Referendum contro la ‘Buona scuola’: la parola ai promotori

Nonostante il sole che scalda e il mare che ondeggia, molti insegnanti e genitori non pensano a godersi la tintarella: da quando si è iniziato a parlare dell’attuale riforma della scuola, fino a dopo la sua approvazione, le proteste non sono mai terminate.

Non si è mai vista una riforma scolastica passare con gli applausi, ma quella di Renzi è stata particolarmente criticata da insegnanti e genitori. L’attuale riforma porta effettivamente a dei cambiamenti netti e di grande portata nella scuola, a partire dai grandi poteri concessi al preside, fino al lavoro gratuito obbligatorio per gli studenti, incluse alcune richieste educative su ‘piani delicati’ che trovano contrari molti genitori e insegnanti. E infatti, a preoccupare maggiormente i genitori è la possibilità nelle scuole possa prendere piede la cosiddetta ‘ideologia gender’.

Da tutto questo nasce la raccolta delle firme per tenere un referendum abrogativo dell’intera legge. Le firme possono essere date nei comuni di tutta Italia e l’iniziativa è stata organizzata dal Comitato Nazionale Leadership alla Scuola, formato prevalentemente da insegnanti.

Epoch Times ha intervistato Anna Russo, docente di sostegno laureata in scienze pedagogiche, che insegna nella scuola primaria da diversi anni. In rappresentanza del comitato promotore del referendum contro la cosiddetta legge della ‘Buona scuola’, la professoressa Russo spiega come funziona e quali sono le ragioni per cui questa riforma andrebbe cancellata.

Professoressa Russo, ci spieghi come funziona la raccolta firme. Come, quando e dove si può firmare?

«Possono sottoscrivere il quesito referendario tutti i cittadini maggiorenni, che si possono recare al Comune dove trovano il materiale. Un’altra modalità è quella dei tavoli di raccolta, che sta funzionando abbastanza bene in parecchi territori. Il quesito depositato in Cassazione è questo: ‘Volete voi che sia abrogata la legge del 13/7/2015 n° 107 Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti?

«Per ottenere il referendum che poi si dovrebbe tenere tra il 15 aprile e il 15 giugno (2016, ndr), servono 500 mila firme, da raccogliere entro il 30 settembre».

È possibile firmare in qualsiasi comune?

«Sono coperti quasi tutti i comuni italiani. Noi abbiamo spedito un’e-mail a tutti i comuni italiani. C’è solo una piccola, esigua, parte che sta cominciando in questi giorni ad attivare la raccolta».

Quali sono le critiche principali che muovete alla legge?

«Il Comitato vuole l’abrogazione totale della legge. In realtà i temi più discussi – non quelli peggiori, perché non riusciamo a fare una graduatoria tra i commi che ci sono – sono quelli che riguardano i maggiori poteri affidati al dirigente scolastico che si fa deus ex machina della scuola, che in questo modo diventa un’azienda e non più una comunità all’interno della quale si discute, una comunità quindi di dialogo che ha funzionato in tutti questi anni.

«Oltre a questo, un altro punto negativo, secondo noi, della legge è quello che riguarda la teoria gender. Uno dei temi più discussi non solo da parte dei docenti, ma anche da parte dei genitori, che stanno prendendo una posizione molto ben fondata nei confronti di questo comma 16. È un comma che ha purtroppo avuto un’esplosione di giudizi negativi da parte del mondo dei genitori, che assolutamente non vogliono che si strumentalizzino i bambini fin dall’età di due anni e mezzo, in quanto il comma prevede che ci sia ‘educazione di genere’ fino a partire dalla scuola dell’infanzia.

«Il comma è composto da una serie di rimandi legislativi che rendono di fatto concreto il riferimento alla Convenzione di Istanbul dove si dà una visione molto parziale del ‘genere’, prescindendo ovviamente dal dato biologico e quindi facendo dell’educazione di genere un qualcosa di unicamente affidato alla cultura».

Però nel comma 16 si parla soltanto di discriminazione di genere…

«Tutti d’accordo, ovviamente, sulla salvaguardia e la tutela delle diversità. Ma non è in nome della diversità che bisogna prescindere da essa. Si educa alla diversità per poterla rispettare. È questo il nodo centrale su cui noi abbiamo delle perplessità e riteniamo che questo comma sia molto ambiguo».

Quando si parla di discriminazione di genere non si intende nel senso di ‘uomo-donna’? Il genere è maschile o femminile.

«Questa discriminazione così intesa è di tipo biologico. Invece purtroppo da questa distinzione si prescinde, e – se si vede la convenzione di Istanbul, perché la 119 è in pratica una legge che va a mettere in atto le indicazioni che sono state date dalla Convenzione di Istanbul – c’è questo riferimento alla teoria di genere da cui poi viene estrapolato questo comma 16. Perché è lì che troviamo il riferimento sulla definizione di ‘genere’ che crea un’ambiguità , in quanto si dà una definizione di ‘genere’ molto parziale, che prescinde dal dato biologico».

Effettivamente sul sito del Senato si dice che il decreto legge 93 è diretto anche ad attuare la Convenzione di Istanbul. Cosa dice questa convenzione?

«È una convenzione nata per il rispetto e la salvaguardia del genere femminile, per la tutela della donna e per il rispetto delle pari opportunità. Ma purtroppo l’errore è qui: non è in nome della salvaguardia del genere femminile che si può operare una distruzione della differenza tra uomo e donna. Anzi, è proprio attraverso il riconoscimento della diversità che si può valorizzare la diversità. Qui siamo tutti pro-diversità. Io sono docente di sostegno da 15 anni e ho un fratello portatore di handicap, quindi studio questo tipo di materia da quando avevo 13 o 14 anni, per un interesse oltre che professionale anche personale. Non si può conoscere la diversità se si prescinde da essa. Non si può farlo. La vera valorizzazione della diversità si fa nel momento in cui si accetta che c’è una diversità. Qui c’è una pretesa di tendere a una normalizzazione di tutte le scelte sessuali. Tra l’altro è una sfera che era stata affidata alla gestione dei genitori. Dev’essere libertà del singolo genitore poter decidere come orientare i propri figli. Questo lo dico anche in qualità di mamma.

«Il comma 16 è un comma molto sintetico che rimanda alle leggi come una scatola cinese. È ambiguo per un semplice cittadino. Il legislatore avrebbe dovuto scrivere a chiare lettere qual era il fine o quantomeno spiegare meglio».

Come mai avete organizzato la cosa in questo periodo, ad agosto?

«In realtà noi prepariamo il referendum da mesi. Abbiamo fatto notare attraverso scioperi il nostro dissenso, non solo in quanto educatori ma anche in quanto genitori, e abbiamo inviato 30 mila lettere al presidente della Repubblica proprio per avvisarlo della nostra iniziativa.

«Ci siamo resi subito conto che il Governo purtroppo non ascoltava minimamente la nostra voce di dissenso circa il ddl che poi in effetti è diventato legge. Quindi abbiamo in tempo utile preparato la cosa con un gruppo di tecnici e abbiamo poi attivato la raccolta quando era possibile, ovvero quando il ddl è diventato legge. Il tempo di raccolta si sta rivelando funzionale, a dire la verità. Non stiamo riscontrando grossi ostacoli, se non quelli volontari di ostruzionismo, che ci sarebbero stati anche in un altro periodo».

A cosa si riferisce?

«Ci sono delle campagne di ostruzionismo per esempio sui nostri social, sulle pagine Facebook, sulle reti Whatsapp che sono invase da persone che portano messaggi infondati, che calunniano i membri del comitato. Noi siamo un comunitato di base. Io parlo personalmente in qualità di docente professionalmente affermata che fa parte di questo comitato e che non ha nessun fine ‘traverso’, se non quello di salvaguardare la scuola pubblica e chi opera sul campo costantemente da più anni, e che si rende conto che la legge è purtroppo nefasta. Ci sono tanti punti che non condividiamo e che produrrebbero degli effetti nefasti sull’andamento della scuola pubblica».

Vi hanno contattato dei giornali tra quelli più noti, come Repubblica, Corriere…?

«Il Corriere della Sera web, a cui abbiamo lasciato una dichiarazione. Ma non ha pubblicato nulla sul nostro comitato. Poi ci sono dei giornali locali web che hanno invece mandato in diretta le nostre dichiarazioni. Però la stampa ufficiale è quasi totalmente assente. Non si stanno interessando assolutamente della nostra iniziativa referendaria. Tacciono».

Perché?

«Mi sono fatta un’idea. Noi siamo un comitato di base, quindi non abbiamo delle forti competenze nel settore giornalistico. Forse – suppongo, questa è una mia idea – il finanziamento pubblico alle grandi testate vincola in un certo senso qualcuno a interessarsi della nostra iniziativa. Ma questa è una supposizione, non ho certezza di questa cosa. Certo è che questo è un altro tipo di ostruzionismo a cui siamo soggetti. In realtà il referendum però è una pratica popolare, quindi non dovrebbe essere ostacolata tacendo».

Com’è nato il vostro comitato?

«Per lo più nelle piazze, quando ci siamo incontrati a manifestare, a fare sciopero, nelle piazze a Roma. Perché vedevamo che alle nostre proteste purtroppo non veniva data nessuna risposta. Nessun parlamentare è sceso in piazza, se non sporadicamente a dir la verità qualche parlamentare dei 5 Stelle… Sono scesi dei parlamentari 5 Stelle ad ascoltarci. Oltre loro nessuno, quasi nessuno.

«Le varie forze parlamentari, che in un primo momento avevano fatto capire al popolo che protestava in piazza, il 5 maggio, con dichiarazioni eclatanti, che ci avrebbero sostenuto, poi in ultima battuta hanno comunque dato la fiducia al Governo perché il ddl diventasse legge. I 5 Stelle, fino alla fine, anche negli ultimi giorni in cui si dava la fiducia alla legge, devo dire la verità, si sono fatti sentire e sono stati con noi abbastanza presenti in piazza. Però oltre a questo basta: nessun aiuto concreto al comitato. Nonostante umilmente abbiamo veramente chiesto aiuto a tutti: abbiamo inviato milioni di lettere ai sindacati, alle parti politiche, alle associazioni dei genitori, alle associazioni studentesche. Ma purtroppo nessuno ha ancora preso posizione».

Ipotizziamo che il referendum non raggiunga il suo scopo e la legge rimanga. Di fronte a quale scenario ci ritroveremmo nella scuola?

«Intanto il ministro dell’Istruzione ha comunque chiarito che ci sarà un patto di corresponsabilità che i genitori dovranno firmare in merito. Perché non si può delegare la scuola e tagliare fuori i genitori. I genitori hanno il diritto di intervenire in questa cosa, quindi ha dovuto rimediare chiamando i genitori a sottoscrivere un patto di responsabilità, anche su questa cosa. Stanno cominciando a rendersi conto che non è un aspetto che può affrontare la scuola da sola. Bisogna chiedere ai genitori se alla scuola è permesso fare questa cosa.

«Poi le deleghe bianche sono un altro punto critico di questa legge. Il Governo attraverso le deleghe bianche si è arrogato la possibilità di decidere in materia di formazione e di istruzione qualsiasi cosa senza confrontarsi con nessuno.

«Il fatto che tanti insegnanti abbiano fatto uno sciopero perdendo 80 euro dallo stipendio il 5 maggio non è stato considerato. Quando un popolo si fa sentire, il Governo, in uno Stato di democrazia, dovrebbe farsi delle domande. Ma non ci hanno ascoltato, e ancora non ascoltano nessuno. Anzi: vanno dritti per la loro strada».

Ho sentito dire che già adesso in alcune scuole ci sono corsi di educazione sessuale un po’ ‘spinti’.

«Ci sono sperimentazioni in atto a dire la verità, che hanno avuto esiti molto negativi. Non è una cosa che conosco in prima persona, ma ne ho sentito parlare. È impensabile sottoporre dei bambini a un’educazione di quel tipo».

Tornando alle critiche sul resto della riforma, non pensa che la questione dei poteri al preside sia un po’ una questione ideologica? Avere un preside forte può avere i suoi pro e i suoi contro.

«Il preside è da solo a dover decidere della scelta dei docenti. Non deve più confrontarsi con il Collegio dei Docenti, nella gestione della scuola. Il fatto che un preside sia solo al comando, lo rende più vulnerabile a tentativi di corruzione.

«Nelle zone più a rischio di corruzione, che sono le regioni poi investite anche dai piani strutturali dei fondi europei, sicuramente si rende un soggetto più attaccabile da questo tipo di eventuali iniziative. Noi in quanto docenti soprattutto del Sud temiamo molto questa possibilità, perché non è più un’istituzione a dover scegliere i docenti ma è il dirigente, che nell’ambito della sua maggiore autonomia può decidere di scegliere un docente anziché un altro.

«E lo dico nell’interesse stesso del dirigente scolastico: io se avessi quel ruolo avrei paura, proprio per questo motivo».

Intervista rivista per brevità e chiarezza.

 
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