David Kilgour e la sua lotta al traffico internazionale di organi

È un giorno di gennaio, nel pieno dell’estate australiana, quando, in un caffè di Melbourne, incontriamo l’attivista dei diritti umani David Kilgour.

Nonostante l’elevata posizione, Kilgour si dimostra un uomo modesto, con un ampio sorriso e un cuore generoso; un uomo a cui non è mai mancato il coraggio di esprimere le proprie idee e lottare per i più deboli, anche a costo di notevoli sacrifici e rischi personali.

Questo distinto e cordiale avvocato settantacinquenne canadese, infatti, nel corso della sua lunga carriera è stato procuratore della Corona (magistrato penale con giurisdizione federale), deputato in Parlamento, ministro degli Esteri e membro del Gabinetto del Primo Ministro canadese.

Inoltre – insieme all’avvocato David Matas – David Kilgour è stato candidato al premio Nobel per la Pace nel 2010.

Seduti davanti a una bibita, parliamo della sua vita, delle sue battaglie a favore dei meno fortunati e del suo impegno nel combattere la persecuzione contro il Falun Gong in Cina.

L’indagine investigativa condotta insieme a Matas (nota come ‘Kilgour-Matas Report’), ha avuto infatti il grande merito di aver dimostrato e divulgato, al mondo intero, come l’apparato di pubblica sicurezza e le forze armate comandate dal Partito Comunista Cinese abbiano eseguito – nel solo periodo 2000-2005 – circa 41.500 prelievi forzati di organi (sulla base di questa preziosissima indagine, il successivo lavoro di investigazione del giornalista indipendente Ethan Gutmann, nel 2014 ha stimato in quasi 100 mila il numero delle vittime di prelievo forzato di organi in Cina).

Parliamo un po’ di lei, delle sue origini. Come è diventato David Kilgour, avvocato per i diritti umani? 

Sono sempre stato interessato alla dignità umana. Quando ero poco più che ventenne e operaio/insegnante (per il Frontier College), lavoravo sugli scambi dei binari ferroviari nel Canada rurale, e c’era anche un gruppo di circa 30 nuovi cittadini canadesi provenienti dal Portogallo. Un sabato, il capo disse che dovevamo lavorare di domenica, così nessuno avrebbe potuto prendersi il giorno libero. Protestai, sostenendo che non era giusto e finii con il perdere il lavoro.

A essere onesto, vengo da un ambiente privilegiato, perciò ho sempre sentito che dovevo fare qualcosa per le persone meno fortunate. Credo che questo, assieme alla mia fede cristiana, sia sempre stata la mia motivazione.

Cosa intende con ‘privilegiato’? Può raccontarci qualcosa della sua famiglia?

Mio padre era il direttore generale della Great West Life Assurance, una delle più grandi compagnie assicurative in Canada. Lui e mia madre erano dei cristiani coraggiosi e dai principi ben radicati, che insistevano sempre affinché i loro figli aiutassero gli altri.

Mia madre diceva sempre che ci sono due tipi di persone al mondo: quelli che vengono coinvolti in pieno nel fare cose e quelli che se la svignano quando le cose si fanno difficili. Ha sempre insistito: «Sii sempre uno che si fa coinvolgere»; quindi ho acquisito questo mio atteggiamento quando ero molto giovane e ho sempre cercato di rimanervi fedele.

Può parlarci della sua esperienza nel Parlamento canadese?

Bè, mia madre e mio padre erano liberali e mia sorella è liberale (ha sposato John Turner, ex Primo ministro liberale). Cresciuto nella regione delle Praterie canadesi, ho sviluppato una grande ammirazione per John Diefenbaker, che difendeva i diritti umani per poi diventare Primo ministro conservatore negli anni cinquanta. In breve, all’università ero diventato conservatore, con grave disappunto di mia sorella. E anche i miei genitori non ne erano felici.

E alla fine sono eletto al Parlamento otto volte in ventisette anni: quattro con i conservatori e quattro con i liberali.

Quindi ha cambiato partito…

Non proprio. Sono stato espulso dal partito Conservatore dal Primo Ministro Brian Mulroney nel 1990, per aver votato contro una tassa nazionale sulle vendite. I miei elettori, a Edmonton, erano forti oppositori di questa tassa; e anche io, avendo lavorato come avvocato fiscalista per un breve periodo, ritenevo che [imporre quella tassa, ndr] fosse una pazzia. Così mi hanno espulso dal partito Conservatore, ma per me è stata una grande fortuna, perché nelle elezioni di due o tre anni dopo, i conservatori passarono da 168 seggi a 2 e io sono stato eletto con i liberali nello stesso distretto quattro volte.

Parlando delle sue campagne, la più importante è sicuramente quella per fermare la persecuzione e il prelievo forzato degli organi ai danni dei praticanti del Falun Gong in Cina. Come è iniziato il suo coinvolgimento in questa atroce persecuzione?

Avevo incontrato i praticanti del Falun Gong molte volte dopo l’inizio della persecuzione nel 1999, e ne ero rimasto completamente sconvolto. Essendo ministro nella coalizione di Jean Chretien nel 1997, avevo fatto molti viaggi in Cina per promuovere il commercio, e mi sentivo colpevole di non aver sollevato con maggiore convinzione la questione del prelievo forzato e del traffico di organi.

Quando poi, nel 2006, non mi candidai alle elezioni, ricevetti una telefonata dalla Coalizione internazionale di indagine sulla persecuzione del Falun Gong. Mi chiesero se ero disposto a condurre un’inchiesta indipendente con l’obiettivo di verificare se le accuse [contro il Partito Comunista Cinese, ndr] fossero vere. David Matas e io accettammo il caso.

Qual era il ruolo di David Matas all’epoca?

Era un avvocato specializzato in diritti umani, immigrazione e rifugiati, con oltre trent’anni di esperienza, quindi ampiamente qualificato. Abbiamo lavorato insieme, e non siamo mai stati in disaccordo su nessuna politica riguardante il lavoro sugli orrori perpetrati al Falun Gong.

Può raccontarci di come l’inchiesta si è sviluppata?

Sapevamo che dovevamo essere assolutamente indipendenti, quindi la prima cosa che abbiamo fatto è stata andare a Washington. Abbiamo tentato di ottenere dei visti per andare in Cina: avevo telefonato all’ambasciata e un uomo aveva risposto che ci saremmo visti per parlarne. Ci siamo incontrati in un caffè, ma dal primo istante, mi è stato chiaro che l’uomo non era lì per parlare dei visti ma per criticare il Falun Gong, così me ne sono subito andato.

Nel chiedere il visto, aveva specificato che era per indagare sulla persecuzione del Falun Gong?

Quell’uomo mi ha detto: «Non devi parlare con me dei visti: vai parlare con l’ufficio Visti»; a quel punto ho capito che era soltanto una presa in giro e me ne sono andato.

Ma è stato un bene non aver ottenuto il visto, perché un membro del Parlamento europeo dell’epoca, Edward McMillan-Scott, era stato in Cina e aveva parlato con alcuni praticanti [del Falun Gong, ndr]. Una delle persone con cui aveva parlato, a un certo punto è scomparsa, e non se ne è più saputo nulla; McMillan-Scott teme che quell’uomo sia stato ucciso. Questo sarebbe potuto accadere nuovamente se fossimo entrati in Cina a parlare con le persone; chissà cosa sarebbe potuto succedere loro! Quindi era stata un’ottima cosa non essere andati in Cina.

Siamo riusciti a individuare trentadue tipi di prove che dimostrano cosa stia davvero accadendo. Non abbiamo uno ‘scalpo fumante’, come ho già detto in passato, ma disponiamo di un’enorme quantità di altre prove incontrovertibili. Penso che nessuno ormai possa seriamente contestare le prove che abbiamo raccolto. C’è  ancora chi dice di avere dei dubbi sul nostro caso, ma il perché è chiaro: se accettassero le nostre conclusioni, sarebbero costrette ad agire a livello politico. Nessuna persona seria che abbia letto i nostri libri può dubitare delle nostre conclusioni.

Mi dispiace, infatti, dover dire che l’ultima volta che sono stato al ministero degli Esteri a Canberra, uno dei funzionari cinesi di maggiore esperienza sosteneva di avere dei dubbi sull’affidabilità della nostra inchiesta: era sicuramente un modo di evitare di avere a che fare con i terribili fatti che si stanno verificando.

Tornando all’indagine, la prima cosa che ho fatto, è stata recarmi a Washington per intervistare ‘Annie’, ex moglie di un ex chirurgo che – tra il 2001 e il 2003 – ha rimosso 2 mila cornee dagli occhi dei praticanti del Falun Gong nella città cinese di Sujiatun. Abbiamo un capitolo intero su Suijatun, consultabile sia nella relazione che sul mio sito internet [www.david-kilgour.com, ndr].

Essendo stato un procuratore della Pubblica Accusa [l’equivalente del Pubblico Ministero nel sistema giudiziario italiano, ndr] per dieci anni, credo di capirne qualcosa di testimoni; e infatti capivo che Annie stava cercando onestamente di dire la verità, anche se da allora viene contestata in quanto testimone.

Il consolato americano a Shanghai ha mandato un gruppo di ispettori all’ospedale di Sujiatun – penso tre settimane dopo – ma senza trovare alcuna prova di quello che Annie aveva dichiarato. Cosa ci si poteva aspettare trovare dopo tre settimane? Così ho giudicato credibili le sue dichiarazioni. Ma anche se non si crede alla testimonianza di Annie, ci sono trentuno altri tipi di prove.

E, a un certo punto, quando si hanno trentuno tipi di prove, molte persone, dopo la quinta, sesta o settima dicono: «Sì, sta accadendo davvero». Ci credono. Potrebbero non volerci credere; noi stessi non volevamo crederci, ma a un certo punto ci siamo convinti che [l’espianto forzato e il traffico di organi, ndr] si sta realmente verificando. Nella nostra prima relazione, abbiamo definito l’espianto forzato/traffico di organi come ‘un nuovo crimine contro l’umanità’. Sta succedendo, e bisogna fermarlo. Abbiamo prodotto anche un’altra relazione rivista, poi abbiamo scritto un libro, Bloody Harvest: abbiamo continuato a trovare sempre nuove prove durante gli ultimi 10 anni.

E come avete fatto a condurre le indagini in Cina?

Diciamo che agli esterni di solito non è permesso. Nessuno di noi parla cinese, quindi abbiamo assunto delle persone per telefonare in Cina. Abbiamo registrato le risposte di numerosi enti, ospedali, centri di detenzione eccetera. Sapevamo che dovevamo avere un interprete indipendente, che ascoltasse le registrazioni e ne fornisse traduzione professionale [l’equivalente della traduzione giurata, ndr], affermando “questo è ciò che dice la trascrizione”. Quindi, le trascrizioni contenute nella relazione sono state verificate da un interprete indipendente, tutto il contenuto delle registrazioni è stato correttamente tradotto e così via.

Può parlarci dei diversi tipi di prova?

Quella che ha colpito molte persone ed è stata persuasiva, è che in quindici istituti i nostri investigatori hanno parlato con dottori e personale medico che ha dichiarato: «Si, abbiamo degli organi»; poi alla domanda: «Sono organi di praticanti del Falun Gong?» molti di loro hanno risposto:  «sì, abbiamo organi di praticanti del Falun Gong provenienti da espianto forzato e traffico». Molte persone ‘neutrali’ ci hanno detto che è stato questo a convincerle.

Abbiamo anche parlato con persone che effettivamente sono uscite da questi campi. Una di loro era la giovane moglie di un diplomatico cinese a Parigi, che era  ed è una praticante. Quando la persecuzione è iniziata nell’aprile 1999, si è presentata all’ambasciata a dire: «Smettete di fare questo al Falun Gong, il Falun Gong è buono: i praticanti sono non-violenti, sono onesti».
L’ambasciata l’ha rispedita in Cina, mentre suo marito è rimasto a Parigi; è stata sbattuta in prigione penso quattro volte, e da allora non ha smesso di descrivere le torture, gli abusi e le tutte cose terribili che ha subito.

Ora abita a New York e lavora per The Epoch Times. Pensa di aver rischiato di essere uccisa e di vedersi espiantati organi, ma per sua fortuna alla fine ha rivelato il suo nome. Una delle cose che molti praticanti non dicono, infatti, è il loro nome, al fine di tutelare famiglia e colleghi; ma se non riveli il tuo nome, ti danno un numero, proprio come i nazisti con gli ebrei e le altre loro vittime. Alla fine quindi ha detto: «Il mio nome è tal dei tali» ed è stata rilasciata. Cosa incredibile, le hanno persino rilasciato il passaporto, così è stata libera di andarsene e ritornare a Parigi, dove ha vissuto per alcuni anni. Ora è negli Stati Uniti.

Quello che nelle prove mi ha colpito particolarmente, e può non aver colpito qualcun’altro, è stato che le sole persone che venivano visitate in questi campi di lavoro forzato erano i praticanti del Falun Gong. Ogni tre o quattro mesi venivano visitati, e non per controllarne lo stato di salute, naturalmente: venivano torturati quindi perché visitarli? I medici visitavano i loro occhi, facevano delle ecografie e altri esami simili che, ora, sappiamo avevano lo scopo di determinare la qualità dei loro organi. Alla fine, questo tipo di prove ha reso il caso incontestabile.

Pensa che ci siano stati progressi nelle azioni dei governi occidentali a riguardo?

Non abbastanza progressi, ma i governi di Israele e Taiwan stanno mostrando una vera leadership; in Israele, prima che la legge cambiasse nel 2009, le compagnie assicurative pagavano i pazienti affinché andassero in Cina: pagavano il trasporto, gli organi e li riportavano indietro con un nuovo rene o un fegato. Un giorno, al chirurgo dei trapianti dottor Jay Lavee, è stato confidato da uno dei suoi pazienti che stava per subire un trapianto di cuore: “Lo avrò tra due settimane da ora”. Il dottor Lavee improvvisamente ha realizzato che qualcuno sarebbe stato ucciso due settimane dopo. A suo enorme merito, è poi riuscito ad avere l’appoggio dei chirurghi e anche del Parlamento: la nuova legge proibisce ai cittadini israeliani di recarsi ovunque per comprare un organo derivante da traffico illecito.

Il successivo a muoversi è stato il legislatore di Taiwan: un anno fa, è stata approvata una legge bipartisan molto simile.

La Spagna ha fatto qualche passo in avanti. Qui in Australia, il Parlamento del New South Wales sta facendo qualcosa dal punto di vista della sanità. Spero di vedere presto i parlamentari di Canberra e i senatori muoversi a livello internazionale e sul piano penale. Nessun canadese, australiano, italiano, nessuna persona di coscienza dovrebbe comprare un organo all’estero.

Molti di noi sono piuttosto ottimisti nei confronti del Parlamento europeo, e un buon numero di parlamenti, tra cui Scozia, Galles e Irlanda, stanno considerando di porre in essere delle misure.

In breve, speriamo che il 2016 sia l’anno decisivo in cui molti Paesi agiranno. Si spera che il governo cinese si accorga che le prove sono talmente di pubblico dominio e così ampiamente conosciute che – almeno per la propria reputazione – ora bisogna fermarsi.

Come sappiamo, in Cina esiste una forte censura e, anche se le cose stanno migliorando, questo non aiuta il popolo cinese a conoscere la verità sulla situazione…

Questo è il motivo per cui la verità non basta: occorre agire sulla verità. Il governo cinese deve agire sulla verità. Jiang Zemin ora è fuori di scena; non c’è motivo per cui Xi Jinping, che non ha legami con tutto questo, non dica: “Guarda, abbiamo tutte queste migliaia di cittadini che hanno avviato azioni contro Jiang Zemin; facciamo procedere queste azioni oppure…”. Sono abbastanza sicuro che stiano aspettando che Zemin muoia. Ma se vivesse per altri dieci anni?

Da qui, qual è il prossimo passo?

Si tratta di fare in modo che i membri delle Ong, la Dafoh (Doctors Against Organ Harvesting, Dottori contro il prelievo forzato di organi), che al riguardo ha fatto un lavoro eccellente, e tutti i medici e le altre persone di coscienza guardino con attenzione ai numeri dei trapianti in Cina oggi. Se l’opinione pubblica mondiale viene informata, penso che sarà più incline ad appoggiare delle serie misure contro il protrarsi di questo crimine contro l’Umanità perpetrato dal partito di Stato in Cina.

Cosa succederà nel 2016?

Penso che abbastanza gente di coscienza e informata nel mondo realizzerà che questo è un crimine continuato contro l’Umanità, che persone, di ogni età, origine e occupazione diranno: ‘Tutto questo deve finire ora!”.

E quando vedranno qualcuno del governo cinese a un evento chiederanno: “Come potete uccidere il vostro popolo per i propri organi? Quale tipo di civiltà permette una cosa del genere?”. Se la pressione pubblica da parte della gente, dei giornalisti, dei legislatori e delle persone di coscienza nel mondo è abbastanza forte, penso che smetteranno quest’anno.

Perché pensa che i governi siano così spaventati dalla Cina?

Perché molti di loro pensano che se protestassero, questo potrebbe danneggiare il commercio. Il fatto curioso è che, a parte la Germania e un numero limitato di altri Paesi, ogni altro Paese che commercia con la Cina, ha un grosso debito nei suoi confronti. Il Canada ha attualmente 20 miliardi di dollari debito con la Cina. Quanto lavoro canadese è andato perso in quei 20 miliardi di deficit derivanti dal passivo della bilancia commerciale? E l’Italia?

La gente dice: “Dobbiamo commerciare di più con la Cina”. Ma questo significa invariabilmente che per l’Australia, l’Italia, il Canada, che la produzione sarà maggiore in Cina.

Non so come i politici non ci arrivino. I dati che spesso uso sono degli Stati Uniti, dove Greg Autry e Peter Navarro hanno scritto un libro stupefacente, Death by China (Morte dalla Cina, ndr), che praticamente evidenzia come 50 mila impianti di produzione abbiano chiuso in America negli ultimi 20-25 anni, e la maggior parte di loro si sia trasferita in Cina, per una perdita equivalente di oltre 20 milioni di posti di lavoro.

Si tratta di famiglie spesso prive di ogni sostentamento. Penso che abbastanza persone stiano ricevendo questi messaggi da abbastanza diverse direzioni, e che questo sarà l’anno in cui lo Stato-Partito in Cina smetterà di uccidere i propri cittadini per i loro organi.

Intervista adattata nella forma per motivi giornalistici

 

David Kilgour, avvocato ed ex magistrato canadese, è stato deputato alla Camera dei Comuni del Canada per 27 anni. Nel governo di Jean Chretien, è stato ministro degli Esteri.
È autore di numerosi libri e coautore, con l’avvocato canadese per i diritti umani David Matas, dell’inchiesta sulla persecuzione contro i 100 milioni di cinesi praticanti della Falun Dafa Bloody Harvest: The Killing of Falun Gong for Their Organs.

 

 
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