Dante e il virus del Pcc, come uscire dall’inferno guardandosi dentro

Di James Sale

Quando guardiamo il mondo di oggi, vediamo una civiltà piena di difficoltà, disordini e un crescente senso d’isteria e panico tali da poter scatenare una rabbia fuori controllo. Sembra di essere vittime di forze che sfuggono al nostro controllo. Per l’Occidente, il virus del Pcc, comunemente noto come coronavirus, è forse l’esempio più emblematico, anche se si potrebbero citare tante altre cose come il riscaldamento globale, i fenomeni naturali di carattere catastrofico o le nostre guerre che sembrano non finire mai.

La maggior parte di noi non ha mai visto o sperimentato nulla di simile a questa pandemia. Coloro che hanno combattuto o vissuto la Seconda Guerra Mondiale sono per lo più morti ora, e la generazione dei Baby Boomer è una generazione di benessere che il mondo non aveva mai sperimentato prima, caspita, sembra che qualcuno debba pagarne il prezzo oggi!

Certo, sicuramente c’era da aspettarselo, non è vero? C’è già stata una cosa del genere prima no? La peste nera del XIV secolo è stata un’epidemia particolarmente brutta, e la si chiama la ‘Grande peste’ per questo motivo. Si stima che abbia ucciso ben oltre il 30% della popolazione europea e che ci siano voluti più di 200 anni perché l’Europa si riprendesse, a livello demografico.

“Il trionfo della morte”, del 1562 circa, di Pieter Bruegel il Vecchio. Museo del Prado, Madrid (Di pubblico dominio)

Inoltre, per un’altra curiosa ironia della sorte, si ritiene che la Grande Peste (molto probabilmente proveniente dalla Cina) sia entrata in Europa  proprio attraverso la penisola italiana. Oggi, certamente, sembra che il virus del Pcc abbia iniziato il suo attacco all’Europa partendo anche stavolta dall’Italia.

Sarebbe stata, forse, una magra consolazione per coloro che sono morti di peste, sapere che la loro morte ha portato un beneficio piuttosto grande al mondo: infatti il mondo moderno è quasi inconcepibile senza questa tragedia, perché è stata la Peste nera (o la Morte nera) a portare inesorabilmente alla fine delle gerarchie feudali che per tanto tempo avevano retto l’Europa. Perché si era talmente a corto di manodopera che i lavoratori potevano quasi decidere loro i prezzi per andare a lavorare dove volevano. La mobilità e la comunicazione aumentarono enormemente. E così la presa del potere da parte dei Signori e delle Signore cominciò a indebolirsi e iniziò un nuovo modello di società, una specie di protocapitalismo.

I Falsari: Allora e adesso

Ma questa è una prospettiva a lungo termine; quello di cui abbiamo veramente bisogno ora è la speranza, la vera speranza. È interessante il fatto che nella Divina Commedia di Dante, una delle tante punizioni inflitte a chi non è salvato e non è riscattabile sia una malattia orribile e disgustosa che non guarisce mai.

Dante incontra queste vittime nel Canto 29 de “L’Inferno” (bolgia dei falsari)

«Passo passo andavam senza sermone

Guadando e ascoltando li ammalati

Che non potean levar le lor persone»

E il loro crimine? Sono tutti falsificatori, alchimisti di un tipo o di un altro, che hanno portato i loro simili a sperare di poter trasmutare i metalli comuni in oro.

In un certo senso, non fa eco al nostro mondo moderno? Certamente ora abbiamo una malattia orribile che ci mangia i polmoni, ma non è una caratteristica del nostro tempo anche il fatto che stiamo cercando ad ogni livello di trasformare il metallo in oro? I governi stampano denaro attraverso l’allentamento quantitativo, le criptovalute abbondano di promesse di denaro gratuito per chi investe, ma il vero risparmio – quello che tradizionalmente era considerato buon senso – è attivamente scoraggiato da tassi di interesse assurdamente bassi e anormali. Come ha detto Bill Bonner a gennaio di quest’anno: «Sta arrivando un’enorme crisi, causata da denaro falso e da pensieri falsi». Anche finto pensiero? Proprio come gli alchimisti di Dante?

È questione di scelte

Siamo, quindi, in un momento di grande crisi. Ma se Dante è in grado di rappresentare accuratamente l’inferno, forse può anche darci una speranza in termini di come pensiamo e concettualizziamo questo dramma. Il punto di partenza è questo: L’intera Divina Commedia ha come uno dei suoi principi centrali un principio chiave del pensiero occidentale fino, forse, al XX secolo, la libertà di volontà o di scelta.

La libertà della volontà significa che le persone possono cambiare: le loro credenze, i loro atteggiamenti, i loro pensieri, i loro pensieri, i loro sentimenti, le loro scelte, e quindi anche le loro decisioni. Il punto focale dell’inferno di Dante non è che è un luogo in cui Dio punisce le persone per le infrazioni maggiori o minori di qualche codice che possono o non possono seguire. Piuttosto, l’inferno è il luogo dove la gente ottiene ciò che vuole.

Come ha espresso Dorothy L. Sayers: «L’inferno è il godimento della propria strada per sempre». È in un certo senso il significato di quella vecchia canzone di Frank Sinatra «I did it MY way». Non la via di Dio, non la via di Cristo, non la via dell’ottuplice sentiero buddista e non la via del Tao, non, insomma, le vie degli antichi maestri con la loro attenzione all’amore, alla compassione, alla comunione dell’uno con l’altro; ma la MIA via: la via totalmente egoista.

Ed ecco la conseguenza di questo: quello che troviamo all’inferno è l’incapacità di tutti i suoi abitanti di andare oltre il solipsismo. In altre parole, non possono comunicare se non in quelli che sembrano essere monologhi ripetitivi al loro interno. Nemmeno «dialogo» interno, poiché l’anima con cui si dialoga, ormai l’hanno persa. In sostanza, la loro situazione è esattamente analoga a quella di un tossicodipendente (o di una persona affetta da una qualsiasi dipendenza grave): non si può ragionare con lui perché ha perso la sua volontà, il suo libero arbitrio. L’ha data via, che è ciò che significa perdere la propria anima.

In questo senso, sono intrappolati e isolati. Isolamento? Questa parola, ora si applica al virus del Pcc, mentre tutti iniziano ad autoisolarsi per evitare la contaminazione reciproca! Come suona infernale: ognuno intrappolato con se stesso per sempre.

Dante che regge la sua ‘Divina Commedia’, accanto all’ingresso dell’Inferno, le sette terrazze del Purgatorio e la città di Firenze, con le sfere del Paradiso in alto. 1465, affresco di Domenico di Michelino. Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze, Italia (Pubblico Dominio)

Un modo per andare oltre l’egoismo

La Divina Commedia tuttavia offre una via d’uscita dall’inferno, così come in questa vita anche i tossicodipendenti possono riacquistare il loro libero arbitrio ed entrare di nuovo nel mondo della luce. Qual è il primo passo, allora, per passare almeno dall’inferno al purgatorio dove c’è speranza?

Illustrazione per il “Purgatorio” dantesco di Gustave Doré. (PD-US)

Per prima cosa, bisogna riconoscere e accettare il problema, il vero problema. E il vero problema è sempre l’io: non altre persone o altre razze, non funzionari e non governi. No, anch’io sto causando problemi e ora lo riconosco; devo passare dal mio modo di essere abituale a un modo nuovo e migliore.

In secondo luogo, quando si va oltre il giustificare sé stessi, ci si rivolge agli altri; la propria esistenza non dipende solo da sè stesso, ma è anche per gli altri. In una comunità bisogna prendersi cura l’uno dell’altro. Questo è qualcosa che diventa molto evidente nel purgatorio di Dante. Mentre all’inferno tutti sembrano dare la colpa a tutti e negare ogni responsabilità personale, nel purgatorio tutti si prendono la briga di darsi credito e di incoraggiarsi a vicenda.

Il purgatorio non porta direttamente in paradiso, ma è un ottimo inizio. Si è in viaggio. Quindi, anche se in questo momento ci si sta auto-isolando, bisogna considerare le proprie responsabilità, riaffermare la libertà delle proprie volontà di essere agenti di un cambiamento positivo, e usare le tecnologie che si ha a disposizione per raggiungere gli altri e sostenerli. In questo modo, si può rompere la trappola dell’inferno, il luogo dove non si vuole certo essere, e non essere vittime di forze che sfuggono al proprio controllo.

James Sale è dirigente della Motivational Maps Ltd. che opera in 14 Paesi, ed è autore di oltre 40 libri sul management e l’istruzione, edito da alcuni dei maggiori editori internazionali, tra cui Macmillan, Pearson e Routledge. Come poeta, ha vinto il primo premio al concorso The Society of Classical Poets 2017 e ha parlato nel giugno 2019 al primo simposio del gruppo tenutosi al Princeton Club di New York.

Articolo in inglese    Dante and the CCP Virus: What Do We Learn?

 
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