Hunter Biden stava cercando di dirci qualcosa

Di Roger L. Simon

Che l’abbia fatto accidentalmente, di proposito, o (molto probabilmente) un po’ entrambe, Hunter Biden stava cercando di dirci qualcosa, quando ha lasciato un portatile pieno di prove incriminanti su se stesso e la sua famiglia in un negozio di riparazione di computer nel Delaware.

Quel qualcosa era che suo padre, alias il «big guy», che solo pochi giorni prima aveva annunciato che si sarebbe candidato alla presidenza, avrebbe portato grossi guai.

Non c’è bisogno di essere Sigmund Freud per capirlo. Né è difficile capire perché Hunter possa essere diventato un tossicodipendente e coinvolto in altri atti autodistruttivi, stranamente immortalati sul suo hard disk.

Il Joe Biden che ci viene venduto all’infinito come il signor ‘semplice cittadino americano’ non è l’uomo che suo figlio conosce. Questo non per assolvere Hunter dalla responsabilità delle sue azioni, ma per dar loro un contesto.

Si noti che in una delle prime e-mail ora pubblicate, e quindi (volutamente?) facile da trovare, inviata da Hunter a sua figlia Naomi si legge: «Ma non ricevo alcun rispetto e questo va bene, credo. A te sta bene, a quanto pare. Spero che tutti voi possiate fare quello che ho fatto io e sostentare questa famiglia per 30 anni. È davvero difficile, ma non preoccupatevi, a differenza di mio padre non vi costringerò a darmi metà del vostro stipendio».

È anche emersa l’e-mail di un potenziale accordo da un miliardo di dollari con uomini d’affari cinesi, le cui percentuali di profitto sarebbero state divise con Hunter, che recita: «10% li tiene H per il big guy [pezzo grosso, ndt]?»

Hunter doveva essere l’esattore di Joe. Probabilmente, più spesso di quanto si sappia, andava in giro con suo padre sull’Air Force Two. Le cifre che derivano da tutti questi affari a Mosca, in Cina, in Kazakistan eccetera sono sbalorditive, e presto ne arriveranno altre. Infatti proprio di recente siamo venuti a conoscenza delle attività di Hunter, e senza dubbio anche di Joe, in Romania.

Un esattore, certo, ma evidentemente non è stato facile essere il figlio di Joe Biden.

Per Hunter, muovere questa accusa di comportamento mafioso, anche verso se stesso, deve essere stato difficile, anzi straordinariamente difficile, cfr. Shakespeare e Sofocle. Ha lasciato il portatile e si è allontanato dal negozio, probabilmente in uno stato alterato, commettendo quello che si potrebbe chiamare un ‘parricidio giustificabile’, lasciando dietro di sé quella montagna di prove, fingendo per certi versi che non fosse mai successo, forse dimenticandosi, volontariamente o meno, che lui fosse mai stato lì, chi lo sa.

Come diceva Leo Tolstoj: «Tutte le famiglie felici sono uguali; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo».

È una situazione triste, sia per ‘La Famiglia’ Biden che per gli Stati Uniti, ma dimenticare il portatile non è stato del tutto un incidente causato dalla droga. È stato più che altro, come si dice, accidentale di proposito. Era un grido d’aiuto.

Ma ci è voluto più di un anno perché le grida d’aiuto di Hunter si facessero sentire.

Senza dubbio, egli supponeva che i media mainstream avrebbero insabbiato i fatti per conto di suo padre, lo fanno sempre, ma come poteva sapere che il direttore dell’Fbi Christopher Wray avrebbe nascosto agli occhi del pubblico un hard disk pieno di informazioni sugli affari dei Biden in Ucraina, mentre quella cosa era proprio al centro del processo d’impeachment? Possiamo solo sperare che il procuratore generale William Barr non ne sapesse nulla. Se ciò è corretto, dovrebbe essere furioso con Wray. Altrimenti…

Ma eccoci qui, a due settimane da un’elezione con nuove informazioni che si aggiungono quasi ogni giorno. L’ipotesi è che questo scandalo finirà per rivelare una sorprendente rete di corruzione, soprattutto per quanto riguarda la Cina dove, quando si fa affari, si fa affari con il Partito Comunista Cinese. Per avere successo, o anche solo far carriera, come dirigente lì si appartiene quasi sempre al partito.

Le implicazioni sulla sicurezza nazionale sono chiare, dato che i comunisti cinesi probabilmente sanno più di noi riguardo a quello che è successo: si occupano di questa storia già da un po’ di tempo. Infatti l’hanno senza dubbio portata avanti dando a Joe Biden incentivi, neanche poi così velati, così come con molti altri. Chissà cos’hanno, su di lui?

Il problema è, ovviamente, che Biden potrebbe ancora vincere le elezioni. Non sarà subito il cagnolino della Cina, o comunque non del tutto, sarebbe troppo ovvio. Purtroppo sappiamo che i cinesi sono pazienti, sanno aspettare, e poi al momento propizio, chissà quando (forse nella seconda amministrazione Harris) metteranno in pratica la loro strategia.

L’America, come la conosciamo, non c’è più.

Se solo avessimo sentito il lamento di Hunter un po’ prima..

 

Roger L. Simon è un premiato romanziere, sceneggiatore nominato all’Oscar, cofondatore di PJMedia e ora editorialista di Epoch Times. I suoi libri più recenti sono The GOAT (fiction) e I Know Best: How Moral Narcissism Is Destroying Our Republic, If It Hasn’t Already.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

Articolo in inglese: Hunter Biden Was Trying to Tell Us Something

Per saperne di più:
 
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