L’ossessione degenerativa per l’innovazione nell’arte americana

Dieci anni dopo la richiesta di 12 milioni di dollari per uno squalo imbalsamato di 2 tonnellate definito – nello sgomento generale – ‘arte’, il boom economico dell’arte contemporanea continua.

Secondo Robert Ekelund, un’economista, oggigiorno stiamo assistendo a una bolla sostenuta dalla nostra infinita caccia all’innovazione e questo fenomeno, sta portando con sé uno spiacevole effetto collaterale per i consumatori di cultura.

Ekelund, è un ex professore di economia e da sempre artista: pittore amatoriale, pianista classico e musicista incisore di musica da circa 60 anni. L’arte nutre e appaga il suo spirito, mentre l’economia gli fornisce il vocabolario di uno scienziato sociale.
Era da molto tempo che aveva l’idea di scrivere un libro che riguardasse l’economia dell’arte, e negli ultimi cinque anni è finalmente riuscito a trovare il tempo per farlo.

Ekelund, nel libro di 400 pagine scritto insieme a John D. Jackson e Robert D. Tollison, ha scelto di concentrarsi esclusivamente sull’arte americana, prendendo come riferimento molte teorie economiche per esaminare 80 artisti americani e più di 14 mila pezzi messi all’asta. La Oxford University Press ha fissato la pubblicazione del libro, intitolato L’economia dell’arte americana: arte, artisti e istituzioni di mercato, per la metà del 2017.

Ekelund di recente si è preso una pausa per rivedere le conclusioni del libro e avere una panoramica dei suoi studi.
«C’è una incredibile caccia al nuovo» ha commentato. È evidente non solo dal fatto che i prezzi sono progressivamente aumentati (con le case d’asta Sotheby’s e Christie’s che hanno sfondato la barriera del miliardo nelle vendite private nel 2013), ma anche dal valore di rivendita dei costosi lavori in questione. L’autore-economista spiega che certi individui dotati di elevato patrimonio e forte potere d’acquisto stanno guidando la bolla. E gli effetti sono interessanti, sebbene non esattamente positivi.

In concreto ci sono due mercati: il primo riguarda opere il cui prezzo è compreso fra i 50 mila e i 10 milioni di dollari, l’altro opere con prezzo superiore a 10 milioni di dollari, solitamente acquistate in privato da individui molto facoltosi. Secondo quanto riscontrato dal campione di dati analizzato, con le opere del segmento superiore gli investitori hanno la possibilità di guadagnare più del 18 percento con la rivendita. Per lo meno nel breve periodo, forse nei successivi 10 o 15 anni, ma nel lungo termine, nessuno può saperlo.

L’autore sostiene che i miliardari non sono necessariamente appassionati o esperti di arte, ma semplicemente esperti investitori. Hanno bisogno di fare affidamento sul mondo dei proprietari e dei direttori di gallerie, che sono stati sempre più creativi nel pubblicizzare gli artisti.
Elekund afferma: «Io credo nell’elevazione, ma l’innovazione per il profitto non funziona». Ecco perché la bolla, al posto che una sana crescita.
Questi sono artisti a metà carriera, vanno alle aste sempre più giovani come compratori e curatori seguendo i pezzi più nuovi e trasgressivi, pubblicizzati da proprietari di gallerie, curatori e banditori d’asta per alimentare la milionaria bolla di mercato. Sono artisti che per ora non hanno dimostrato niente, né al tempo né al pubblico.
Ekelund sostiene che «bisogna attraversare il fuoco per entrare nel pantheon dell’arte». E gli artisti considerati ‘caldi’ dalle gallerie e dai battitori d’asta non lo hanno ancora fatto. Il che vuol dire, continua l’autore, che anche se hai i soldi per comprare un pezzo firmato come un Jeff Koons, è assolutamente possibile che i tuoi discendenti si ritroveranno solo con un grosso cane di peluche. Da un punto di vista economico, «non so se tutto questo potrà durare o no». Forse, o forse no. Ma in ogni caso sostiene che molta dell’arte contemporanea è di dubbia qualità.

Anche i musei, che Ekelund sostiene abbiano la missione di promuovere l’apprezzamento della cultura, ne escono perdenti da questa situazione.
Il Met (Metropolitan Museum of Art di New York), per esempio, ha recentemente annunciato di aver superato il proprio record nel passato anno fiscale con 6,7 milioni di visitatori: 6,7 milioni di persone che hanno avuto l’opportunità di vedere alcune delle migliori opere accessibili al pubblico.
Non molto tempo prima dell’annuncio però, diversi dirigenti avevano dichiarato di volersi dimettere a causa della situazione finanziaria del museo.

Dopo tutto, gli ingressi coprono solamente una piccola porzione delle spese della struttura. Il museo dipende dalle donazioni, e principalmente dalle cospicue donazioni effettuate da individui particolarmente facoltosi che, se consideriamo unicamente numeri e tendenze, hanno attualmente ripreso interesse nel costruire collezioni private e musei privati, lasciando così le istituzioni a corto di donazioni.
Gli individui benestanti che siano da poco interessati all’arte, possono sentirsi maggiormente propensi ad acquistare privatamente piuttosto che patrocinare un museo.

Nonostante i numeri, non è detto quale sia la scelta del singolo privato facoltoso: l’acquisto di un quadro da parte di un milionario per un ammontare di svariati milioni di dollari non scoraggerà necessariamente la generosità di un altro. E non è nemmeno detto che i musei privati creati di recente – come la Neue Galerie dell’impresario Ronald Lauder, il Long Museum del finanziatore cinese Liu Yiqian, o il Getty del vice presidente del gruppo Blackstone J. Tomilson Hill – continueranno a esistere fra 100 anni, salvo che non ricevano delle cospicue donazioni.

Inoltre, molto del denaro speso per l’arte viene utilizzato per quadri che la maggior parte delle persone non vedrà mai; e far aumentare i prezzi significa anche abbassare la probabilità che i musei si accaparrino le opere.

In questo ‘scenario da bolla’, i ladri di opere d’arte sono i veri vincitori: secondo gli enti federali, miliardi di dollari vengono persi ogni anno a causa dei furti di arte. Questi furti, secondo il dipartimento di Giustizia Usa, rappresentano attualmente il terzo crimine più redditizio nel mondo (contando esclusivamente il costo delle opere rubate e non il prezzo di rivendita).
Ekelund sostiene che l’aumento dei prezzi, così come il furto, stanno creando un florido mercato nero. Le opere inoltre, vengono utilizzate come valuta o collaterali nei confronti di prestiti o accordi.

Il libro di Robert Ekelund esamina poi qualche altra teoria e la applica all’arte americana, come la produttività degli artisti e ‘l’effetto morte’, che si verifica quando la morte di un’artista diventa una garanzia assoluta che la disponibilità delle opere di quell’artista è limitata.

Ekelund conclude che la situazione corrente, parlando sia come economista che come profondo amante dell’arte, è abbastanza sconfortante: «Chissà quanto sarà il loro valore fra 10 o 15 anni». L’autore sostiene che quando si esamina l’arte, si impara qualcosa su noi stessi. È una finestra nel nostro passato e nel nostro presente, ci comunica quello che le parole non possono.

Ci sono segni di rallentamento nel mercato dell’arte contemporanea, sebbene siano insufficienti per affermare se questa sia la sua ultima tendenza. Le vendite di Sotheby’s sono scese del 31 percento in mezzo a un generale calo del mercato dell’asta, mentre Christie’s ha visto le sue vendite cadere del 27 percento nella prima metà de 2016, perché ci sono meno vendite nella fascia delle opere superiore, quella con prezzi maggiori di 20 milioni di dollari.

Secondo il New York Times, Sotheby’s sta procedendo con una strategia che pone l’accento sul mercato di media fascia, nel quale le opere e i prezzi sono meno offensivi e risultano di minor portata sul totale, ma con più alti margini di profitto.

Concludendo, Ekelund sostiene che «ci vorrà qualche anno per dire se un particolare genere o artista resterà nel pantheon dell’arte». In 20 o 40 anni, chi può sapere quale sarà l’arte esposta sulle pareti dei musei?


Articolo in inglese: The Economic Side-Effects of Our Obsession With Innovation in American Art

Traduzione di Davide Fornasiero

 
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