Conte incassa l’accordo sui migranti

Sono discordanti le reazioni all’accordo prodotto dal vertice europeo sull’immigrazione. Il premier Conte lo festeggia come un grande successo, mentre Salvini – seppur contento – invita alla cautela: «Non mi fido delle parole, vediamo che impegni concreti ci sono».

Con un buon mix di decisione, diplomazia e contrattazione, l’Italia è riuscita a far valere la propria posizione. La proposta francese, di istituire degli hotspot per i migranti in Francia anziché in Africa, è stata bocciata dal nostro Paese (suona quasi strano, che l’Italia possa bocciare proposte altrui) e Conte ha anche bloccato inizialmente la proposta della Merkel, volta all’impedimento dei movimenti secondari, ovvero allo spostamento dei migranti da un Paese all’altro (dove ‘l’altro’ è spesso la Germania). La proposta era importante per la Cancelliera, perché utile a calmare il suo ministro dell’Interno, che minaccia scissioni e che è sostenuto da una buona fetta di elettorato. Conte ha chiarito alla Merkel che la sua proposta avrebbe potuto essere valutata soltanto sulla base di altri provvedimenti, e non in modo isolato, e infatti alla fine è stata accettata, ma solo in seguito alla discussione delle altre proposte italiane.

Prima di discutere dell’immigrazione, al vertice sono stati affrontati altri temi, tra cui le sanzioni alla Russia. Intelligentemente, l’Italia non ha firmato il pre-documento e ha posto una riserva, provocando l’annullamento della prima conferenza stampa. Conte ha messo infatti in chiaro che l’Italia avrebbe approvato il documento soltanto dopo aver discusso delle proposte sull’immigrazione.

Si può dire che il nostro governo abbia fatto uno scambio: ha ottenuto quello che voleva sull’immigrazione, ma non si è opposto al rinnovo delle sanzioni alla Russia, nonostante Conte avesse affermato che la ridiscussione delle sanzioni fosse un punto del proprio programma.

«Le intenzioni di Conte erano ottime. L’intransigenza dell’Italia nel non dare via libera a un documento finale del vertice europeo senza un’intesa sui migranti era più che condivisibile. Ma, letti i punti dell’accordo notturno, temo che ci siamo fatti fregare un’altra volta», ha scritto Enrico Mentana su Facebook, riferendosi probabilmente al fatto che il documento enuncia dei principi generali, la cui applicazione sarà tutta da vedere. Ma questo vale per qualunque accordo.

L’ACCORDO

Secondo il resoconto del premier Conte, nell’articolo 1 «è affermato il principio che chi arriva in Italia arriva in Europa».

Nell’articolo 3, si dice che le navi che attraversano il Mediterraneo, comprese le Ong, non devono interferire con la Guardia Costiera libica e devono rispettare le leggi.

Nell’articolo 5 si parla di un «nuovo approccio per i salvataggi in mare», che saranno basati sulla condivisione e sulla coordinazione tra gli Stati membri. Nello stesso articolo, inoltre, si prevede la creazione di centri di accoglienza «per consentire lo sbarco e, se del caso, il transito dei migranti anche in Paesi terzi».

L’articolo 6, poi, afferma che i Paesi che vorranno farlo, potranno istituire centri d’accoglienza «con una gestione collettiva europea».

Nell’articolo 7 si parla del rifinanziamento del Fondo fiduciario per l’Africa.

All’articolo 8 si parla dell’intensificazione dei rapporti e degli accordi con i Paesi di origine e di transito dei migranti.

Nell’articolo 12 si afferma la necessità di riformare Dublino.

«Direi che nel complesso – ha concluso il presidente del Consiglio – possiamo ritenerci soddisfatti: è stata una lunga negoziazione, come ci dice l’orario, ma l’Italia non è più sola, come avevamo richiesto».

Dato che l’apertura dei centri di cui si parla all’articolo 6 è facoltativa, i giornalisti hanno chiesto al capo del governo se l’Italia li avrebbe aperti. «È una decisione che prenderemo a livello governativo, in modo collegiale – ha risposto Conte – Direi che non siamo assolutamente invitati a farlo».

Questo governo è solo all’inizio. Ma, al di là delle ideologie e delle chiacchiere politiche (che lasciano il tempo che trovano) si può obiettivamente sostenere che – rispetto al ruolo recitato in Europa dal nostro Paese a partire dall’annus horribilis 1992 – si assiste senz’altro a un cambio di passo: piaccia o no, per la prima volta l’Italia ha un ruolo da protagonista. Non da clown, e nemmeno da misero e questuante ‘vorrei ma non posso’. E questo è già un primo risultato.

 
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