I media cinesi alla conquista dell’Africa

Di Darren Taylor

Nel corso dell’ultimo decennio la Cina si è affermata come principale partner economico e politico di molti Paesi africani; la fase successiva – ormai iniziata già da alcuni anni – consiste nel rapido sviluppo dei suoi media (mezzi di comunicazione di massa), al fine di accrescere ulteriormente la propria influenza sul continente africano.

Oggi Radio China International e StarTimes Tv forniscono notizie su Cina e Africa a milioni di africani; e l’emittente statale China Global Television Network, anche nota come Cgtn, ha aperto un centro di produzione a Nairobi.

Tuttavia, secondo Reporter senza frontiere, organizzazione non governativa e no-profit che promuove e difende la libertà di informazione e la libertà di stampa, l’espansione di Pechino nel settore dei mass media non è innocua come potrebbe apparire.

Amichevole solo in apparenza

Il regime cinese fa arrestare spesso coloro che lo criticano, inclusi i giornalisti, e la stampa cinese è soggetta a pesanti controlli e restrizioni, ad esempio in termini di cosa si possa o meno trattare.

Reporter senza frontiere sostiene che Pechino stia cercando di esportare il suo modello giornalistico in tutto il mondo, e questo anche allo scopo di bloccare i giornalisti che altrimenti indagherebbero sulle attività del regime al di fuori dalla Cina.

L’obiettivo è «creare un nuovo ordine mondiale dei media, nel quale il giornalismo dovrebbe essere rimpiazzato dalla propaganda di Stato», ha dichiarato il ricercatore Cedric Alviani, che recentemente ha pubblicato uno studio sulle operazioni condotte dalla Cina – alcune legali e altre no – per influenzare la propria immagine nell’ambito della stampa internazionale.
Il suo studio, basato sulle informazioni raccolte da Reporter Senza Frontiere in tutto il mondo, rivela che il regime cinese sta investendo nelle imprese giornalistiche straniere e sta acquistando una parte consistente degli spazi pubblicitari offerti dalla stampa internazionale, al fine di prevenire, in maniera subdola, la pubblicazione di notizie negative nei suoi confronti.

Alviani ha dichiarato che l’Africa costituisce la ‘prima linea’ di questa strategia, in quanto Pechino ritiene che ci siano grandi potenziali di sviluppo, e quindi di profitti, nel continente.

Secondo Reporter Senza Frontiere, il Partito Comunista Cinese ha bisogno di una stampa ‘amica’ in Africa per presentare una buona immagine di se e dei suoi progetti al pubblico, che in questo modo sarà più propenso a concedergli l’accesso alle risorse del continente.

Alviani ha anche affermato che il regime cinese non vuole che i giornalisti indaghino sulle questioni controverse legate ai suoi progetti in Africa, come ad esempio l’inquinamento dell’ambiente provocato dalle attività industriali.

Una situazione in rapido sviluppo

Insieme agli enormi investimenti nei progetti infrastrutturali, la Cina sta mettendo su una serie di radio e televisioni in tutto il continente africano.

«Non è impossibile che nel giro di uno o due decenni, la Cina diventi il principale proprietario delle imprese giornalistiche e dei mezzi di comunicazione di massa in Africa».
Molti giornalisti africani sono andati in Cina per essere ‘formati’ nelle imprese statali, dove sono stati incoraggiati a raccontare agli africani solo storie positive sulla Cina.

Alviani ha dichiarato che il rapido sviluppo di Cgtn nel continente – che oggi ha sede centrale a Nairobi e diversi uffici sparsi tra Il Cairo, Johannesburg e Lagos, nei quali lavorano centinaia di giornalisti africani e un gran numero di freelance – è «particolarmente preoccupante».

«Cgtn ha il sapore dell’Africa; sembra che sia fatta per il bene dell’Africa. Ma, in realtà, si tratta un canale di propaganda che risponde agli interessi del regime cinese. Non sentirete mai nulla di negativo su quello che i cinesi stanno facendo in Africa da Cgtn. Tutto quello che viene mostrato agli spettatori mette in buona luce la Cina».

Il pericolo per la democrazia e la resistenza degli africani

Il professor Herman Wasserman, del dipartimento di studi giornalistici dell’università di Cape Town, ha dichiarato che il modello di Pechino «non è affatto adatto all’Africa, dove le democrazie sono molto deboli in varie parti del continente».

Wasserman, che in passato ha trascorso un periodo presso l’università Tsinghua di Pechino in qualità di professore ospite, ha pubblicato molto materiale su come la Cina e le sue attività vengono documentate dalla stampa in Africa.

La presenza cinese nel settore dei media è grande «e sta diventando sempre più grande», secondo Wasserman, ma i suoi prodotti non sono popolari, almeno per il momento: «In alcuni Paesi come il Sud Africa e il Kenya, e in altri luoghi dove i media sono relativamente vibranti, c’è un pregiudizio abbastanza forte e radicato nei confronti della stampa cinese».

Wasserman sta seguendo con molta attenzione l’espansione dei mezzi di informazione di Pechino in Africa: «Il loro obbiettivo non è eliminare immediatamente la libertà di stampa in Africa: stanno cercando di creare un un immagine più positiva di se stessi, e stanno anche cercando di limitare le critiche nei loro confronti in Africa. Dal momento che mirano a ottenere sempre più influenza economica e politica nel continente, stanno cercando di promuovere un’immagine positiva di questa influenza attraverso una maggiore presenza nella sfera mediatica».

Ma, secondo Reporter Senza Frontiere, la maggiore presenza cinese in Africa si realizza anche con il sostegno finanziario offerto alle imprese giornalistiche africane, che naturalmente non morderanno le mani che le sfamano.
L’organizzazione ha citato il caso dello scrittore sudafricano Azad Essa, la cui rubrica sull’Independent Online è scomparsa nel 2018, poco dopo che aveva ‘osato’ criticare il trattamento inflitto alla comunità mussulmana degli uiguri da parte di Pechino.

Non sorprende che il 20 percento dell’Independent sia di proprietà di un gruppo cinese.

Wasserman ha anche affermato che l’influenza della Cina a volte può essere subdola. Ha spiegato che i proprietari dei giornali africani finanziati dalla Cina spesso si auto censurano, eliminando tutto ciò che ritengono possa offendere Pechino.
Reporter Senza Frontiere ha inoltre dichiarato che, per reprimere i giornalisti africani, le autorità cinesi stanno addirittura addestrando alcuni funzionari locali affinché possano spiare i giornalisti, e stanno fornendo loro gli strumenti necessari per controllare internet e i cellulari.

Ad ogni modo Wasserman sostiene che non si dovrebbe ignorare l’opposizione portata avanti dalla stampa africana e della società civile ai tentativi di influenza da parte di Pechino.

«Penso che in Africa ci sia una forte opposizione a qualsiasi tentativo volto ad eliminare la libertà di stampa, che sia condotto da Pechino o da altri».

Articolo inglese: Concern About Chinese Media Grows in Africa

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