L’esperienza di un cinese a Wuhan e Pechino durante la pandemia

Guardando al tempo trascorso tra Wuhan e Pechino negli ultimi sei mesi, Liu ha avuto la sensazione di non essere mai sfuggito all'ombra della pandemia

Di Gu Xiaohua

Un cittadino cinese ha raccontato la sua esperienza di quando l’epidemia del virus del Pcc (Partito comunista cinese) è scoppiata nella città di Wuhan alla fine dello scorso anno e di quando è poi riemersa a Pechino nel mese di giugno.

Liu Jun (pseudonimo), un nativo di Wuhan che lavora a Pechino, era tornato nella sua città natale per il Capodanno cinese a fine gennaio. Liu ritiene di essere stato infettato dal virus del Pcc durante l’isolamento, ma fortunatamente i suoi sintomi sono passati rapidamente. Quando l’isolamento è stato revocato a Wuhan in aprile, Liu ha tentato di tornare al lavoro, ma ha incontrato degli ostacoli per via delle rigide regole imposte da Pechino per contenere i nuovi focolai del virus in città. Liu ha affermato: «Sono finito in un altro campo di battaglia pandemico».

Wuhan ha confermato migliaia di nuovi casi in un giorno

Liu era tornato a Wuhan da Pechino il 23 gennaio, il giorno prima dell’inizio del Capodanno cinese, proprio quando la città è stata posta in quarantena. «Non potevo farci niente, quella è casa mia». Ha cominciato a manifestare i sintomi del virus il 28 gennaio e ha cercato cure mediche presso le cliniche locali che erano state designate per i test Covid-19. Tuttavia non ha ottenuto alcun risultato perché mancavano kit per i test, così il medico gli ha prescritto dei farmaci, invitandolo all’auto-quarantena in casa propria.

Liu non voleva andare in un ospedale locale: «C’erano troppi pazienti. La gente era stipata nei corridoi degli ospedali. È troppo pericoloso andare in ospedale».

Basandosi su una fonte anonima che lavorava come volontario in un ospedale locale di fortuna, Liu ha raccontato che gli ospedali di Wuhan erano pieni già alla fine di gennaio, mentre decine di migliaia di nuovi casi venivano confermati ogni giorno: «Il 12 febbraio, ci sono stati 15 mila nuovi casi, tutti confermati, ma non c’erano letti liberi».

Inoltre, Liu ritiene che le cifre ufficiali non includano coloro che sono stati respinti dagli ospedali per mancanza di posti letto e quelli che non hanno potuto sottoporsi al test per il virus del Pcc.

Prima di febbraio, l’epidemia era già scoppiata e la città posta in isolamento, ma la gente non era consapevole della gravità della situazione, e quindi, il mercato notturno era rimasto aperto. Poi, poco dopo, i residenti sono stati confinati nelle loro case: «Un giorno sembrava un anno».

I crematoi operativi 24 ore su 24

Liu ritiene che il numero di morti sia stato molto superiore alle stime ufficiali. Molti sono morti per cause non confermate: «Credo che siano stati tutti uccisi dal coronavirus perché i sintomi erano tutti uguali».

Un amico del padre di Liu che è nel settore dei crematoi, ha raccontato a Liu che i forni erano in funzione 24 ore su 24 e gli operai venivano pagati più di 1.000 yuan (circa 126 euro) per ogni cadavere che giungeva al crematorio. Un operaio poteva guadagnare più di 100.000 yuan (circa 12.000 euro) alla settimana.

Liu ha aggiunto che c’erano molti cadaveri e che alla gente non era permesso vedere i parenti deceduti per l’ultima volta, anche se stretti. «C’erano anche crematoi mobili nelle zone rurali. Immaginate quanti cadaveri c’erano».

Durante l’isolamento a Wuhan, dal 23 marzo alle famiglie dei deceduti a causa del virus è stato permesso di raccogliere i resti cremati dei loro parenti da sette pompe funebri gestite dal governo.

Liu ha stimato che i decessi di casi non confermati sono stati almeno 20 mila, come confermato anche dall’amico che gestisce un crematorio.

L’arduo viaggio di ritorno a Pechino

Liu si è sentito sollevato quando l’8 aprile è stato revocato il blocco di Wuhan, ma è stato difficile tornare al suo posto di lavoro a Pechino: «Le regole erano troppo severe».

Le autorità locali hanno imposto regole severe per quelli che volevano tornare a Pechino, permettendo l’accesso ad appena mille persone al giorno. Prima di entrare in città le persone devono sottoporsi al test per il virus e presentare il risultato, che è valido per sette giorni, alle autorità designate per poi essere inseriti in una lista di approvazione. Dopo aver ottenuto l’approvazione, possono acquistare un biglietto ferroviario o aereo, ma questo deve essere fatto prima della scadenza dei risultati del test.

Liu ha tentato di ottenere un test dell’acido nucleico dal 20 aprile, ma ha dovuto ripeterlo più volte perché i risultati arrivavano sempre troppo tardi: «Ho fatto il test cinque volte. Il 3 giugno ho fatto il quinto test, ma non sono comunque riuscito a ottenere il biglietto».

I risultati del test Covid-19 di Liu Jun. (Per gentile concessione di Liu Jun)

«Ma sapete cosa? La restrizione è stata tolta il 6 giugno. Potevamo tornare direttamente a Pechino con il risultato del test. Ero contentissimo».

Liu è tornato a Pechino il 7 giugno e il giorno dopo è tornato al lavoro, ma il 12 giugno sono comparsi nuovi casi positivi in città. Con un filo di tristezza Liu ha spiegato: «Dopo cinque giorni di lavoro, il 12 è stata annunciata la nuova epidemia a Pechino, era il mio compleanno, tra l’altro. Mi sono così ritrovato in un altro campo di battaglia pandemico».

Discriminazione verso chi viene dai focolai

Liu si è abituato alle reazioni negative della gente verso il suo luogo di nascita. «Una volta che la gente sa che sei di Wuhan, si tiene a distanza da te fino a cinque metri». Tuttavia, «ora è Xinfadi che farebbe innervosire la gente». Il mercato alimentare di Xinfadi è il luogo segnalato dalle autorità, come fonte dell’ultima epidemia di Pechino.

Liu ha raccontato che un suo collega, dopo essere andato al mercato di Xinfadi, è stato messo in quarantena: «Il suo complesso è stato bloccato. Ha fatto il test e ora è isolato a casa. C’è una telecamera di sorveglianza fuori da casa sua per impedirgli di uscire. La telecamera è stata appena installata». Liu ha inoltre specificato che le telecamere vengono installate anche negli alberghi, quando designati come siti di quarantena.

Guardando al tempo trascorso tra Wuhan e Pechino negli ultimi sei mesi, Liu ha avuto la sensazione di non essere mai sfuggito all’ombra della pandemia: «Un esperienza che non dimenticherò mai».

 

Articolo in inglese: Chinese Citizen Calls Wuhan and Beijing a ‘Battlefield’ Amid the Pandemic

 
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