Etiopia, il posto al sole di Pechino

La Cina ha molti collegamenti con l’Africa, ma le migliori cooperazioni economiche e politiche le effettua con l’Etiopia: spinto dalle sue mire economiche mondiali, il regime cinese cerca interlocutori che abbiano terre da esplorare, miniere, mano d’opera a buon prezzo e magari siti geografici strategici. Ma è difficile che la politica del Partito Comunista Cinese possa espandersi nei paesi sviluppati, dove preferisce esercitare un ’potere sottile’ attraverso pressioni diplomatiche o economiche; trova invece grossi clienti nei paesi in difficoltà o in via di sviluppo, soprattutto se si tratta di regimi autoritari.

Dal 1995 e dalla metà degli anni 2000, Etiopia e Cina hanno messo in atto una collaborazione sempre più stretta: qual è la natura di questa alleanza e perché è diventata così importante in questi ultimi dieci anni?

Nel 2012, Jean-Pierre Cabestan, direttore delle ricerche al Cnrs e ricercatore associato al Centro di studi francese sulla Cina contemporanea a Hong Kong, ha pubblicato uno studio su Perspectives chinoises, dal titolo La Chine et L’Éthiopie: entre affinités autoritaires et coopération économique. L’articolo si basa sugli studi condotti da Cabestan e su altre fonti recenti, con l’obiettivo di evidenziare che il rapporto tra i due Stati è fondato su «valutazioni tanto diplomatiche e strategiche – nonché ideologiche – che economiche».

ORIGINI STORICHE DELLE RELAZIONI CINA-ETIOPIA

Le relazioni diplomatiche stabilite da Hailé Selassié nel 1970 con la Repubblica Popolare Cinese, durano fino allo scoppio della rivoluzione del 1974 capeggiata dal militare Hailé Mariàm Menghistu, che lo destituisce e ne ordina l’assassinio.
Menghistu, che sarà chiamato in seguito ‘Negus Rosso’, da quel momento attua un regime dittatoriale legato all’Urss, con cui nel 1978 stabilisce un’alleanza; nel 1984 fonda e prende il comando del partito marxista-leninista Pte (Partito dei lavoratori etiopi), mentre l’intesa con l’Unione Sovietica tiene a distanza la Cina dall’Etiopia fino all’inizio degli anni ’90.

Dopo il crollo dell’Urss e la vittoria dell’opposizione armata in Etiopia, anche il regime di Menghistu cade e prende il potere Meles Zenawi, capo del Fronte Democratico Rivoluzionario dei Popoli Etiopi (Fdrpe); da quel momento le relazioni tra Addis Abeba e Pechino si sviluppano: diventato primo ministro dopo elezioni democratiche, nel 1995 Zenawi va in Cina; nel ’96 è Jiang Zemin, allora segretario del Pcc, a sostare ad Addis Abeba durante un viaggio in Africa, da cui sono scaturiti numerosi accordi tra i due Paesi.

DAL POTERE AUTORITARIO AL POTERE TOTALITARIO

Nel 2005, le relazioni tra Etiopia e Cina si intensificano diventando uno stretto legame diplomatico, politico ed economico: questa evoluzione è direttamente collegata al rafforzamento dei poteri personali di Zelawi e all’inasprimento del suo regime. Dalla sua elezione del 2005, compromessa da molte irregolarità e ripetute violenze contro gli oppositori (duecento morti), Meles Zelawi rinforza il potere, ma perde alleati dei paesi occidentali, come Stati Uniti e Unione Europea.

Durante le elezioni del 2010 questa tendenza si conferma: l’opposizione è stata quasi annientata, ottenendo solo due seggi su 574 nel parlamento: Meles è accusato di aver messo in atto un regime di Stato con partito unico.
Nel 2009, inserendosi nella ‘guerra globale contro il terrorismo’, instaura l’Anti-Terrorism Proclamation e dichiara lo stato di emergenza: questo gli permette di adottare una serie di misure per bloccare la minaccia terrorista dei Shabbabs [radicali islamici somali, ndr], ma non è che un pretesto per ridurre al silenzio i dissidenti, creando confusione tra ‘opposizione’ e ‘terrorismo’.

La repressione dei dissidenti imperversa ancora oggi: dopo la morte di Zelawi nel 2012, è diventato primo ministro Haile Mariam Dessalegn che ha preso anche il comando del Fdrpe; esercita allo stesso modo un potere totalitario reprimendo duramente tutte le voci di critica al suo regime.

Nel 2016 ci sono state migliaia di arresti tra giornalisti, blogger o membri dell’opposizione. I dissidenti sono imprigionati nei ‘campi di riabilitazione’, sono torturati e sottoposti a esercizi fisici fino a farli arrivare al limite della resistenza, per assoggettarli all’autorità del regime.

Articolo in francese: RELATIONS CHINE/ÉTHIOPIE : UN PARTENARIAT DE PLUS EN PLUS ÉTROIT

Traduzione di Francesca Saba

 
Articoli correlati