Il business delle malattie e delle case farmaceutiche: come sfuggirne

Prevenzione sì o prevenzione no, mammografia sì o mammografia no…questo è il problema!

Non si tratta di una commedia avvincente ma del dilemma che ogni donna è indotta a porsi nella prevenzione del tumore al seno. Ma alcune affermazioni sulla polemica Grillo-Veronesi circa l’utilità di questo esame hanno smosso le acque su un argomento ben ampio: quello della prevenzione nella salute e del conflitto d’interessi che riguarda il personale sanitario.

C’È UN CONFLITTO DI INTERESSI?

La mammografia non è l’unico esempio di prevenzione messa in discussione (secondo il leader 5 Stelle, Veronesi potrebbe guadagnarci qualcosa dalla promozione di questo esame). Attuale è anche la questione sulla vaccinazione antimeningococco C, consigliata dai medici dopo che si è verificato in Toscana un modesto aumento dei casi; questi casi sono stati presentati con allarmismo dai media e poco si è parlato dell’evidenza dei fatti.

I dati riportati dall’Assis (Associazione di Studi e Informazione sulla Salute) sono: 18 casi di cui 16 da meningococco C, tra i quali quattro mortali e 2 da meningococco B. Considerato che l’Oms consiglia la vaccinazione di massa quando l’incidenza è di 10 casi di contagiati ogni 100 mila abitanti in tre mesi, secondo Assis, e che in Toscana si sono avuti 18 casi ogni 3.700.000 abitanti, l’incidenza della malattia non giustifica la vaccinazione. Tra l’altro i rischi di quest’ultima, per il dott. Eugenio Serravalle, presidente di Assis, «sono più alti della possibilità di contrarre la malattia» e non vengono palesati.

È inoltre notizia ancora attuale, che il ministro Lorenzin non ha dato un grande esempio di correttezza nelle scelte di salute, quando ha sostenuto l’utilizzo di Lucentis, un farmaco oftalmico molto costoso della Novartis, contro l’equivalente Avastin della Roche, molto più economico: solo grazie all’intervento dell’Oms si è stabilito l’efficacia di quest’ultimo. 

Al di là dei casi citati, è possibile che dei conflitti di interesse influenzino seriamente le scelte del personale sanitario o di chi prende decisioni sulla salute degli altri? Secondo ognuna delle fonti intervistate da Epoch Times, sì.

L’IMPORTANZA DELLO STILE DI VITA

«Una grande contraddizione» che lascia intravedere altri conflitti d’interessi in tema di prevenzione riguarda la «prevenzione sugli stili di vita», afferma il dott. Andrea Quartini, medico gastroenterologo dell’Azienda sanitaria di Firenze (e di recente nominato consigliere regionale in Toscana); eppure «oltre il 50 per cento della mortalità risente degli stili di vita causati da big killer, quali fumo, alcol, obesità, diabete, ipertensione, l’uso eccessivo di sale».

«Intervenendo sugli stili di vita si ridurrebbe la patologia cronica – sostiene Quartini – Si spende molto per curare le malattie croniche e si spende pochissimo per intervenire sulla prevenzione degli stili di vita scorretti che le hanno causate».

La spesa della prevenzione sarebbe minore di quella della cura, ma «probabilmente questo non conviene a chi si occupa di malattie croniche. Soprattutto non conviene alle big lobby del tabacco, del fumo, del cibo spazzatura». A proposito della mammografia, spiega Quartini, va bene fare l’esame a patto che le donne siano informate sugli eventuali danni o falsi positivi.

Il panorama sopra descritto e i fatti riportati mettono in luce quanto le scelte del cittadino nell’ambito della salute non siano sempre facili, proprio perché le informazioni in sanità sono abbondanti ma incomplete e contrastanti, più spesso veicolate dai media e sempre meno puntuali e affidabili: diventa difficile potersi fidare anche del personale medico o di chi lo governa.

Le big pharma e le industrie farmaceutiche hanno un potere enorme, in molti casi sostenuto dai medici e dalle riviste scientifiche. Ma se esistesse una legge sulla trasparenza dei finanziamenti, sarebbero tenuti a dichiarare pubblicamente i propri conflitti di interesse. In questo modo il cittadino sarebbe in grado di verificare e valutare le informazioni che il medico o la struttura sanitaria hanno fornito.

GUARIRE O STARE BENE?

Nel corso del tempo si è diffusa una cultura che pone l’accento sulla malattia come qualcosa di estremamente negativo da temere, e di conseguenza si è diffusa la cultura dell’immagine e del piacere, dello stare bene: per stare bene, però, spesso si ricorre ai farmaci, per essere belli a interventi chirurgici, per essere felici agli antidepressivi.

Il cittadino spesso non ha le competenze per valutare e decidere in tema di salute; la comunicazione per la salute sembra più tesa a fare pubblicità ai farmaci e a potenziare il marketing che la riguarda: un vero e proprio mercato volto a aumentare i profitti e l’autorevolezza delle case farmaceutiche, e non ad aumentare l’empowerment della persona.

Certo la malattia non è uno stato di benessere ma, ad esempio, la Medicina Complementare o Alternativa (Mc) la considera come un segnale, un modo attraverso il quale il nostro corpo indica un disagio: le Mc, quali l’omeopatia, la fitoterapia, l’agopuntura, lavorano sulle cause per eliminare gli effetti, sia relativamente a disturbi lievi che a malattie gravi. A differenza invece della medicina tradizionale o allopatica, che cura il sintomo piuttosto che la causa della malattia, e utilizza un approccio che spesso non include la cura della persona nella sua globalità. 

L’approccio delle Mc induce la persona a diventare attore e protagonista del proprio processo di guarigione e, da un certo punto di vista, aumenta la sua competenza in tema di salute. A questo proposito scriveva Blaise Pascal: «Le persone si lasciano convincere più facilmente dalle ragioni che esse stesse hanno scoperto, piuttosto che da quelle scaturite dalla mente di altri».

Di questo avviso è anche il dott. Quartini, che indica nel favorire la partecipazione attiva dei cittadini ai propri processi di cura e di diagnosi il modo per contrastare le contraddizioni ed i conflitti d’interesse in materia di salute e «vincere la simmetria informativa: non ci può essere qualcuno che sa e qualcuno che è succube del sapere dell’altro». È necessario che il cittadino sia consapevole, ed è necessario creare «una rete attiva che verifichi e controlli su questi aspetti, come le associazioni dei malati: non devono essere sponsorizzate dalle aziende o dai medici luminari, devono essere delle fonti di auto-aiuto, di letteratura e di messa in discussione del sistema».

La trasparenza nella comunicazione per la salute, congiunta a una comunicazione sanitaria più attenta alla relazione medico-paziente, può agevolare un necessario cambio di cultura verso una maggiore autonomia nelle scelte di salute che compie il cittadino, favorirne il senso critico e mettere in discussione il fenomeno, definito dagli anglosassoni, «disease mongering», ossia il «marketing della malattia» e il consumistico uso di farmaci e esami, che, di certo, è poco salutare.

*Immagine del medico presa da Shutterstock

 
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