Gli spazi sicuri mettono in pericolo le menti

Di Rikki Schlott

I ‘safe space’ (spazi sicuri), ovvero «un luogo o ambiente in cui una persona o una categoria di persone può sentirsi sicura di non essere esposta a discriminazioni, critiche, molestie o qualsiasi altro danno emotivo o fisico» stanno prendendo piede. Secondo l’Oxford Dictionary, sorgono da un percepito bisogno di avere dei luoghi in cui certi gruppi emarginati si sentano autorizzati ad esprimersi apertamente, e quindi è teoricamente fondato sugli ideali della libertà di parola.

Ma da quando sono sorti degli ‘spazi sicuri’ nei campus universitari di tutto il mondo, questi spazi si sono rivoltati completamente contro quella che doveva essere la loro missione.

Piuttosto che promuovere l’espressione aperta, gli spazi sicuri sono invece specializzati nel soffocare idee contrarie. Combinando il concetto di parola con quello di violenza, forniscono semplicemente «protezione» agli studenti da ideologie opposte che potrebbero offenderli. In tal modo hanno incelofanato una generazione sul piano emotivo e ideologico, mettendo in pericolo le menti.

Il concetto è arrivato all’attenzione americana nel 2015 quando il New York Times ha riferito di uno spazio sicuro per gli studenti alla Brown University, necessario a causa dell’invito di Wendy McElroy a parlare nel campus. Secondo l’articolo, la stanza era arredata con cuscini, coperte, musica rilassante, video di cuccioli, biscotti, bolle, libri da colorare e persino Play-Doh. Da allora, il fenomeno ha continuato a fare notizia per la sua crescente assurdità.

Allo stesso tempo, le università stanno implementando altri meccanismi di sicurezza nei loro sforzi per proteggere gli studenti dal disagio intellettuale. Dei ‘trigger warning’ (avvisi del fatto che certi testi o discorsi possano causare reazioni emotive avverse) insudiciano i cataloghi dei corsi, mentre delle politiche restrittive sul linguaggio minacciano i trasgressori di conseguenze disciplinari. Nel 2020, quasi un quarto dei codici che regolano i discorsi tenuti nelle università ha ottenuto un «semaforo rosso» di valutazione dalla Foundation for Individual Rights in Education (Fire). Il semaforo rosso viene ottenuto in presenza di «almeno una politica che limita chiaramente e sostanzialmente la libertà di parola».

Allo stesso tempo, il «no-platforming» di oratori controversi, continua a isolare le menti degli studenti dalla diversità dei punti di vista. Forse l’esempio più famoso viene dal Middlebury College, dove nel 2017 lo scienziato politico Charles Murray è stato aggredito da rivoltosi che gli urlavano contro mentre era nella sua auto. Nello stesso anno, il discorso del commentatore conservatore Ben Shapiro all’Università della California-Berkeley è costato all’università 600 mila dollari in sicurezza. Il precedente ha preventivamente impedito a molti potenziali ospiti di visitare i campus. Persino comici come Jerry Seinfeld si rifiutano apertamente di esibirsi di fronte a questi studenti ipersensibili.

L’insistente promozione della sicurezza ideologica da parte dell’Accademia sta isolando un’intera generazione. Queste politiche proteggono i giovani dal disagio intellettuale. Se gli studenti sono giustificati in tutti i loro preconcetti, perché mai dovrebbero frequentare l’università? L’impegno con punti di vista diversi è fondamentale per l’esperienza accademica. Il dibattito è fondamentale per lo sviluppo delle sfumature e la riforma dei presupposti. In effetti, un sondaggio di Fire sugli studenti ha rilevato che il 64% ammette di aver cambiato opinione dopo aver ascoltato un oratore ospite. Inoltre, sempre meno oratori dal pensiero alternativo sono ammessi nei campus.

Nei loro sforzi per proteggere gli studenti, i college e le università li stanno rendendo del tutto impreparati per la vita. In un mondo in cui i professori di facoltà di giurisprudenza danno ‘trigger warning’ durante l’insegnamento della legge sugli stupri, come possiamo produrre avvocati preparati e competenti? Stiamo crescendo una generazione completamente impreparata per la realtà al di fuori dei cancelli del campus. Il mondo reale è pieno di cattive idee e offese. L’infantilizzazione degli studenti sottovaluta la loro capacità di gestire le avversità e mina fondamentalmente la loro integrità intellettuale.

Sfortunatamente, il concetto di safetyism non cessa con la laurea. Quando i bambini universitari coccolati entrano nel mondo del lavoro, portano con sé questa mentalità. Le principali società hanno stabilito politiche per lo spazio sicuro per i dipendenti e gli studi suggeriscono il loro sostegno popolare tra i giovani. Nel 2015 un sondaggio di Pew Research aveva rilevato che il 40% dei Millennial era d’accordo con il fatto che il governo censuri le dichiarazioni considerate offensive.

La garanzia americana di libertà di parola è stata tradizionalmente quasi assoluta. Questo fu dimostrato al meglio nel 1977 quando David Goldberger, un avvocato ebreo presso l’Aclu, difese i diritti di libertà di parola dei nazisti a manifestare nel quartiere a maggioranza ebraica di Skokie, Illinois. Eppure, oggi sempre più americani credono che un discorso meramente offensivo debba essere fermato. Sembra che stiamo dimenticando un principio americano per eccellenza: potrebbe non piacermi quello che dici, ma difenderò il tuo diritto di dirlo.

Il sacro diritto alla libertà di parola non ha precedenti nella storia umana. L’abbandono di questo ideale da parte dei giovani americani dimostra la loro mancanza di consapevolezza storica. Insistono per aprire un vaso di Pandora della censura governativa nonostante gli innumerevoli esempi storici delle sue conseguenze. Coloro che hanno vissuto sotto regimi oppressivi possono attestare i pericoli di soffocare il libero pensiero. Ironia della sorte, la riduzione della libertà di parola continua a essere spinta da coloro che non hanno mai conosciuto la vita senza di essa.

 

Rikki Schlott è una scrittrice e studente con sede a New York City. Da giovane attivista per la libertà di parola, i suoi scritti raccontano l’ascesa dell’illiberalismo da una prospettiva di generazione Z. Schlott lavora anche per The Megyn Kelly Show e pubblica su The Daily Wire e The Conservative Review.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

 

Articolo in inglese: https://www.theepochtimes.com/safe-spaces-endanger-minds_3769145.html



 
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