I giganti mondiali della tecnologia interrogati dal Congresso Usa

Di Ivan Pentchoukov

Il 29 luglio i leader di quattro tra le più grandi aziende tecnologiche al mondo si sono sottoposti a un lungo interrogatorio da parte dei parlamentari americani, nell’ambito di un’indagine per verificare se le loro aziende siano o meno diventate troppo potenti.

Gli amministratori delegati di Apple, Google, Amazon e Facebook hanno difeso le loro pratiche aziendali, anche se il formato dell’udienza ha lasciato poco margine per una discussione sostanziale su una serie di questioni complesse.

L’udienza è arrivata dopo un anno di indagini del Congresso sulle presunte tattiche anticoncorrenziali, sul soffocamento dell’innovazione, e su altre problematiche inerenti i colossi della tecnologia americani.

I parlamentari hanno cercato di stabilire se le leggi antitrust, ormai vecchie alcuni decenni, debbano essere riviste per affrontare al meglio le realtà dell’era digitale, dominata di fatto dalle quattro aziende in questione.

Il parlamentare repubblicano David Cicilline ha affermato nella sua dichiarazione di apertura: «In passato quando il popolo americano ha affrontato i monopolisti – che fossero le compagnie ferroviarie, i magnati del petrolio, l’AT&T o la Microsoft – abbiamo agito per garantire che nessuna società privata controllasse la nostra economia o la nostra democrazia. Oggi affrontiamo sfide simili».

L’indagine del Congresso è una delle varie inchieste in corso sull’operato delle aziende tecnologiche. Anche il governo Trump, i regolatori federali e il Dipartimento di Giustizia stanno indagando sulle attività di queste quattro aziende. Nel settembre dello scorso anno, i procuratori generali di 50 tra Stati e territori hanno aperto un’indagine antitrust sulle attività pubblicitarie di Google. Mentre Apple sta affrontando un’indagine da parte dell’Unione Europea per la gestione del suo App Store.

Inoltre, i controlli sono aumentati dopo che il 29 luglio il presidente Donald Trump ha dichiarato che se il Congresso non troverà una soluzione legislativa, sarà lui a prendere in mano la situazione. Il presidente statunitense ha infatti scritto su Twitter: «Se il Congresso non garantirà la correttezza delle Big Tech, come avrebbe dovuto fare anni fa, lo farò io stesso con degli ordini esecutivi. A Washington sono anni che si parla e non si fa nulla, e la gente del nostro Paese ne è stufa».

Peraltro, l’udienza del 29 luglio ha sancito la prima apparizione davanti al Congresso di Jeff Bezos, l’amministratore delegato di Amazon, considerato l’uomo più ricco al mondo. Nel suo discorso di apertura, ha sottolineato le sue umili radici in quanto figlio di una ragazza madre rimasta incinta durante il liceo.

Alcuni dei fornitori esterni di Amazon hanno accusato il gigante della vendita al dettaglio online di utilizzare i dati interni per copiare i prodotti di maggior successo. I critici sostengono anche che l’azienda abbia ormai virtualmente conquistato il mercato online in diversi ambiti, in particolare per quanto riguarda i libri.

Bezos ha reagito alle preoccupazioni dei parlamentari sottolineando che l’azienda si trova in realtà ad affrontare un’intensa concorrenza, anche da parte delle stesse aziende che utilizzano la sua piattaforma di vendita. Il fondatore di Amazon ha dichiarato che attualmente ci sono 1,7 milioni di piccole e medie imprese che vendono in tutto il mondo grazie al mercato di Amazon.

Inoltre, Bezos ha dedicato una parte consistente del suo discorso ai benefici collaterali della crescita e della prosperità di Amazon, tra cui i profitti per gli azionisti, l’innovazione su larga scala e le opere di beneficenza. In una testimonianza scritta Bezos ha dichiarato: «Oltre l’80 per cento delle azioni Amazon sono di proprietà di terzi, e negli ultimi 26 anni – partendo da zero – abbiamo creato più di mille miliardi di dollari di ricchezza per gli azionisti esterni. Chi sono questi azionisti? Sono fondi pensione: i fondi pensione dei vigili del fuoco, della polizia e degli insegnanti delle scuole».

Tuttavia, nella sua indagine bipartisan, la sottocommissione giudiziaria ha raccolto le testimonianze di dirigenti di medio livello delle quattro aziende, di concorrenti e di alcuni esperti legali, e ha esaminato oltre un milione di documenti interni delle aziende.

Il parlamentare Cicilline ha definito le quattro società come veri e propri monopoli, anche se ha precisato che la loro liquidazione dovrebbe essere soltanto l’ultimo dei sentieri percorribili. Il repubblicano ha anche affermato che «questi giganti sono riusciti a guadagnare» dalla pandemia di Covid-19 e a diventare ancora più potenti man mano che milioni di persone spostano il loro lavoro e il loro commercio online.

Mark Zuckerberg, il Ceo di Facebook, ha dovuto affrontare domande che vanno oltre il tema della concorrenza. Il ruolo della sua piattaforma in quanto luogo di condivisione di opinioni e idee è diventato infatti il bersaglio dei conservatori, che sostengono di essere stati presi di mira dalla censura. Di fatto, recentemente sono stati pubblicati video girati sotto copertura nell’ambito del progetto di giornalismo investigativo Project Veritas, che mostrano alcuni moderatori di Facebook mentre dicono di eliminare tutto quel che è conservatore e pro-Trump.

Per questo il parlamentare repubblicano Jim Jordan ha dichiarato: «Le Big Tech sono in cerca dei conservatori». Ma allo stesso tempo, l’azienda è sotto pressione da parte dei liberali affinché elimini con costanza i cosiddetti discorsi di incitamento all’odio e le informazioni su argomenti controversi.

In una testimonianza scritta, Zuckerberg ha dichiarato: «Noi crediamo nei valori di democrazia, concorrenza, inclusione e libera espressione, su cui si fonda l’economia americana. […] In definitiva, credo che le aziende non dovrebbero esprimere così tanti giudizi su questioni importanti come i contenuti dannosi, la privacy e la correttezza delle elezioni. Ecco perché ho chiesto un ruolo più attivo da parte dei governi e delle autorità di regolamentazione, e un aggiornamento dei regolamenti di Internet».

Zuckerberg ha sostenuto che Facebook mira a consentire la massima libertà di espressione possibile, a meno che non si tratti di qualcosa che metta realmente in pericolo persone o cose.

In Europa invece le autorità di regolamentazione hanno recentemente concluso che Google ha manipolato il suo motore di ricerca per ottenere un vantaggio sleale rispetto ad altri siti di shopping online nel mercato dell’e-commerce, e ha quindi multato Google, il cui proprietario è Alphabet Inc., con una multa record di 2,7 miliardi di dollari. Ma Google ha contestato la sentenza e ha già presentato il suo appello.

Il Ceo di Alphabet, Sundar Pichai, ha dichiarato nella sua testimonianza scritta: «Google opera in mercati globali altamente competitivi e dinamici, in cui i prezzi sono liberi e in calo e i prodotti sono in costante miglioramento. […] La concorrenza negli annunci pubblicitari – da Twitter, Instagram, Pinterest, Comcast e altri – ha contribuito ad abbassare i costi della pubblicità online del 40 per cento negli ultimi 10 anni, con i conseguenti risparmi di cui hanno beneficiato i consumatori attraverso l’abbassamento dei prezzi».

Apple, il cui iPhone è il terzo prodotto più venduto al mondo, si trova ad affrontare le indagini dell’Ue sulle tariffe applicate dal suo App Store. Il repubblicano Hank Johnson ha affermato che i parlamentari hanno appreso nel corso dell’indagine che Apple non condivide i suoi criteri di approvazione per l’App store e che le regole sono «interpretate e applicate in modo arbitrario».

Mentre il Ceo di Apple, Tim Cook, ha dichiarato che l’azienda tratta ogni sviluppatore allo stesso modo: «Abbiamo regole aperte e trasparenti. Queste regole si applicano a tutti in modo uniforme».

L’App Store di Apple ha iniziato con 500 app e, secondo Cook, oggi è cresciuto fino a ospitare 1,7 milioni di app. Cook ha anche sottolineato che il giro di affari legato all’App Store fornisce oltre 1,9 milioni di posti di lavoro agli americani.

 

Articolo in inglese: Congress Turns Up Heat on Big Tech CEOs

 
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