Autorità di Dubai si piegano alla pressione cinese. Ragazzo di 19 anni a rischio deportazione

Di Eva Fu

Un giovane dissidente cinese ricercato dal Partito Comunista Cinese sta cercando aiuto dopo essere stato tenuto in isolamento per un mese negli Emirati Arabi Uniti: il rischio è che venga deportato in Cina e torturato.

Il suo nome è Wang Jingyu, ha diciannove anni e proviene dalla megalopoli cinese di Chongqing. Il 6 aprile la polizia di Dubai lo ha arrestato mentre effettuava uno scalo aereo alla volta di New York. Wang, che sostiene di non aver fatto nulla di male, è in custodia da allora e i suoi contatti con il mondo esterno sono pesantemente limitati.

«Questo è legato al 100 per cento al Partito Comunista Cinese (Pcc)», ha dichiarato il giovane in un’intervista con Epoch Times del 20 maggio, la prima volta che ha parlato con la stampa dall’inizio della sua detenzione.

I recenti guai con il Pcc sono iniziati a febbraio, quando Wang ha contestato il resoconto delle autorità comuniste sul sanguinoso scontro di confine tra Cina e India.

La colluttazione mortale del giugno 2020 ha visto soldati cinesi e indiani attaccarsi a vicenda con spranghe di ferro e pietre. L’India ha riportato 20 morti dalla sua parte, mentre la Cina ha riconosciuto quattro vittime, ma solo con otto mesi di ritardo, mentre i resoconti non confermati parlano di un massimo di 45 vittime.

«Perché avete annunciato il numero di morti così tardi? Cosa diavolo state nascondendo?», ha scritto Wang il 21 febbraio sul social media cinese Weibo, due giorni dopo che Pechino aveva rotto il silenzio sulle morti.

Questo e altri due suoi post hanno alla fine attirato l’attenzione della polizia locale. E il giovane Wang è diventato una delle sette persone che la polizia cinese ha accusato di aver diffamato «eroi e martiri», con il resoconto della polizia sul suo caso che è stato pubblicato dalla stampa cinese. Presto il ragazzo ha scoperto che le informazioni del suo passaporto, il suo indirizzo in Cina e altri dettagli personali erano stati pubblicati sul social media Weibo.

Poiché Wang non era in Cina in quel momento, la polizia cinese ha trattenuto i suoi genitori e gli ha intimato di registrare un video di confessione, richiesta che il ragazzo ha rifiutato di soddisfare.

In effetti Wang aveva lasciato la Cina alla volta di Istanbul già nel luglio del 2019, poco dopo aver pubblicato un video su TikTok in sostegno dei manifestanti di Hong Kong. Nonostante avesse un numero di telefono locale, ha ricevuto una raffica di messaggi di testo da sconosciuti che cercavano intimidirlo. Ha anche raccontato che persone sconosciute, secondo lui agenti statali cinesi, hanno chiamato il suo hotel per rivolgergli minacce personali.

«Come facevano a sapere dove vivevo?», si è domandato. Temendo per la sua sicurezza, ha quindi prenotato un volo per New York.

Il 6 aprile, dopo essere arrivato a Dubai, due uomini in borghese che si sono identificati come agenti del dipartimento di informazione criminale di Dubai lo hanno fermato durante lo scalo aereo e lo hanno trattenuto nell’ufficio immigrazione vicino all’aeroporto.

Gli hanno confiscato il passaporto, il telefono e il bagaglio, e lo hanno trattenuto lì per circa 48 ore, dandogli solo dell’acqua. In seguito è stato trasferito in una prigione più grande.

Fino a quel momento, Wang non aveva idea del motivo del suo arresto.

All’ufficio immigrazione, gli era stato detto e ripetuto solamente «aspetta, aspetta, aspetta», ha raccontato. In seguito gli agenti hanno comunicato al suo avvocato che aveva insultato la loro religione e cultura. Più tardi hanno invece sostenuto che aveva messo in pericolo la sicurezza nazionale, una terminologia che ricorda una delle accuse sovente usate dal regime cinese contro i dissidenti.

Il 19 aprile, il tribunale gli ha concesso la libertà su cauzione, ma la polizia di Dubai si è rifiutata di rilasciarlo, citando una richiesta di rimpatrio presentata dalle autorità di immigrazione.

Secondo Wang, è probabile che Pechino abbia fatto pressione sulle autorità di Dubai attraverso le relazioni diplomatiche.

Degli impiegati dell’ambasciata cinese a Dubai lo hanno incontrato almeno tre volte nel tentativo di fargli firmare un documento che acconsentisse al suo rimpatrio in Cina. «Hanno detto che non mi succederà nulla se torno in Cina, e che è meglio che torni indietro perché qui non posso andare da nessuna parte. Non ho firmato», ha raccontato il ragazzo.

Wang Jingyu. (Foto fornita a The Epoch Times)

Circa due settimane fa, il tribunale ha archiviato il suo caso per mancanza di prove, ma le discussioni sul possibile rimpatrio sono continuate.

All’inizio di giovedì, la polizia di Dubai gli ha anche chiesto due volte di firmare un documento in arabo, ma anche in questo caso Wang ha rifiutato, affermando che non poteva capire cosa ci fosse scritto. «Non ho fatto nulla che abbia violato la legge in questo Paese», ha aggiunto durante la recente intervista con Epoch Times.

In prigione, Wang ha ricevuto solo un pasto al giorno a causa dell’osservanza del Ramadan che è terminata il 12 maggio. I suoi compagni di cella erano spesso coinvolti in risse. E il giovane ha anche fatto notare l’assenza delle misure più basilari per prevenire la diffusione del Covid-19, compreso l’uso della mascherina.

A Chongching, la polizia cinese ha fatto irruzione nella casa dei suoi genitori a febbraio e li ha brevemente arrestati entrambi, nel tentativo di farlo tornare in Cina e di fargli rilasciare una confessione pubblica in video. Come se non bastasse, i due sono stati licenziati dai loro posti di lavoro in aziende statali.

Il ragazzo ha inoltre affermato che non riesce a contattare i suoi genitori da mesi.

Ad ogni modo, Wang ha sottolineato: «Non ho rimpianti per tutto quello che ho fatto in passato, perché penso che quello che ho fatto era giusto».

«Questo è un partito malvagio, alla fine cadrà», ha dichiarato riferendosi al Pcc. «Attraverso quello che mi è successo, voglio dire al mondo intero di unirsi e abbatterlo». Non è riuscito però a finire la frase perché la telefonata è stata interrotta.

La polizia di Dubai non ha risposto alle domande sul caso di Wang.

 

Articolo in inglese: 19-Year-Old Chinese Dissident Held in Dubai Fears Deportation Back to China

 
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