Gordon Chang: la Cina è vicina… al collasso

Gordon Chang è un economista esperto di Cina noto per il suo libro del 2001 The coming collapse of China [Il futuro collasso della Cina, ndt], in cui prediceva che il collasso dell’economia cinese e la caduta del Partito Comunista Cinese si sarebbero verificati entro 10 anni.

Le sue previsioni sono al momento in ritardo di qualche anno, ma Chang continua a rilasciare analisi senza censure sul dietro le quinte della situazione politco-economica cinese.
Nel 2015, aveva previsto sia l’attuale pressione continua cui è sottoposta la valuta cinese, che la sempre crescente fuga di capitali all’estero. Insomma, le argomentazioni fondamentali della tesi del libro di Gordon Chang sono valide ora più che mai.

Epoch Times ha intervistato l’economista sull’apparente attuale stabilità della Cina, e sulle cause che stanno provocando i veri attriti al di sotto della superficie.

Il regime cinese è riuscito a stabilizzare l’economia nel 2016. Riuscirà a fare lo stesso nel 2017?

La Cina sembra forte, ma in realtà è debole. E ha passato il punto di non ritorno. [I capi del regime, ndr] hanno creato un debito di enormi proporzioni, e certamente sono riusciti a stabilizzare l’economia, beneficiando in gran parte il settore manifatturiero; e stiamo anche iniziando a vedere un po’ di inflazione. Ma i costi sono altrettanto enormi. È la solita vecchia tattica di creare debito per alimentare la crescita: è una dimostrazione più che altro di disperazione.

Ci sono delle cose che, nel 2017, si potrebbero fare per riformare il sistema cinese; ma non faranno niente,  perché ci sono degli imperativi a livello politico; uno dei fattori più critici è il 19esimo Congresso del Pcc in autunno, nel quale si annuncerà se Xi Jinping resterà o meno al comando del Paese. Dovranno congelare tutto.

Xi Jinping ha mutuato in pieno il pacchetto di misure economiche di Li Keqiang [il premier cinese, ndr], quindi a Xi vanno sia i meriti che le critiche. E vorrà evitare ogni tipo di evento traumatico da qui al Congresso. Dovrebbe essere ovvio, ma invece sono in molti a non tenerne conto.

Io penso che riusciranno a tenere tutto congelato fino al Congresso. Dopo arriveranno i guai. Cercheranno il più possibile di prevenire ogni aggiustamento fintanto che potranno: cercheranno di insistere nella creazione di posti di lavoro e nel tenere il Pil vicino a 7 percento. Questo faranno.

Ma anche se stesse crescendo davvero al tasso ufficiale, la Cina crea debito a una velocità cinque volte superiore al Pil incrementale. Pechino può anche far crescere l’economia con le città fantasma e le linee ferroviarie ad alta velocità che non portano da nessuna parte, ma non è gratis. E nemmeno sostenibile.

Dopo il Congresso del Pcc, la Cina andrà in caduta libera.

Il solo fattore che può cambiare l’economia cinese è una riforma fondamentale dell’economia. Ma si stanno muovendo in maniera regressiva: stanno ancora stimolando. E in questo modo si allontanano da un’economia basata sui consumi e sul settore privato, a favore dello Stato.

Il Sogno Cinese [delineato da Xi Jinping, ndr] vuole uno Stato forte, e non è compatibile con le riforme di mercato. Ma anche se Xi volesse cambiare e  liberalizzare l’economia, sarebbe troppo poco e troppo tardi.
Gli stimoli, invece, faranno aumentare gli squilibri di fondo, cosa che renderà ancora più difficile la correzione.

Cosa sta succedendo al di sotto della stabilità superficiale?      

Guardate cosa è successo l’anno scorso: la fuga di capitali è stata probabilmente maggiore di quella del 2015. E il 2015 era stato un anno senza precedenti: tra i 900 e i mille miliardi di dollari.

Il popolo cinese vede quello che anche altri hanno visto, e che non ha più alcun senso: vede che l’economia non cresce, è preoccupato della direzione politica del Paese e capisce che la fine non è lontana; per questo le persone spostano i capitali all’estero.
E anche le persone stanno andando all’estero: una volta i giovani cinesi andavano in America per istruirsi e poi tornavano a casa; adesso si laureano e cercano di entrare in una banca di investimenti, vogliono restare. La situazione non è così buona come Pechino cerca di propagandare.

Per bloccare il deflusso di capitali e mantenere la stabilità, hanno instaurato controlli di stampo draconiano dalla fine del 2015. Hanno posto delle serie limitazioni agli investimenti all’estero da parte delle multinazionali. Possono farlo, ma per quanto? Stanno disincentivando la gente a investire in Cina, perché gli investitori non sanno se sarebbero poi in grado di riportare i soldi in patria. E, in barba ai controlli, hanno subito un’esportazione di capitali verso l’estero da record: dopo che i controlli, nel secondo semestre, sono stati inaspriti, l’esportazione è persino aumentata.

Continueranno a tenere botta fino al Congresso, ma non sono in grado di proseguire la partita: tutto si basa sulla fiducia; e c’è un crollo di fiducia nei confronti della Cina.

Stanno anche utilizzando le loro riserve in valuta straniera per gestire il declino della moneta. Il Fondo Monetario Internazionale, ad esempio, sostiene che i 3 mila miliardi di dollari in loro possesso siano sufficienti a far girare l’economia.

Nessuno in grado di fornire delle cifre, e comunque non è possibile sapere se siano corrette, proprio come per il Pil: non puoi andare al loro Ufficio di gestione cambi internazionale e aprire i loro libri. Possono diffondere qualunque cifra senza che si possa verificarne alcuna. E hanno un alto incentivo a falsificare i dati.
E sappiamo che hanno delle posizioni sintetiche di breve termine perché stanno vendendo derivati attraverso le banche statali. Se si guarda alle stime in valuta estera, eccedono ogni mese i valori reali. La Cina eccede sempre: non ci vuole un genio per capire che il valore degli scambi con l’estero non può essere giusto. Nascondendo il declino delle loro riserve in valuta estera minimizzano i problemi, così la gente continua a credere nella valuta.

Perciò, io non credo che abbiano davvero quei 3 mila miliardi di dollari: stanno facendo lo stesso giochino che ha fatto il Brasile nel 2014 vendendo derivati invece che dollari reali. Secondo le mie fonti ci sono 500 miliardi di dollari. Poi ci sono mille miliardi di dollari di investimenti non liquidi in riserve di valute straniere. Ho calcolato che ci dovrebbero essere 1.500 miliardi di dollari utilizzabili per difendere la moneta. Le riserve in valuta estera non sono così grandi come Pechino vorrebbe far credere.

Quindi prima o poi dovranno svalutare

Non credo che svaluteranno prima del 19esimo Congresso di fine anno. Dopo, svaluteranno. Ma non a sufficienza; e l’insufficiente svalutazione sarà un colpo alla fiducia: tutti pensano che debba essere maggiore. E alla fine qualcuno capirà che i dati ufficiali sulle riserve sono sbagliati. Ma quello da cui devono difendere la loro valuta, è la valuta estera.

Xi Jinping dice che il Sogno Cinese è una Cina forte, quindi è lui il responsabile di tutto. E la svalutazione non porta mai benefici ai consumatori cinesi.
[I leader cinesi, ndr] continuano a prendere decisioni stupide. È il sistema politico: l’imperativo politico è troppo forte; sarebbe troppo imbarazzante fare una riforma totale. E Xi vuole apparire forte.
Da sempre in Cina cercano di prevenire il naturale evolversi degli aggiustamenti economici, e così facendo hanno creato squilibri di base sempre maggiori.

In conclusione, la Cina non vivrà un secondo 2008, ma un 1929.


Intervista ridotta per brevità

Articolo in inglese: Gordon Chang: China Is Going to Go Into Free Fall

Traduzione di Emiliano Serra

 

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