Criticare i giornali principali non è criticare la libertà di stampa

Clifford Humphrey, autore del commento, è originario di Warm Springs, in Georgia. Attualmente è dottorando in politica all’Hillsdale College nel Michigan. Account Twitter @cphumphrey.

 

Il presidente Donald Trump è famoso, o famigerato per alcuni, per aver definito alcuni dei principali canali d’informazione americani dei produttori di «fake news» e persino dei «nemici del popolo». La critica tenace contro i maggiori canali d’informazioni è stata, tra l’altro, anche uno dei punti di forza della presidenza Trump.

E difatti non è azzardato affermare che, per questi canali d’informazione, siano state poche le cose che hanno generato un turbamento pari a queste affermazioni, che, tra le righe, hanno anche in qualche modo tolto loro legittimità. Tuttavia, essi sostengono di essere preoccupati soprattutto della condizione in cui versa la libertà di stampa in generale e quindi le istituzioni repubblicane: molto meno della loro reputazione in particolare.

Il noto filosofo e storico dell’ottocento Alexis de Tocqueville, autore di ‘Democracy in America’,  aveva affermato in proposito, che negli Stati Uniti «la sovranità del popolo e la libertà di stampa» sono «due cose interamente correlate».

Per questo, traendo spunto da queste idee, il corrispondente della Cnn per la Casa Bianca Jim Acosta, con giusta indignazione, una volta ha chiesto a Trump: «Non è preoccupato di star minando la fiducia della gente nel Primo Emendamento, la libertà di stampa – la stampa in questo Paese – quando chiama le storie che non le piacciono “notizie false” (fake news)? […] Quando le chiama “fake news”, sta minando la fiducia nei nostri media».

Tuttavia basta un po’ di attenzione in più e ci si rende immediatamente conto che si sta parlando di due cose differenti. Da quando, infatti, i principali «media di informazione» e la «stampa» sono la stessa cosa? Il presidente ha sempre diretto la sua ira in particolare contro alcuni noti media, come la Cnn, il New York Times, Abc, Nbc e Cbs.

Questi media, infatti, sono arrivati a detenere il monopolio della legittimità di una notizia autorevole solo dall’avvento della tecnologia di comunicazione radiotelevisiva. Il Primo Emendamento garantisce a tutti gli americani la libertà di pubblicare le loro opinioni politiche sulla piazza pubblica, in qualsiasi formato.

Nuove tecnologie, nuove condizioni politiche

Nel ventunesimo secolo, lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione è stato velocissimo e radicale, tale da generare un altrettanto radicale cambiamento anche del modo in cui si fa politica. Ora, chiunque abbia una connessione internet, può pubblicare un blog e chiunque abbia un microfono può pubblicare un podcast, influenzando milioni di persone.

Tuttavia questo cambiamento non è del tutto nuovo: anche se sembra strano, riporta a una condizione simile a quella che esisteva nel diciannovesimo secolo, quando i giornali erano più apertamente partigiani ma anche molto, molto più numerosi.

Di sicuro, questa nuova condizione pone alcune nuove difficoltà, ma anche alcune nuove opportunità. Ad esempio, anche se può sembrare più difficile sapere di quale opinione fidarsi, almeno non si è forzatamente legati a un’oligarchia di persone che si auto eleggono a guardiani dell’informazione, nascondendo la propria faziosità con affermazioni di sicura obiettività.

Gli attacchi del presidente Trump ai media più famosi non dovrebbero essere visti pertanto come un attacco alla «stampa» (o al Primo Emendamento), ma come una critica all’ingiustificato monopolio, che questi media hanno, dell’autorità di interpretare le opinioni politiche e i fatti.

In effetti quando il presidente segnala una cosiddetta ‘fake news’ sulla stampa principale, aiuta a creare spazio per altri media che segnalano notizie altrimenti poco apprezzate. In questo modo Trump non sta ostacolando, ma al contrario sta proteggendo la libertà di «stampa».

Libertà di stampa, rinascita del giornalismo serio

Tocqueville scrisse al pubblico francese: «Il numero di periodici o semi-periodici negli Stati Uniti supera ogni immaginazione».

Secondo la sua opinione i giornali erano così prolifici negli Stati Uniti, perché gli editori non dovevano ottenere le licenze dal governo, per operare. 

Questa condizione è cambiata con l’avvento della radio e della televisione e della Federal Communications Commission.

Quando Tocqueville scriveva questo, negli anni ’30 del XIX secolo, c’erano già circa 1.200 giornali in circolazione negli Stati Uniti. Trenta anni dopo, nel 1860, quel numero è più che raddoppiato a 3 mila; nel 1890 è quadruplicato arrivando 12 mila. In altre parole, per la maggior parte della loro storia, gli americani hanno avuto ben più che i pochi giornali principali di oggi, da cui ottenere le loro notizie.

Tocqueville ha fatto notare che un così gran numero di giornali aveva garantito un altrettanto elevato numero di punti di vista: in questo modo tutto l’insieme dei giornali non avrebbe potuto creare «grandi correnti di opinione». La situazione, quindi, era molto diversa dal monolite di opinioni che spesso emerge dai media principali di oggi.

Inoltre, Tocqueville notò che «questa divisione della forza della stampa» negli anni ’30 dell’Ottocento aveva avuto altri due effetti politicamente salutari.
Lo sviluppo di questi due effetti sta avvenendo anche nei giorni; il primo è che «la creazione di un giornale è una cosa facile. Tutti possono farlo». Nella nostra era digitale, attraverso le agenzie di social media, podcast, blog e altri mezzi di giornalismo indipendente, si sta assistendo a un ritorno di questa condizione di facile accesso alla pubblicazione.

Il secondo effetto osservato da Tocqueville è che «la competizione rende un giornale incapace di sperare in enormi profitti, il che impedisce a coloro con grandi capacità industriali di intromettersi in questo tipo di imprese».
Le ultime generazioni sono cresciute nell’era del ciclo di notizie 24 ore su 24 e hanno anche assistito alle conseguenze dell’industrializzazione del giornalismo.

Il matrimonio tra giornalismo e corporativismo pubblicitario ha dato alla luce l’unione descritta come «infotainment» [intrattenimento e notizie, ndt]. Le redazioni assomigliano spesso agli studios dei giochi a premi, ma non fanno divertire come i quiz.

Al contrario, la maggior parte delle imprese di media indipendenti che hanno avuto successo di recente sono, è vero, più di parte, ma il loro successo è spesso un prodotto della serietà con cui affrontano i loro argomenti. Si potrebbe anche arrivare a sperare che, se l’influenza corporativa verrà in qualche modo neutralizzata, si assisterà a un risveglio di rigore e serietà nel campo del giornalismo.

I media sono i guardiani dell’opinione pubblica e, in quanto cittadini di una repubblica, ognuno degli utenti deve proteggere questi guardiani. In questo sforzo, si devono comprendere le nuove condizioni che le ultime tecnologie hanno creato, sia positive che negative.

Tocqueville definì nient’altro che un «assioma della scienza politica» negli Stati Uniti, il fatto «che l’unico mezzo per neutralizzare gli effetti dei giornali sia moltiplicare il loro numero». Si dovrebbe ricordare questo punto, mentre si assiste allo scioglimento del monopolio dell’autorità sull’opinione pubblica di cui i media tradizionali hanno goduto per così tanti decenni.

Inoltre, questo dovrebbe donare a tutti la speranza che la libertà di stampa sia più forte che mai e che questa libertà possa essere usata davvero a fin di bene.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

 

Articolo in inglese  The Mainstream Media Is Not ‘the Press,’ Nor Should It Be

 
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