Covid, gli effetti della vitamina D

Di Dr. Joseph Mercola

Conosci il tuo livello di vitamina D? In caso contrario, fare le analisi del sangue e ottimizzarne i livelli è uno dei passaggi più semplici e diretti che puoi intraprendere per migliorare la tua salute, anche in relazione al Covid-19. La vitamina D, in quanto immunomodulatore, è infatti una candidata perfetta per contrastare la disregolazione immunitaria comune con il Covid-19.

Già a novembre 2020, era noto che vi fossero notevoli differenze nello stato di vitamina D tra le persone che presentavano il Covid-19 asintomatico e quelle che si erano ammalate gravemente e avevano richiesto cure in unità di terapia intensiva (Icu). In uno studio, il 96,82 percento di coloro che erano stati ricoverati in terapia intensiva per un caso grave è risultato carente di vitamina D; mentre, tra i casi di Covid asintomatico, il 67,04 presentava buoni livelli di questa vitamina.

I pazienti Covid-19 con carenze di questa vitamina poco costosa e ampiamente disponibile hanno mostrato una risposta infiammatoria più elevata e un tasso di mortalità maggiore. Gli autori dello studio indiano hanno quindi raccomandato «la somministrazione di massa di integratori di vitamina D alle popolazioni a rischio di Covid-19», in uno studio pubblicato su Scientific Reports; tuttavia, in vari Paesi, il consiglio non è stato preso in considerazione.

A partire dal 21 aprile, la data in cui i National Institutes of Health (Nih) degli Stati Uniti hanno aggiornato l’ultima volta la pagina sulla vitamina D nelle loro linee guida sul trattamento del Covid-19, l’agenzia ha dichiarato: «Non ci sono dati sufficienti per fornire raccomandazioni a favore o contro l’uso della vitamina D per la prevenzione o il trattamento del Covid-19». Come si potrà vedere nei paragrafi che seguono, tuttavia, le prove della sua efficacia sono oltremodo schiaccianti.

La terapia con vitamina D riduce la tempesta infiammatoria del Covid

La vitamina D agisce in modo molteplice sul sistema immunitario: migliora la produzione di peptidi antimicrobici da parte delle cellule immunitarie, riduce le citochine pro-infiammatorie dannose e promuove l’espressione di citochine antinfiammatorie. Le citochine sono un gruppo di proteine ​​che il corpo utilizza per controllare l’infiammazione.

Se si ha un’infezione, il corpo rilascerà citochine per aiutare a combattere l’infiammazione, ma a volte ne rilascerà più di quanto dovrebbe. Se il rilascio di citochine va fuori controllo, la risultante «tempesta di citochine» diventa pericolosa ed è strettamente legata alla sepsi, che può dare un netto contributo alla morte dei pazienti Covid-19.

Molte terapie Covid-19 si concentrano sull’eliminazione virale invece di modulare l’iperinfiammazione spesso osservata nella malattia. In realtà, la risposta immunitaria incontrollata è stata suggerita come un fattore della gravità della malattia, cosa che rende l’immunomodulazione «una potenziale strategia di trattamento attraente», hanno scritto ricercatori di Singapore in uno studio pubblicato su Nutrition.

In uno studio pubblicato su Scientific Reports a maggio, i ricercatori hanno studiato gli effetti della terapia Pulse D, che consiste in un’integrazione giornaliera ad alte dosi (60.000 Ui) di vitamina D per 8-10 giorni, oltre alla terapia standard, per i pazienti affetti da Covid-19 carenti di vitamina D. Il risultato è stato che i livelli di vitamina sono aumentati significativamente nel gruppo vitamina D, da 16 ng/ml a 89 ng/ml, mentre i marker infiammatori sono diminuiti significativamente, senza effetti collaterali.

«La Vitamina D agisce come un interruttore intelligente per ridurre la risposta Th1 e le citochine pro-infiammatorie, migliorando la produzione di citochine anti-infiammatorie nei casi di disregolazione immunitaria. È pertinente notare che il virus Sars-CoV-2 attiva la risposta Th1 e sopprime la risposta Th2», hanno scritto, concludendo che la terapia Pulse D potrebbe essere aggiunta in sicurezza ai protocolli di trattamento Covid-19 per risultati migliori.

La vitamina D3 riduce i decessi per Covid-19 e i ricoveri in terapia intensiva

Un altro gruppo di ricercatori in Spagna ha somministrato vitamina D3 (calcifediolo) ai pazienti ricoverati nei reparti Covid-19 dell’Ospedale del Mar di Barcellona. Circa la metà dei pazienti ha ricevuto vitamina D3 nella quantità di 21.280 Ui il primo giorno più 10.640 Ui i giorni 3, 7, 15 e 30. Quelli che hanno ricevuto vitamina D sono migliorati: solo il 4,5 percento di loro ha richiesto il ricovero in terapia intensiva, rispetto al 21 percento nel gruppo senza vitamina D.

Il trattamento con vitamina D ha anche ridotto significativamente la mortalità: sono morte il 4,7 percento delle persone del gruppo a cui è stata somministrata vitamina D al momento del ricovero, rispetto al 15,9 percento nel gruppo senza vitamina D. «Nei pazienti ricoverati in ospedale con Covid-19, il trattamento con calcifediolo ha ridotto significativamente l’ammissione in terapia intensiva e la mortalità», hanno scritto i ricercatori sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism. In risposta ai risultati, il deputato britannico David Davis ha twittato: «Questo è uno studio molto importante sulla vitamina D e sul Covid-19. I suoi risultati sono incredibilmente chiari. Una riduzione dell’80 percento della necessità di terapia intensiva e del 60 percento dei decessi, semplicemente somministrando una terapia molto economica e molto sicura: calcifediolo o vitamina D attivata […] I risultati di questo studio ampio e ben condotto dovrebbero portare questa terapia a essere somministrata a ogni paziente Covid in ogni ospedale alle latitudini temperate».

In seguito, il servizio sanitario nazionale del Regno Unito ha preso a offrire integratori di vitamina D gratuiti alle persone ad alto rischio di Covid-19, ma ha sottolineato anche, come il Nih statunitense, che «attualmente non ci sono prove sufficienti a sostegno dell’assunzione di vitamina D per prevenire o curare il Covid-19».

La loro guida esorta i britannici a prendere un integratore di vitamina D tra ottobre e marzo «per mantenere le ossa e i muscoli sani», ma raccomanda solo una dose di 400 Ui al giorno, che è 20 volte inferiore a quella che la maggior parte delle persone richiede per un ideale stato di salute e una funzione immunitaria ottimale.

La dose è importante quando si tratta di recupero da Covid-19. In uno studio clinico randomizzato in Arabia Saudita, i ricercatori hanno confrontato l’integrazione giornaliera con 5.000 Ui o 1.000 Ui di vitamina D3 per via orale, tra i pazienti con livelli di vitamina D subottimali, ricoverati in ospedale per sintomi di Covid-19 che andavano da lievi a moderati. Quelli nel gruppo di 5.000 Ui hanno avuto bisogno di un tempo più breve per riprendersi dalla tosse e dalla perdita del senso del gusto, rispetto al gruppo di 1.000 Ui.

Secondo i ricercatori, «si raccomanda l’uso di 5000 Ui di vitamina D3 come terapia adiuvante per i pazienti Covid-19 con uno stato di vitamina D subottimale, anche per un breve periodo».

Ricoverato in ospedale con Covid-19? Richiedi la vitamina D

Continuano a crescere le prove che il trattamento con vitamina D porti a risultati significativamente migliori per le persone ricoverate in ospedale con Covid-19. In un altro esempio dalla Spagna, i pazienti ospedalizzati con Covid-19 che hanno ricevuto vitamina D3 hanno avuto un tasso di mortalità del 5%, rispetto al 20% di quelli che non lo hanno fatto. In merito i ricercatori hanno spiegato: «L’effetto protettivo del calcifediolo [vitamina D attivata, ndr] è rimasto evidente dopo la correzione che tiene conto di molteplici fattori confondenti correlati alla gravità della malattia anche dopo aver selezionato quei soggetti che erano più anziani (≥ 65 anni) e avevano livelli di saturazione di ossigeno peggiori al momento del ricovero (<96%)».

Allo stesso modo, 76 pazienti consecutivi ricoverati con Covid-19 presso l’ospedale universitario Reina Sofia di Córdoba, in Spagna, sono stati divisi a caso in due gruppi, uno dei quali riceveva cure standard, mentre l’altro riceveva vitamina D3 in aggiunta alle cure standard, allo scopo di aumentare rapidamente i livelli di vitamina D.

Su 50 trattate con vitamina D, solo una persona è stata ricoverata in terapia intensiva. Dei 26 che non sono stati trattati con vitamina D, 13 (50 per cento) hanno richiesto il ricovero in ospedale. I ricercatori hanno osservato: «Il calcifediolo sembra essere in grado di ridurre la gravità della malattia. Nei pazienti trattati con calcifediolo, nessuno è morto e tutti sono stati dimessi, senza complicazioni. I 13 pazienti non trattati con calcifediolo, che non sono stati ricoverati in terapia intensiva, sono stati dimessi. Dei 13 pazienti ricoverati in terapia intensiva, due sono deceduti e i restanti 11 sono stati dimessi».

In una precedente recensione, i ricercatori hanno spiegato che la vitamina D ha effetti favorevoli durante la prima fase viremica di Covid-19 e sia nella successiva fase iperinfiammatoria, inclusa la sindrome da distress respiratorio acuto (Ards), una condizione polmonare comune nei casi gravi di Covid-19, che causa un basso livello di ossigeno nel sangue e accumulo di liquidi nei polmoni. «Sulla base di molti studi preclinici e dati osservativi negli esseri umani, l’Ards può essere aggravata dalla carenza di vitamina D e ridotta dall’attivazione del recettore della vitamina D. In base a uno studio pilota, il calcifediolo orale potrebbe essere l’approccio più promettente» hanno scritto in uno studio pubblicato su The Journal of Steroid Biochemistry and Molecular Biology.

Anche regolari dosi «richiamo» di vitamina D, indipendentemente dai livelli di base, sembrano essere efficaci nel ridurre il rischio di mortalità nelle persone ricoverate in ospedale con Covid-19, in particolare per gli anziani. «Questo trattamento poco costoso e ampiamente disponibile potrebbe avere implicazioni positive per la gestione di Covid-19 in tutto il mondo, in particolare nei Paesi in via di sviluppo», hanno sottolineato i ricercatori del Regno Unito.

Bassi livelli di vitamina D possono aumentare il rischio di morte

Una revisione sistematica e una meta-analisi pubblicate sul Journal of Endocrinological Investigation, includono 13 studi che hanno coinvolto 2.933 pazienti Covid-19. La vitamina D è stata un evidente vincitore per l’uso sui pazienti Covid-19, significativamente associato a una riduzione dei ricoveri e della mortalità in terapia intensiva, insieme a un ridotto rischio di esiti avversi, in particolare se somministrata dopo la diagnosi di Covid-19.

Quando si tratta di dati per supportare l’uso della vitamina D per Covid-19, sono stati condotti 87 studi da 784 scienziati. I risultati mostrano:

  • Miglioramento del 53% in 28 studi di trattamento
  • Miglioramento del 56% in 59 studi di sufficienza
  • Miglioramento del 63% in 16 risultati di mortalità per trattamento

Ci sono inoltre una serie di studi clinici in corso, che esaminano ulteriormente l’uso della vitamina D per il Covid-19, tra cui uno da parte dei ricercatori della Harvard Medical School che studiano se l’assunzione giornaliera di vitamina D riduca la gravità della malattia Covid-19 nei pazienti di nuova diagnosi, e il rischio di infezione tra congiunti.

«Una misura semplice ed economica»

Si sono già verificati alcuni progressi positivi che potrebbero rendere più ampiamente utilizzata questa strategia potenzialmente salvavita. L’Accademia nazionale di medicina francese ha rilasciato una dichiarazione nel maggio 2020, in cui si considera l’uso della vitamina D come «misura semplice ed economica, rimborsata dall’assicurazione sanitaria nazionale francese» e evidenzia l’importanza della vitamina D nel contrasto al Covid-19.

Per i pazienti Covid-19 sopra i 60 anni, raccomandano il test della vitamina D e, se viene rilevata una carenza, una dose in bolo da 50.000 a 100.000 Ui. Per chiunque abbia meno di 60 anni e sia positivo a un test Covid-19, consigliano di assumere da 800 Ui a 1.000 Ui di vitamina D al giorno. Tuttavia, l’articolo di revisione sulla vitamina D pubblicato sulla rivista Nutrients nell’aprile 2020 raccomandava quantità più elevate, affermando: «Per ridurre il rischio di infezione, si raccomanda che le persone a rischio di influenza e/o Covid-19 prendano in considerazione l’assunzione di 10.000 Ui/die di vitamina D3 per alcune settimane, onde aumentare rapidamente le concentrazioni di 25(Oh)D, seguite da 5000 Ui /d.» L’obiettivo dovrebbe essere quello di aumentare le concentrazioni di 25(Oh)D al di sopra di 40-60 ng/mL (100-150 nmol/L). Per il trattamento delle persone che vengono infettate da Covid-19, potrebbero essere utili dosi più elevate di vitamina D3.

Il modo migliore per sapere di quanta vitamina D si ha bisogno, è testare i propri livelli. I dati degli studi di GrassrootsHealth suggeriscono che il livello ottimale per la salute e la prevenzione delle malattie è compreso tra 60 ng/mL e 80 ng/mL, mentre il limite per la sufficienza sembra essere di circa 40 ng/mL. In Europa, le misurazioni che sono rispettivamente da 150 a 200 nmol/L e 100 nmol/L.

 

Il dottor. Joseph Mercola è il fondatore di Mercola.com. Medico osteopata, autore di best seller e destinatario di numerosi premi nel campo della salute naturale, la sua visione principale è quella di cambiare il paradigma della salute moderna fornendo alle persone una risorsa preziosa per aiutarle a prendere il controllo della propria salute. Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Mercola.com

Articolo in inglese: The Effects of Vitamin D and COVID-Related Outcomes

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