Domare il Drago Rosso con la guerra commerciale

Peter Zhang è uno specialista di economia politica in Cina e nell’Asia orientale. Si è laureato presso l’Università di studi internazionali di Pechino, La Fletcher School of Law and Diplomacy, e la Harvard Kennedy School.

 

Nel bel mezzo della guerra commerciale con Pechino, Washington sta comprensibilmente ricorrendo a tutti i mezzi di cui dispone per risolvere i pesanti squilibri attuali. Questa guerra commerciale riguarda principalmente il deficit commerciale degli Stati Uniti d’America nei confronti della Cina, che, secondo l’Ufficio del censimento Usa, nel 2018 ha superato i 152 miliardi di dollari.

Ma non basta: il rappresentante del Commercio degli Stati Uniti ha scoperto che «i furti della proprietà intellettuale americana [da parte del regime cinese, ndr] stanno causando annualmente perdite comprese tra i 225 e i 600 miliardi di dollari». Negli ultimi anni, infatti, numerose aziende cinesi hanno usato fondi statali per acquistare aziende europee e americane, e acquisire così la tecnologia occidentale, oltre a informazioni sensibili o addirittura segrete.

I dazi imposti dagli Usa nei confronti della Cina hanno dato il via a una nuova fase nella manipolazione della valuta da parte di Pechino, poiché attraverso l’indebolimento dello yuan, la Cina può contrastare con efficacia i dazi di Washington. A un livello più profondo, è lecito sostenere che i decenni di sforzi da parte dell’Occidente per democratizzare il Regno di Mezzo comunista, garantendogli lo stato di Permanent Normal Trade Relation, l’entrata nel Wto e la piena integrazione nel mercato internazionale, si sono rivelati una controproducente perdita di tempo.
Gli squilibri commerciali con la Cina sono solo uno dei sintomi del carattere predatorio del regime cinese. In questa guerra, gli Stati Uniti, mentre incalzano per raggiungere una situazione di libero ed equo commercio con la Cina, devono mettere in campo altre armi.

Conoscere il nemico

Sun Tzu (544-496 a.C.), probabilmente il più celebre stratega militare cinese, ha scritto nell’opera L’Arte della guerra: «Conosci te stesso, conosci il nemico. Mille battaglie, mille vittorie». È imperativo tenere a mente che la Cina, con una popolazione di circa un miliardo e 300 milioni di persone, e il Partito Comunista Cinese, con circa 80 milioni di membri, non sono la stessa cosa. Il Pcc ha importato il comunismo negli anni ’20, e dopo il 1949 è riuscito a imporlo nell’intero Paese.

Gli studiosi generalmente concordano sul fatto che tutte le società chiuse dipendono da tre condizioni cruciali per la propria sopravvivenza: controllo dell’informazione, che include l’ampio uso della disinformazione; uso della violenza (quando necessario); e il far accettare alle masse un’ideologia che favorisca i governanti. Queste tre condizioni si sono rivelate fondamentali per la sopravvivenza del Pcc. Oggi, le persone che vivono nelle società libere considerano impensabile non avere accesso ad alcuni social media, o che internet sia censurato. Ma, sfortunatamente, 600 milioni di utenti cinesi sono costretti a navigare in una controllata e artificiale rete interna, grazie al Grande Firewall cinese.

Il Pcc spende miliardi di dollari per potenziare le proprie tecnologie di sorveglianza, come il riconoscimento facciale e quello vocale, che ha rubato dall’America. Ora Pechino sta incalzando la Apple affinché costruisca il proprio database cloud all’interno della Cina, così da avere accesso diretto alle informazioni degli utenti. Per combattere la guerra commerciale è necessario sfruttare i punti deboli del Pcc, battendosi per la libertà di internet e lo Stato di diritto.

Abbattere il ‘Grande Firewall’

Nel 2016, uno studio dell’Università di Harvard ha scoperto che il Pcc aveva assoldato milioni di persone per formare la cosiddetta Armata dei cinquanta centesimi (termine dispregiativo usato per descrivere i lavoratori a contratto, che pare guadagnino 50 centesimi per ogni post), e pubblicare circa 488 milioni di post sui social media ogni anno. Secondo lo studio, «gran parte dei post contenevano propaganda pro-Cina, e riguardavano la storia rivoluzionaria del Partito comunista o altri simboli del regime».
Ma la disinformazione può essere contrastata, e internet può diventare il luogo dove il regime viene smascherato, grazie a un’attenta esposizione dei fatti.

Secondo uno studio di settore del Centro Berkman su Internet e Società, uno degli argomenti più censurati su internet cinese è i Nove commentari sul Partito Comunista cinese, libro scritto dalla redazione di Epoch Times, che documenta dettagliatamente i crimini e le violazioni dei diritti umani perpetrati dal Pcc negli ultimi novant’anni. Questo testo è talmente eloquente e letale per la legittimità del Pcc, che non è stato neanche denunciato dal Dipartimento della Propaganda del Partito, né dai suoi organi di stampa, per paura delle reazioni dell’opinione pubblica.

In una recente audizione presso il Senato degli Stati Uniti, l’ex funzionario del Dipartimento di Stato Ely Ratner ha proposto: «Il Congresso dovrebbe fornire i mezzi e guidare il Dipartimento della Difesa a sviluppare nuovi sistemi per aggirare il Grande Firewall cinese, facilitando ai cittadini cinesi l’accesso alla rete internet globale». Questa è una proposta strategica, che nel lungo periodo avrebbe diverse implicazioni positive: rendendo disponibili gli strumenti per aggirare il Grande Firewall, i 600 milioni di utenti cinesi potrebbero comunicare con il mondo esterno, la consapevolezza della popolazione aumenterebbe e l’impatto della macchina propagandistica del Pcc verrebbe annullato. Con il passare del tempo, le masse informate diventerebbero potenti promotrici del cambiamento sociale. Inoltre, questo è un modo relativamente economico di generare cambiamenti positivi in Cina, se comparato con i miliardi di dollari spesi nella corsa agli armamenti.

In fin dei conti questo è quello di cui il Pcc ha più paura, perché la libertà di informazione segnerebbe la fine di una società chiusa. Dopo aver ascoltato il discorso di Ratner sulla necessità di abbattere il sistema di firewall cinese, Bao Peng, stretto collaboratore dell’ex premier riformista cinese Zhao Zhiyang, attualmente considerato da Pechino dissidente politico, ha scritto su Twitter: «Concordo pienamente. Comprendere la Cina è quello di cui il popolo cinese ha più bisogno, per questo è necessario smantellare il Grande Firewall e avere libero accesso alla rete internet. Questa è una questione molto significativa e urgente».

Esistono alcuni strumenti gratuiti per aggirare il Firewall in Cina e in altri Paesi. Principalmente, gli utenti cinesi si servono della tecnologia fornita da due società americane: Free Gate e Ultra Surf. Entrambe offrono strumenti digitali gratuiti, recensiti positivamente da New York Times, Washington Post, Forbes, The Wall Street Journal e dai ricercatori di Harvard. Ma le potenzialità di queste due società sono pesantemente limitate dalla mancanza di fondi; gli sviluppatori, ingegneri cinesi altamente qualificati, sono riusciti a fuggire in America dopo essere sopravvissuti al massacro di Piazza Tiananmen o alla persecuzione del Falun Gong da parte di Pechino. E sono determinati, forse più di chiunque altro, ad abbattere il sistema di firewall sviluppato dal regime cinese.

Il Magnitsky Act americano

Il Magnitsky Act Usa del 2016, che consente di sanzionare i singoli individui di altri Paesi per le violazioni dei diritti umani, ha conferito a Washington maggior potere. Non è un segreto che numerosi funzionari del Pcc hanno trasferito i propri beni e le famiglie all’estero, specialmente negli Stati Uniti. È altresì noto che gran parte di questi funzionari sono direttamente o indirettamente coinvolti nelle violazioni dei diritti umani ai danni di cristiani clandestini, di praticanti del Falun Gong, dei tibetani, degli avvocati per i diritti umani e degli intellettuali. Negare a queste persone l’ingresso in America e congelare i loro beni negli Stati Uniti, non sarebbe solamente ragionevole, ma sarebbe anche la cosa giusta da fare, sotto la giurisdizione del Magnitsky Act.

Washington dovrebbe considerare inoltre la possibilità di rendere pubbliche le informazioni sui beni dei funzionari del Pcc negli Stati Uniti, consentendo alla popolazione cinese di sapere dove finiscano effettivamente le tasse pagate. Infatti, le informazioni sui redditi e i beni dei funzionari cinesi, nel loro Paese, sono un segreto di Stato. Da anni, l’Assemblea nazionale del Popolo non riesce a varare un decreto che obblighi i funzionari del regime a rendere note le proprie entrate e i propri beni, nonostante l’indignazione della popolazione.

Divulgare le informazioni sui beni e sullo stato di immigrazione potrebbe inoltre danneggiare pesantemente il Pcc. Se l’amministrazione Trump rendesse pubblici i redditi dei funzionari del Pcc o i passaporti americani di cui usufruiscono, sarebbe un duro colpo al nazionalismo cinese e alla propaganda anti-americana. Infatti il coefficiente di Gini in Cina è ben oltre i 4 punti, cioè un livello critico per l’insorgere di disordini sociali. La trasparenza o il diritto di sapere potrebbero sembrare una cosa semplice, ma possono essere essenziali per il benessere di una società.

Per domare il Drago rosso nella guerra commerciale bisogna ancora una volta affidarsi alla saggezza di Sun Tzu: «L’arte suprema della guerra è quella di sottomettere il nemico senza combattere». Forse una strategia efficace potrebbe consistere nel prendere di mira il punto debole del Pcc: la paura derivata da un lato dall’esistenza di una rete internet senza censura, dall’altro dalle giuste sanzioni per le continue violazioni dei diritti umani, grazie al Magnitsky Act. In fin dei conti, non si tratta di una semplice scaramuccia commerciale con il Pcc, ma piuttosto di una guerra, per porre fine alla costante minaccia che esso rappresenta per l’umanità.

 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

Articolo in inglese: Taming the Red Dragon in the Trade War

 
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