Hangzhou, lezioni dal G20 e dal mondo

Al G20 di Hangzhou, in Cina, il presidente Barack Obama e il leader cinese Xi Jinping hanno annunciato la ratifica congiunta dell’Accordo di Parigi della Conferenza sui cambiamenti climatici dell’Onu del 2015.

Con l’adesione di Stati Uniti e Cina sono 26 i Paesi che hanno firmato l’accordo. I due rappresentano rispettivamente il 18 e il 20 percento delle emissioni di anidride carbonica mondiali, la causa principale del riscaldamento globale.

Probabilmente, il comunicato finale del summit sarà stato bene accolto in tutto il mondo, dato che invita alla lotta all’evasione fiscale, a potenziare il mercato e gli investimenti internazionali, all’attuazione di stimoli fiscali e di innovazione per rilanciare la crescita economica, all’opposizione agli «attacchi populisti» contro la globalizzazione, e a rafforzare il sostegno ai rifugiati.

Il summit di quest’anno era l’undicesimo e il primo ospitato dalla Cina. All’arrivo, il presidente Barack Obama è stato deliberatamente snobbato: niente scale e tappeto rosso allo sbarco dall’Air Force One per il presidente Usa, che è stato costretto a lasciare l’aereo da un’uscita ausiliaria. Gli agenti cinesi hanno trattenuto i giornalisti presenti alla scena, che sono stati poi sapientemente schivati da Obama.

In vista del summit di Hangzhou, è stato chiesto a più di 200 acciaierie di interrompere la produzione per ridurre temporaneamente l’inquinamento ambientale. In molti in tutto il mondo hanno ricordato alla Cina che le proprie industrie sono state esternalizzate nel Paese perché il governo intraprende sistematicamente una violazione delle leggi ambientali e del commercio internazionale.

Due docenti americani, Greg Autry e Peter Navarro, hanno stimato che negli ultimi dieci anni solo gli Stati Uniti hanno perso circa 54 mila imprese e 24 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero, principalmente finiti in Cina (nei primi anni del 2000, 32 acciaierie americane sono fallite a causa principalmente della concorrenza sleale cinese).
I due professori credono che tutte le nazioni dovrebbero avviare politiche per creare un commercio leale, le quali devono includere la definizione della manipolazione della valuta come sovvenzione all’esportazione in aggiunta agli altri sussidi nel calcolo dei dazi anti dumping, e adottare e rinforzare le normative ambientali, sanitarie e di sicurezza compatibilmente con le leggi internazionali.

Il libro di Dan DiMicco, ‘American Made’, in merito alla restaurazione del manifatturiero per un ruolo centrale nell’economia americana – le cui implicazioni riguardano molte altre economie – dovrebbe convincere chiunque del fatto che la sua tesi è valida per la maggior parte dei Paesi.

DiMicco è stato incluso nella Lista dei migliori 100 amministratori delegati più produttivi del mondo 2010 stilata dall’Harvard Business Review, e basata sui risultati da lui raggiunti alla Nucor. Oggi Nucor è la più grande acciaieria americana e la più grande impresa di riciclaggio del Nord America, ognuno dei suoi 22 mila dipendenti ha un contratto a tempo pieno e in 40 anni nessuno è mai stato licenziato.

Secondo DiMicco, il manifatturiero e le innovazioni che lo seguono sono indispensabili. Constatando che ciascun dollaro di attività nella realizzazione e fabbricazione delle cose «crea 1,34 dollari di attività nella più ampia economia», trova straziante che il valore di questo settore sia crollato da un quarto dell’economia americana nel 1960 a circa il 12 percento di oggi.

Il manifatturiero anche oggi sostiene 6 milioni di posti di lavoro nei servizi. DiMicco propone di rilanciare il numero dei lavoratori americani nel settore dai 12 milioni odierni a 20-25 milioni nei prossimi dieci anni. La maggior parte dei Paesi dovrebbe muoversi in una direzione simile.
L’ex amministratore delegato di Nucor, stima che entro il 2025 gli Stati Uniti avranno bisogno di creare 30 milioni di posti di lavoro per stare al passo con la propria crescita demografica.

Attualmente, aggiunge, milioni di giovani americani sono o disoccupati o sotto-occupati e spesso «spacciano hashish o vendono scarpe da ginnastica cinesi». Tutte le economie dovrebbero essere incoraggiate da una serie di misure ragionevoli, incluso un prudente investimento pubblico, per creare milioni di posti di lavoro costruendo, fabbricando e innovando.

Il libro mette in guardia in maniera appropriata nei confronti della sola innovazione, che non può evidentemente rilanciare l’economia: negli ultimi dieci anni, mentre circa 6 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero statunitense sono scomparsi, l’occupazione nei settori delle tecnologie informatiche, telecomunicazioni, elettronica e dei servizi tecnico-professionali è rimasta essenzialmente ferma. E molte imprese americane stanno spostando i laboratori di ricerca in Cina perché è meglio inventare dove si costruisce.

In ultimo, DiMicco sottolinea che il killer numero uno del settore manifatturiero è la manipolazione della valuta, che causa enormi costi a vantaggio della concorrenza ‘predatrice’ estera.
Dagli anni novanta, la svalutazione della moneta cinese ha causato la perdita di milioni di posti di lavoro, americani e non; e poi corruzione sistematica, tangenti ed estorsione si aggiungono al deficit commerciale con la Cina. Una delle proposte chiave del libro per l’America è di rinvigorire l’applicazione della normativa sul commercio.

Gli attuali 475 miliardi di dollari di deficit commerciale degli Stati Uniti hanno certamente attirato l’attenzione pubblica in quest’anno di elezioni (il deficit del Canada con la Cina era di 45 miliardi nel 2015). DiMicco chiede a politici americani e investitori di porre attenzione alla reale crisi che stanno affrontando: i 30 milioni di posti di lavoro che gli Stati Uniti hanno bisogno di creare entro il 2025, in parte risaneranno i deficit di mercato e di bilancio. Gli altri membri del G20, fra cui il Canada, devono a loro volta intervenire allo stesso modo.

 

David Kilgour

David Kilgour, ex parlamentare canadese e uomo di legge di professione, è un ex magistrato federale e ha prestato servizio alla Camera dei Comuni del Canada per quasi 27 anni. È stato Segretario di Stato per Africa e America Latina e Asia-Pacifico e membro del gabinetto di Jean Chretien. 
È autore di diversi libri e co-autore con David Matas di ‘Bloody Harvest: rapporto sulle affermazioni di espianti di organi a praticanti del Falun Gong in Cina‘.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

Per approfondire: 

 

Articolo in Inglese: The G20 and World Lessons from Hangzhou

Traduzione di Davide Fornasiero

 
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