Hong Kong, Carrie Lam si scusa ma i manifestanti vanno avanti

Dopo una protesta da record, i cittadini di Hong Kong incassano l'ennesima vittoria. Ma non si accontentano

Di Nicole Hao

Il 16 giugno quasi due milioni di hongkonghesi sono scesi in strada vestiti di nero, per chiedere al governo di abrogare definitivamente la controversa riforma della legge sull’estradizione e per chiedere le dimissioni dell’attuale capo dell’Esecutivo Carrie Lam di Hong Kong.

Quella di domenica è stata la più grande manifestazione nella storia della città e secondo gli organizzatori vi avrebbe preso parte il 29 percento della popolazione locale. Le stime della polizia, tuttavia, sono come al solito inferiori: 338 mila persone in strada nel momento di massima affluenza.

La manifestazione pacifica si è svolta esattamente una settimana dopo che 1 milione e trenta mila persone hanno sfilato per le strade di Hong Kong per protestare contro la proposta di legge che permetterebbe al regime cinese di ottenere l’estradizione delle persone indagate dalle autorità comuniste, per poi sottoporle a processo in Cina.

Il capo dell’Esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam, si è scusato pubblicamente nella serata del 16 giugno ed ha aggiunto che accetterà le critiche per come ha gestito la proposta di legge. Tuttavia, non ha risposto direttamente ai manifestanti che hanno invocato le sue dimissioni e l’abrogazione definitiva della legge.

Il 15 giugno, la Lam ha annunciato la sospensione a tempo indeterminato della proposta di legge – ma non il suo annullamento definitivo – realizzando un teatrale cambio di rotta a fronte della moltitudine di persone, che, all’interno e all’esterno dell’ambiente politico, ha richiesto pubblicamente le sue dimissioni.

Circa 2 milioni di hongkonghesi hanno sfilato il 16 giugno per chiedere al governo di Carrie Lam di ritirare il progetto di legge sull’estradizione. (Gang Yu/ Epoch Times)

Scuse respinte

Il comunicato della Lam, diramato il 16 giugno, rappresenta la prima volta nella Storia in cui il governo di Hong Kong si è scusato per il proprio operato: «Il capo dell’Esecutivo – afferma il comunicato – ammette che gli enormi conflitti verificatisi nella società di Hong Kong sono stati dovuti all’inadeguatezza dell’operato del governo, che ha deluso e rattristato moltissimi cittadini. Il capo dell’Esecutivo porge le proprie scuse al pubblico, e promette che accetterà le critiche nel modo più sincero e umile possibile».

Gli oppositori delle legge, tuttavia, sembrano non essere soddisfatti da queste scuse.

Au Nok-hin, un avvocato dell’area pro-democrazia, ha dichiarato all’Hong Kong Free Press che «le persone non le accetteranno» a meno che non «includano la chiara abrogazione della legge».

Il Civil Human Rights Front, il gruppo che ha organizzato la parata, ha rifiutato con un post su Facebook le scuse della Lam, affermando che la sua promessa di continuare a servire i cittadini di Hong Kong non sarebbe nient’altro che un insulto e un tentativo di ingannare le persone che sono scese in strada.

Gli organizzatori hanno anche confermato un’altra protesta in programma per il 17 giugno, denominata ‘tre sospensioni’, che consiste nell’incoraggiare le persone a non lavorare, non andare a scuola e non fare acquisti per chiedere al governo la totale abrogazione della proposta di legge.

Inoltre, il Civil Human Rights Front ha chiesto nuovamente il rilascio dei manifestanti arrestati, le dimissioni della Lam, e ha chiesto alla polizia e alla Lam di ritirare pubblicamente le descrizioni che hanno fatto delle proteste del 12 giugno, definite da loro come «rivolte».
Il gruppo ha scritto in un comunicato: «Se il governo si rifiuterà di rispondere, domani ci saranno ancora più hongkonghesi a manifestare. 2 milioni di cittadini + 1 scenderanno in strada, finché le loro voci non verranno ascoltate».

Circa 2 milioni di hongkonghesi hanno sfilato il 16 giugno per chiedere al governo di Carrie Lam di ritirare il progetto di legge sull’estradizione. (Gang Yu/The Epoch Times)

I manifestanti chiedono le dimissioni di Carrie Lam

La parata, che è iniziata alle 3 del pomeriggio locali e si è conclusa intorno alle 23, ha visto ben oltre un milione di honkonghesi marciare da Victoria Park fino al quartiere di Admirality, coprendo un tragitto di circa 3 chilometri.

Alcuni dei manifestanti stringevano nelle mani fiori bianchi di garofano, altri tenevano striscioni con su scritto «Non sparate, siamo hongkonghesi», per mostrare il proprio dissenso vero l’uso che la polizia ha fatto di gas lacrimogeni e proiettili di gomma durante le proteste del 12 giugno, ferendo almeno 81 persone.

Il flusso di manifestanti ha dato forma a una marea nera che ha ‘invaso’ strade, viali, stazioni ferroviarie e il centro finanziario di Hong Kong e mostrato la propria frustrazione e rabbia nei confronti di Carrie Lam.

I manifestanti reggono cartelli cinesi con su scritto ‘I ragazzi non sono rivoltosi’ durante la marcia 16 giugno 2019 a Hong Kong. (Yu Gang/The Epoch Times)

Una manifestante soprannominata Yau ha dichiarato a un reporter di Epoch Times: «Sono troppo arrabbiata per parlare, perché Carrie Lam non ci ha ascoltato».

La Yau, che ha partecipato alla marcia con suo marito e i due figli di 6 anni, ha aggiunto che stava manifestando per i suoi bambini: «Non voglio che i miei figli non abbiano libertà a Hong Kong. In qualità di hongkonghese mi sento molto rammaricata».

Un altro manifestante, soprannominato Mak, che ha partecipato alla parata in compagnia di sua moglie a della figlia quattordicenne, ha dichiarato che suo figlio ventenne era tra quegli studenti che il 12 giugno sono stati colpiti con gas lacrimogeni e proiettili di gomma dalla polizia: «Hong Kong è la nostra città natale, e noi ci prendiamo cura della nostra casa. La legge sull’estradizione avrà un impatto sulla nostra libertà di parola. Senza libertà di parola perderemo il nostro diritto a monitorare [le autorità, ndr] e Hong Kong continuerà ad affondare».

La moglie di Mak ha aggiunto che «in Cina continentale le persone non hanno tutele perché non esiste lo Stato di diritto. Gli sforzi degli studenti non erano solo per loro stessi, ma per tutti gli hongkonghesi».

Un manifestante regge un cartello che recita ‘La tirannia non è mai invincibile’, in riferimento al governo di Hong Kong guidato da Carrie Lam il 16 giugno 2019. Un altro contestatore regge un cartello rosso, con i caratteri cinesi per ‘i ragazzi non sono dei rivoltosi’. (Yu Gang/The Epoch Times)

Gli applausi sono esplosi quando gli attivisti hanno invocato le dimissioni di Lam e le parole «dimettiti» sono risuonate per le strade della città. I manifestanti hanno anche intonato slogan come «perseguite la polizia nera», in segno di dissenso verso le tattiche adoperate dalla polizia durante la settimana precedente.

Ad ogni modo, durante una conferenza stampa tenutasi il 15 giugno, la Lam ha evitato di rispondere direttamente alla questione delle proprie dimissioni.

Quando un giornalista le ha domandato senza giri di parole se non fosse il caso di dimettersi in seguito alle grandi proteste, e alle violenze della polizia, lei ha risposto: «Sono stata un funzionario pubblico per quasi 40 anni. Lo considerò un onore, e ci sono ancora molte cose che spero di poter fare per Hong Kong».

La reazione internazionale

Le proteste hanno gettato Hong Kong in una situazione di crisi politica, mettendo molta pressione sul governo della Lam e su coloro che lo sostengono da Pechino.

I critici affermano che la nuova legge sull’estradizione farebbe sì che le persone possano essere trasferite in Cina continentale anche in virtù di accuse campate in aria, poiché il regime cinese non rispetta lo Stato di diritto. Per questo sostengono che minerebbe pesantemente l’autonomia di Hong Kong e la sua reputazione di centro finanziario internazionale.

Un bambino partecipa alla marcia dl 16 giugno 2019 a Hong Kong. (Yu Gang/Epoch Times)

La città di Hong Kong gode di democrazia e libertà perché, in quanto ex colonia inglese, nel 1997 è stata consegnata alla Cina con l’espressa garanzia di preservarne la libertà e autonomia, incluse la libertà di parola, di stampa, e un sistema giudiziario indipendente, cosa che ha dato vita alla politica nota come «un Paese, due sistemi».

Tuttavia, i critici sostengono che le garanzie non sono state rispettate, considerata l’elevata influenza che il regime comunista di Pechino esercita sulla politica e la vita di Hong Kong. Ad esempio, sembra che ci sia proprio Pechino dietro la recente scomparsa di 5 editori di Hong Kong che pubblicavano scritti critici nei confronti dei leader comunisti cinesi, così come dietro l’arresto di numerosi attivisti democratici e dietro al fatto che alcuni parlamentari dell’opposizione sono stati interdetti dalle cariche pubbliche.

Intanto, dagli Usa, il segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato che Trump solleverà la questione dei diritti umani a Hong Kong durante un incontro con il leader cinese, che dovrebbe svolgersi il mese prossimo al margine del G-20 in Giappone: «Stiamo osservando le persone di Hong Kong che si fanno avanti per ciò che ritengono importante e osserveremo le decisioni della Lam nei prossimi giorni e settimane».

I manifestanti tengono un grande striscione con i caratteri cinesi che significano ‘abrogare la legge malvagia’, Hong Kong, il 16 giugno 2019. (Yu Gang/The Epoch Times)

Dall’altra parte dell’oceano, sull’isola autonoma di Taiwan – che il regime cinese pretende sia parte del proprio territorio – circa 5 mila persone hanno manifestato fuori Parlamento esponendo striscioni di sostegno alle proteste di Hong Kong.

Il noto economista e attivista David Michael Webb ha scritto il 16 giugno che se la Lam fosse un titolo azionario consiglierebbe a tutti di vendere il prima possibile, a un prezzo minimo prossimo allo zero: «Ha irrimediabilmente perso la fiducia dell’opinione pubblica. I suoi mentori a Pechino, sebbene al momento stiano continuando a sostenerla pubblicamente, sono chiaramente pronti a farla fuori».

 

Articolo in inglese: Nearly 2 Million Protest Hong Kong Extradition Bill, Call for Lam to Resign

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