ritmo di produzione e/o reimpostare da zero una modalità diversa di distribuzione dei compiti.

La Zhongheng Electric sostiene che questa nuova modalità di monitoraggio dei lavoratori sia finalizzata a «gestire meglio il personale, in particolare le pause degli operai, e aumentare di conseguenza l’efficienza del lavoro».

Il progetto – naturalmente finanziato dal Pcc – è stato elaborato principalmente dal centro di ricerca Neuro Cap dell’università di Ningbo, ed è stato messo in prova già in una decina di fabbriche e aziende. Per ora la Hangzhou Zhongheng Electric è stata la prima fabbrica ad aver messo il casco alla maggior parte degli operai, sebbene anche lo State Grid Corporation of China lo stia usando sui propri operai in maniera continuativa.

Questa tecnologia è conosciuta già da tempo ed è stata usata in varie parti del mondo. Tuttavia, ora, è il regime comunista cinese – che già ha non poca esperienza nel controllo dei pensieri del popolo – ad averne il primato. Naturalmente le intenzioni dichiarate dal Pcc sono più che nobili: poter essere «più competitivo nella produzione» e, allo stesso tempo, «mantenere la società in armonia».

Il professor Qiao dell’Università Normale di Pechino – rara voce autorevole fuori dal coro rosso – sostiene che anche se questa tecnologia può aumentare la competitività delle aziende, può facilmente essere usata in una maniera sbagliata per invadere la privacy dei dipendenti: «Ci devono essere delle chiare e specifiche leggi che limitino l’uso di questa tecnologia e proteggano i diritti dei dipendenti […] Il controllo delle attività del cervello ha portato la violazione della privacy a un nuovo livello. Non ci si può approfittare della mente dei singoli esseri umani per guadagno».

I 176 MILIONI DI OCCHI DEL GRANDE FRATELLO ROSSO

Dai dati del sito d’informazione tecnologica IHS Markit, risulta che nel 2016 in Cina si è arrivati all’istallazione di un totale di 176 milioni di telecamere, presenti sia su spazi privati che pubblici, incluse strade cittadine e non, aeroporti e stazioni. Di questo totale, circa 200 mila sono controllate direttamente dalla polizia cinese. Un dato molto più significativo di quanto sembri, se si tiene conto che – ad esempio – in tutti gli Stati Uniti ci sono circa 50 mila telecamere.

Nelle principali città cinesi, in ogni caso, è stata già raggiunta la copertura del 100 per cento del territorio urbano, con telecamere a guardare ogni singolo incrocio e strada.

Ma gli obiettivi (in tutti i sensi) del Partito Comunista Cinese sono ben altri: in base alle dichiarazioni ufficiali di Pechino, nel 2020 il numero di telecamere sarà più che triplicato, arrivando a 626 milioni di ‘occhi’. Considerando che attualmente in Cina vivono 1 miliardo e 379 milioni di persone, questo significa che fra meno di due anni in Cina vi sarà una telecamera ogni due abitanti. Il Grande Fratello comunista di Geroge Orwell, in Cina, è realtà.

 
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