Cosa significa per Pechino la «democrazia internazionale»

Di Dominick Sansone

L’autore dell’articolo, Dominick Sansone, scrive di relazioni internazionali con particolare attenzione alla politica comparata, alla politica estera degli Stati Uniti e alle relazioni Russia-Cina. Precedentemente un borsista Fulbright in Bulgaria, ha vissuto anche in Macedonia del Nord e a Bologna. I suoi scritti sono stati pubblicati su National Interest, RealClear Defense e American Conservative.

 

Parliamo di una recente conferenza stampa online, con il consigliere di Stato del Partito Comunista Cinese (Pcc) e ministro degli Esteri Wang Yi, che ha avuto luogo il 7 marzo. Il funzionario del governo si è seduto con i rappresentanti dei media cinesi e stranieri per rispondere alle domande sull’approccio della Cina alle relazioni internazionali, in particolare sull’escalation della situazione in Ucraina.

Le risposte di Wang alle varie domande hanno contribuito a chiarire ulteriormente come la Cina interpreta gli eventi in Ucraina e la conseguente posizione di Pechino nella comunità globale in tempi di crisi internazionali, ma anche quale è il suo approccio generale alla politica estera in un ordine globale in evoluzione.

«Il mondo sta diventando multipolare: l’unilateralismo e l’egemonismo saranno sostituiti da una maggiore democrazia nelle relazioni internazionali», ha sostenuto Wang, in risposta a una domanda posta da un giornalista della testata giapponese Kyodo News.

Poi ha proseguito: «Le alleanze della guerra fredda e il confronto geopolitico hanno perso da tempo il sostegno della gente. Questa è la tendenza inevitabile della storia».

La risposta di Wang suona molto simile al ritornello comune e ridondante di Pechino sulla sua posizione in merito alla situazione Russia-Ucraina, che prevede il sostegno a una risoluzione diplomatica e alla sovranità nazionale, così come la condanna esplicita degli Stati Uniti e del loro disinteresse per le considerazioni di sicurezza degli altri Paesi.

Ciò che è ancora più importante è il contesto in cui Wang ha fatto tale dichiarazione: la risposta in realtà è arrivata a una domanda su come Pechino veda la sua relazione con Tokyo in una nuova era di relazioni Cina-Giappone (in qualche modo) normalizzate.

Wang non ha voluto lodare la forza delle relazioni bilaterali o elogiare i loro legami sempre più profondi, ma piuttosto ha messo in guardia il Giappone: deve rispettare gli interessi nazionali della Cina e non ostacolarla con una visione anacronistica (basata sulle alleanze della Guerra Fredda) sulla sfera d’influenza di Pechino.

«Lasciatemi offrire tre consigli alla parte giapponese», ha affermato con sicurezza Wang prima di lanciarsi in una lista di modi in cui Tokyo dovrebbe agire per evitare di far arrabbiare Pechino.

Volutamente o meno, l’approccio che il ministro degli Esteri cinese ha adottato nel rispondere alla domanda di Kyodo News dà un’idea del vero meccanismo calcolatore e decisionale di Pechino. Sotto la patina di neutralità e le vuote esaltazioni della «democrazia internazionale», o della Carta delle Nazioni Unite, il Pcc, in realtà, vede la politica internazionale come un gioco a somma zero in cui l’unico modo per migliorare la sua posizione globale è sminuire quella degli altri.

Questo è particolarmente vero nella sua sfera d’influenza percepita. La Cina potrebbe star attendendo con ansia l’emergere di un mondo multipolare, ma il facilitare l’arrivo di questo ordine internazionale alternativo (rispetto all’egemonia globale degli Stati Uniti) richiede che il Pcc consolidi prima la sua posizione a casa propria, per quel che concerne il suo ‘polo’.

Questo include l’Asia orientale e, pertanto, significa assicurarsi che il Giappone – la terza economia più grande del mondo in termini di Pil nominale (è quarto in termini di Pil basato sulla parità di potere d’acquisto) – capisca esattamente chi è l’attore preminente nella regione. Questo significa anche rispettare i benefici che appartengono alla Cina – per esempio, l’impossibilità per il Giappone di possedere armi nucleari o di ospitare forze armate straniere sul suo territorio – come risultato della sua supremazia militare, economica e politica.

La risposta di Wang era chiaramente una sfida diretta a Tokyo rivolta ai suoi legami di sicurezza con Washington e alla conseguente presenza di forze militari statunitensi nelle immediate vicinanze della Cina. Tuttavia, la retorica conflittuale ha probabilmente anche qualcosa a che fare con le dichiarazioni dell’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe sulla possibilità che Tokyo ospiti armi nucleari statunitensi.

Rapidamente denunciato dall’attuale primo ministro giapponese Fumio Kishida, Abe ha apparentemente espresso questa opinione alla luce delle accresciute tensioni internazionali sull’Ucraina e di una maggiore preoccupazione per l’aggressione cinese a Taiwan. I media statali cinesi hanno spesso accusato Abe durante il suo mandato come primo ministro, di tentare di riaccendere il «militarismo giapponese».

Temi ricorrenti durante la conferenza riguardavano la Cina che stabilisce il proprio corso nelle relazioni internazionali, libere dall’influenza occidentale, così come il sostegno di Pechino ad altri Paesi che desiderano a loro volta rivedere l’ordine internazionale guidato dagli Stati Uniti.

All’inizio della riunione, Wang ha risposto a una domanda del media russo Russia Today su come le sanzioni occidentali influenzeranno le relazioni Russia-Cina: «La Cina e la Russia si oppongono congiuntamente ai tentativi di far rivivere la mentalità della guerra fredda o di provocare uno scontro basato sull’ideologia», ha risposto Wang, prima di dichiarare ancora una volta l’impegno di Pechino per una «maggiore democrazia nelle relazioni internazionali».

La nozione di «democrazia internazionale» del Pcc si basa sul concetto di sovranità assoluta dello Stato, in cui nessun gruppo multilaterale ha il diritto di intervenire negli affari interni di un Paese perché disapprova il suo stile di governo o le scelte politiche verso il suo popolo.

Mentre promuove il principio della ‘democrazia’ tra i Paesi, Pechino è allo stesso tempo pronta a denunciare qualsiasi tentativo di definire tale concetto nella politica interna. Questo è stato chiaro quando Wang ha reagito con una certa rabbia a una domanda del Global Times, un media statale cinese, sul ‘Summit per la democrazia’ guidato dagli Stati Uniti.

Wang si è lanciato in una filippica su come ci sarebbero diverse interpretazioni della democrazia per ogni Paese, e nessuno abbia il diritto di condannarne un altro, o di giudicare una certa versione superiore rispetto a un’altra. Quest’ultima rappresenterebbe un tipo di «pseudo-democrazia», usando le parole di Wang, in cui gli Stati Uniti metterebbero il proprio sistema di democrazia «su un piedistallo», cosa che sarebbe «contro lo spirito della democrazia».

La risposta di Wang rivela ancora una volta il vero intento di Pechino dietro i costanti appelli per una forma non-giudicante di ‘democrazia’ tra i Paesi. Come a voler mettere le mani avanti, denuncia un qualsiasi tentativo di giudicare un sistema di governo al di sopra di un altro e, quindi, riduce la probabilità di formare qualsiasi tipo di blocco di Paesi che sia basato su qualcosa di diverso dal puro interesse economico.

Mentre la Cina aumenta la sua presa economica su altri Paesi del mondo attraverso vari progetti come la Belt and Road Initiative (Bri, nota anche come «One Belt, One Road» o Nuova Via della Seta), è facile vedere che Pechino abbraccia la democrazia solo in misura della sua utilità nell’aumentare il potere e l’influenza del Pcc.

Come dichiarato da Wang, «il cosiddetto ‘Summit per la democrazia’ ha escluso quasi la metà di tutti i Paesi del pianeta, ha palesemente tracciato una linea ideologica tra i Paesi e ha creato una divisione nel mondo. L’atto ha violato lo spirito della democrazia».

Il ragionamento in questa dichiarazione di Wang illustra perfettamente la concezione completamente diversa e distorta della democrazia a cui il Pcc fa continuamente riferimento: per Pechino, è antidemocratico non invitare quelli che fino a prova contraria sono da sempre regimi tirannici e/o autoritari a un incontro che celebra il governo democratico.

Sia nel suo linguaggio autoprotettivo e difensivo sull’esclusione della Cina dal vertice degli Stati Uniti, o nella sua insistenza affinché Tokyo riconosca la preminenza di Pechino, o anche nella sua ostilità al pensiero che la situazione tra Russia e Ucraina sia in qualche modo simile a quella tra Cina e Taiwan, Wang ha dimostrato ciò che conta davvero per Pechino.

La facciata della «democrazia internazionale» basata sull’uguaglianza dei Paesi crolla rapidamente quando il concetto è in qualche modo contrario agli interessi del Pcc.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times

Articolo in inglese: China Says It Stands for ‘International Democracy’—What Does That Really Mean?

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