Hong Kong, scontri in Parlamento tra l’ala pro-democrazia e quella filo-Pechino

Con le manifestazioni pubbliche bloccate dall'emergenza coronavirus, lo scontro per limitare l'ingerenza di Pechino a Hong Kong sta proseguendo all'interno del Consiglio Legislativo

Il 18 maggio, per la seconda volta da inizio mese, il Parlamento di Hong Kong si è trasformato in un campo di battaglia. La scintilla è stata la nomina di un deputato pro-Pechino alla presidenza del comitato incaricato di esaminare i progetti di legge, che è avvenuta bypassando il normale iter democratico, e ha posto fine a uno scontro politico che proseguiva da sei mesi.

La commissione del Consiglio legislativo (il Parlamento di Hong Kong), che esamina i progetti di legge e decide quando sottoporli al voto finale si trovava infatti senza presidente dal mese di ottobre. Si tratta della stessa commissione (in maggioranza favorevole al governo e a Pechino) che avrebbe dovuto ratificare la controversa legge sull’estradizione che ad agosto ha portato milioni di hongkonghesi a scendere in piazza per protestare contro l’ingerenza di Pechino.

Recentemente, il Partito Comunista Cinese (Pcc) ha criticato il vicepresidente della commissione Dennis Kwok, il parlamentare dell’ala democratica che ha svolto il ruolo di presidente ad interim della commissione, per aver deliberatamente ritardato l’elezione del nuovo presidente, causando l’accumulo delle leggi in attesa di essere votate. Si tratta di leggi che, secondo i parlamentari pro-democrazia, contribuiranno a rafforzare il controllo di Pechino sul territorio, come quella per punire chi usa l’inno nazionale della Repubblica Popolare Cinese (Rpc) in maniera impropria. Dal canto suo, Pechino ha accusato i parlamentari pro-democrazia di «malizioso» ostruzionismo.

Ad ogni modo, Kwok è stato sostituito il 15 maggio da Chan Kin-por, su ordine del presidente pro-governativo del Parlamento Andrew Leung Kwan-yuen, al fine di presiedere le elezioni di lunedì 18 maggio e uscire così dall’impasse con l’ala pro-democrazia. Tuttavia, i parlamentari della minoranza hanno messo in discussione la costituzionalità della nomina.

Andrew Leung ha quindi risposto che la nomina di Chan si è basata su un parere esterno ricevuto dai consulenti legali del governo.

Lunedì, quando Chan ha occupato il seggio del presidente, i parlamentari pan-democratici hanno inscenato una protesta all’interno del Consiglio legislativo, cantando «si gioca sporco» e mostrando cartelli con su scritto: «il Pcc calpesta il Parlamento di Hong Kong». In risposta alle obiezioni procedurali sollevate dall’opposizione, le guardie di sicurezza hanno circondato il banco dove Chan Kin-por era seduto. Il parlamentare filo-democrazia Tanya Chan ha quindi accusato le guardie di sicurezza del Parlamento di Hong Kong, di «aver perso la loro imparzialità».

Proteste nel parlamento di Hong Kong
Il legislatore pandemocratico Lam Cheuk-ting strappa il Regolamento durante la riunione della commissione del Consiglio legislativo, a Hong Kong, Cina, il 18 maggio 2020. (Tyrone Siu/Reuters)

Alcuni parlamentari pro-democrazia hanno tentato di scavalcare le guardie passando dalle pedane laterali per riprendere il posto occupato dal presidente Chan, ma sono stati costretti a retrocedere, il che ha dato il via a uno scontro piuttosto acceso.

Il parlamentare dell’area pro-democrazia Dennis Kwok ha esclamato: «Finche all’ala filo-governativa non piace qualcosa, faranno tutto il necessario, compresa la violazione del sistema e dei regolamenti che abbiamo. Il prezzo della libertà è la vigilanza costante. Oggi possono infrangere le regole procedurali, ma sono sicuro che il popolo di Hong Kong non se lo dimenticherà». Un altro parlamentare dell’area democratica, Ted Hui, ha gridato a Chan che l’elezione era «illegale». Mentre le proteste continuavano, Chan ha ordinato alle guardie di trascinare fuori dall’aula diversi parlamentari – con alcuni che continuavano a dimenarsi e urlare – per poi proseguire con la votazione del  nuovo presidente, che è stata vinta agevolmente dall’ex presidente Starry Lee, grazie al sostegno della maggioranza favorevole al governo.

Il legislatore filo-democratico Hui Chi-fung viene portato via dalla sicurezza durante la riunione del Comitato della Camera del Consiglio Legislativo, a Hong Kong, Cina, il 18 maggio 2020. (Tyrone Siu/Reuters)

Si prevede che l’elezione di Lee accelererà l’approvazione del progetto di legge sull’inno nazionale cinese. Pochi giorni prima, il capo dell’esecutivo di Hong Kong Carrie Lam, ha infatti definito l’approvazione del progetto di legge come una priorità per il governo, e ha specificato che lo avrebbe presentato al Consiglio il 27 maggio.

Al termine dell’incontro, una parlamentare pro-democrazia, Claudia Mo, ha esclamato: «Hong Kong si sta dirigendo verso la fine di ‘un Paese, due sistemi’», mentre il collega filo-governativo Martin Liao ha dichiarato: «È doloroso e triste vedere il Consiglio legislativo degenerare fino a questo livello di comportamento».

L’ex colonia britannica è stata restituita alla Cina nel 1997 con la garanzia che il Pcc avrebbe rispettato l’accordo denominato «un paese, due sistemi», che conferisce a Hong Kong un sistema di governo indipendente, nonché maggiori diritti rispetto alla terraferma comunista.

Il parlamentare Mo ha esortato la popolazione di Hong Kong a cacciare con il proprio voto coloro che «non si preoccupano del futuro di Hong Kong», durante le elezioni del Consiglio previste per settembre.

 

I parlamentari si erano scontrati sullo stesso argomento l’8 maggio, quando oltre un’ora prima dell’inizio della riunione, Lee aveva occupato il seggio di presidente, affermando che il consulente legale esterno le aveva comunicato che aveva il potere di presiedere le riunioni del Comitato. Ma ne è risultato un accesso tafferuglio, con i parlamentari per la democrazia che l’hanno accusata di abuso di potere.

Appelli per le proteste

Attraverso i social media, i contestatori hanno invocato manifestazioni in tutta la città contro il progetto di legge sull’inno comunista, che anche secondo il parlamentare filo-governativo Martin Liao potrebbe scatenare disordini sociali. Tuttavia, Liao ha specificato che «non possiamo sottrarci al nostro dovere di parlamentari perché pensiamo che ci sia un rischio».

Il distanziamento sociale in mezzo alla pandemia ha sostanzialmente fermato le proteste pubbliche a partire da gennaio, ma si prevede che le manifestazioni riprenderanno nei prossimi mesi, non appena l’epidemia sarà sotto controllo. Nel frattempo, l’arresto di 15 attivisti in aprile, tra cui politici veterani, un magnate dell’editoria e importanti avvocati, ha riportato il movimento di protesta sotto i riflettori e ha suscitato la condanna di Washington e dei gruppi per i diritti internazionali.

Il dipartimento della Cina per gli affari di Hong Kong ha invece dichiarato che la città non sarà mai tranquilla finché non saranno rimossi tutti i «manifestanti violenti vestiti di nero», descrivendoli come un «virus politico» che cerca l’indipendenza da Pechino. Inoltre, Pechino accusa le forze straniere di fomentare i disordini e afferma che i manifestanti stanno minando lo stato di diritto a Hong Kong.

Il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha dichiarato domenica di aver saputo che la Cina ha minacciato di interferire con il lavoro dei giornalisti statunitensi a Hong Kong, e ha avvertito Pechino che qualsiasi decisione interferisca con l’autonomia di Hong Kong, potrebbe ripercuotersi sulla valutazione dello status economico speciale riconosciuto a Hong Kong dagli Stati Uniti.

 

Il personale dell’Associated Press, di Reuters e di Epoch Times ha contribuito a questo report.

 

Guarda ‘Il Metodo del Pcc’, il nuovo documentario di Epoch Times sulle proteste di Hong Kong e l’infiltrazione del Pcc fuori dalla Cina:

 

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Articolo in inglese: Hong Kong Lawmakers Clash as Pro-Beijing Camp Bypasses Process to Elect Chair After 6 Month Deadlock

 
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