Come il comunismo ha portato al fascismo e alla guerra

Recensione del libro 'The Spectre of War: International Communism and the Origins of World War II'

L’autore dell’articolo, Anders Corr, ha conseguito una laurea/master in scienze politiche presso la Yale University (2001) e un dottorato in governance presso la Harvard University (2008). È preside di Corr Analytics Inc., editore del Journal of Political Risk, e ha condotto ricerche approfondite in Nord America, Europa e Asia. È autore di «The Concentration of Power» (in uscita nel 2021) e «No Trespassing» e ha curato «Great Powers, Grand Strategies».

 

Il comunismo è un’ideologia che si suppone abbia lo scopo di raggiungere l’uguaglianza e la pace ma, in realtà,  l’acquisizione violenta dei mezzi di produzione e la sua promozione della dittatura (del proletariato, come si dice) hanno invariabilmente portato ad alcuni dei peggiori regimi autoritari del mondo.

Di conseguenza, decine di milioni di persone sono state uccise in guerre, carestie e genocidi, ai danni di coreani, afghani, ceceni, ucraini, vietnamiti, uiguri, tibetani e praticanti del Falun Gong.

Meno comunemente si comprende come le rivoluzioni comuniste, compresa quella originaria in Russia nel 1917, e i suoi epigoni in tutta Europa e in Asia, abbiano provocato la reazione eccessiva dei fascisti che ha poi portato alla violenza sociale e razzista nell’Italia e nella Germania tra le due guerre; e con questo l’acquiescenza della Gran Bretagna e dei Paesi dell’Europa orientale hanno spianato la strada alla guerra e al genocidio da parte dei nazisti.

Di questo parla in maniera specifica il nuovo libro di Jonathan Haslam, The Spectre of War: International Communism and the Origins of World War II (Princeton University Press, 2021; [ancora non tradotto in italiano, ndt]). Haslam è professore all’Università di Cambridge in Gran Bretagna e per il suo studio ha utilizzato archivi di tutta Europa.

L’ideologia del comunismo

Poco dopo la Rivoluzione russa e la Prima guerra mondiale, i giornalisti britannici cominciarono a notare quello che chiamavano «imperialismo bolscevico», ovvero la spinta a esportare il comunismo (dalla Russia) in tutto il mondo. Non solo i russi soffrivano sotto il comunismo, ma tutto il mondo rischiava di cadere sotto i suoi eserciti invasori, nazionali ed esteri.

L’ideologia comunista del marxismo-leninismo (allora imprecisamente nota con l’autodefinizione di «bolscevismo» o «della maggioranza») era la chiave dell’imperialismo russo, in quanto la Russia era uno Stato debole rispetto ai suoi pari e quindi dipendente dagli operai e dai contadini stranieri che, secondo i bolscevichi, avrebbero tratto beneficio dal rovesciamento violento del capitalismo. Questa «classe operaia» era ovviamente molto suscettibile all’ideologia comunista che sosteneva, falsamente, che li avrebbe «liberati dalle (loro) catene».

Il dittatore russo e leader comunista Vladimir Ilyich Lenin tiene un discorso celebrativo come capo del primo governo sovietico nella Piazza Rossa nel primo anniversario della rivoluzione russa del 1917 il 7 novembre 1918. (P Otsup/Getty Images)

Secondo l’ambasciatore svizzero in Francia, nel 1918 la propaganda bolscevica aveva avuto un tale successo che «ovunque ci sono disordini, rivolte e convulsioni».

Secondo Haslam, le democrazie potevano sopravvivere in queste condizioni solo «facendo promesse vuote e stravaganti di riforme sociali – in Gran Bretagna «case per gli eroi» che non furono mai costruite – e di una distribuzione del reddito più egualitaria, ritardando l’inevitabile momento in cui queste cambiali sarebbero scadute nella probabilità che i mezzi per mantenerle fossero insufficienti a soddisfare la domanda pressante».

Origine del fascismo italiano

Secondo Haslam, nel contesto delle crescenti agitazioni comuniste nell’Italia tra le due guerre, la corruzione del governo, sia a livello politico che finanziario, portò a una democrazia «cronicamente debole»: «Mentre la dura sinistra premeva su di loro, essi soccombevano un po’ alla volta», scrive. «Mentre lo facevano, a livello locale cresceva lentamente ma con determinazione il risentimento di contropartita, infiammato dalla destra».

Nel 1919, un movimento ultranazionalista emerse in Italia «quando leghe di ex combattenti [della Prima Guerra Mondiale, ndr] reagirono violentemente quando gli antimilitaristi socialisti bloccarono l’erezione di monumenti per commemorare i caduti di guerra, gettando disprezzo su coloro che portavano decorazioni per il servizio alla patria».

In risposta alle «incessanti intimidazioni dell’estrema sinistra», secondo Haslam, e solo tre anni dopo la Rivoluzione russa, l’Italia ebbe la sua prima assemblea generale nel 1920 di un movimento fascista emergente.

I primi fascisti italiani erano contrari alla Società delle Nazioni e al dominio finanziario del loro Paese. Si opposero a «ondate di scioperi dirompenti nelle città di Roma, Napoli, Torino, Milano e Genova sui tram e sulle ferrovie, tra i tassisti e nei servizi postali ed elettrici; a questi si aggiunsero quelli dei lavoratori agricoli in Puglia, Emilia-Romagna e Veneto», scrive Haslam.

L’inflazione e la violenza sono state il risultato dei disordini comunisti, che hanno danneggiato la stabilità politica e finanziaria non solo dei proprietari di immobili italiani, ma anche dei pensionati, dei lavoratori amministrativi e di coloro che avevano un reddito fisso.

Nel frattempo, continua Haslam «il resto dell’Europa fu preso dal panico quando l’Armata Rossa attraversò la Polonia, dirigendosi verso Varsavia nell’agosto [1920, ndr], forse con Berlino a seguire».

Da questa rapida espansione del comunismo e dalla risposta inefficace delle forme di governo democratiche consolidate è nata la percezione della necessità di ‘uomini forti’ nelle democrazie, tra cui Benito Mussolini in Italia.

La Germania nazista

Il fascismo e la sua reazione violenta, razzista, opportunista e autoritaria alla violenza, all’opportunismo e all’autoritarismo di un’ideologia comunista che alla fine sarebbe diventata anch’essa razzista, crebbe in queste condizioni e persistette mentre Adolf Hitler orientava il fascismo verso i suoi scopi espansionistici e genocidi.

Scrive Haslam: «Interi Paesi, tra cui la Polonia, la Romania e la Cecoslovacchia, furono più facilmente isolati, eliminati uno per uno e poi cancellati dalla carta geografica da Hitler, perché per ciascuno di essi il timore del dominio comunista si rivelò alla fine più grande della paura dei nazisti»

Un mese dopo l’invasione della Polonia che iniziò la seconda guerra mondiale, le truppe tedesche sfilano davanti ad Adolf Hitler e ai generali nazisti a Varsavia, Polonia, il 5 ottobre 1939. (Pubblico dominio)

A quel tempo, osserva, la minaccia dell’Unione Sovietica era ben nota, anche in Gran Bretagna. Non altrettanto «la portata e la profondità di quella che incombeva dalla […] Germania nazista».

I funzionari britannici, che si iscrivono all’economia classica, speravano di sventare le minacce del comunismo e del fascismo attraverso la pressione diplomatica e la forza britannica, il commercio internazionale; ma la Russia non si evolse come si sperava, né, del resto, la Germania nazista.

Questa insensibilità britannica persistette di fronte alle agitazioni comuniste e fasciste, nonostante la fondazione dell’Internazionale Comunista (Comintern) nel 1919 per promuovere le rivoluzioni a livello globale, con l’obbligo aggiuntivo, nel 1920, di obbedire pienamente a Mosca.

Haslam ha avuto accesso agli archivi del Comintern per il suo libro.

Nel 1921, il Comintern sostenne direttamente la fondazione del Partito Comunista Cinese, che minacciava gli interessi britannici nel Paese.

Secondo Haslam, i bolscevichi in Cina «basarono le loro attività su gruppi di discussione studenteschi già esistenti, dai quali aiutarono a costruire organizzazioni comuniste a Pechino, Shanghai, Tientsin, Canton, Hankow, Nanchino e altrove».

La propaganda sovietica si riversò in Cina, vista come l’anello debole del «capitalismo globale». Negli anni Venti ispirò disordini e rivoluzioni di varietà nazionaliste, razziali e comuniste che si sovrapponevano contro i signori della guerra e gli stranieri, compresi gli inglesi. Nazionalisti e comunisti combatterono una guerra civile in Cina tra il 1927 e il 1936, ma per il resto erano relativamente uniti nel tentativo di scacciare l’«imperialismo straniero».

Questa foto scattata nell’ottobre 1935 mostra il presidente del Partito Comunista Cinese (a sinistra) Mao Zedong e Zhu De (che verrà eliminato da Mao qualche anno dopo), nella provincia settentrionale dello Shaanxi. (Xinhua/AFP tramite Getty Images)

«Anche quando i regimi insurrezionali mostrano una ferma determinazione a minare il funzionamento dell’intero sistema internazionale, la tendenza [britannica, ndr] è sempre stata quella di supporre che il ‘buon senso’ prima o poi tornerà e riaffermerà il suo naturale dominio», scrive Haslam, che fa notare come i britannici chiamino questo atteggiamento «vigile attesa», mentre gli americani lo chiamano «pazienza strategica».

Nel 1936, «il bolscevismo era tornato in Europa, guidato dal Fronte Popolare del Comintern in Francia e Spagna», secondo Haslam. «Mussolini era ritenuto [dai funzionari britannici, ndr] fondamentalmente sano in patria, dove teneva il bolscevismo al suo posto e in prigione [il comunista italiano, ndr] Gramsci, anche se provocatorio nelle sue ambizioni estere».

«Le violazioni del Trattato di Versailles da parte di Hitler, persino la rioccupazione della Renania, erano viste [dagli inglesi, ndr] come la necessaria rettifica di recenti ingiustizie; il fascismo in Germania, come in Italia e poi in Spagna, era visto come un necessario antidoto agli eccessi rivoluzionari».

Mentre l’ex primo ministro britannico Neville Chamberlain è tipicamente ritratto come un debole, il che apparentemente lo portò a riappacificarsi con Hitler, Haslam lo ritrae come un antisemita dichiarato e un ammiratore di uomini forti come Hitler e Mussolini.

L’acquiescenza di Chamberlain nei confronti di Hitler viene dipinta non tanto come una debolezza, quanto come un accordo ideologico nascosto con il fascismo come antidoto al comunismo e come un’ignoranza razzista e intenzionale delle sue atrocità.

Nel libro compare un briefing ufficioso di Chamberlain in cui un giornalista ricorda: «Qualsiasi domanda posta sul tavolo, ad esempio, sui rapporti delle persecuzioni contro gli ebrei, sulle promesse non mantenute di Hitler o sulle ambizioni di Mussolini, riceveva una risposta su linee consolidate; era sorpreso che un giornalista così esperto fosse suscettibile alla propaganda ebraico-comunista».

Rilevanza per il mondo d’oggi

Il presidente russo Vladimir Putin e il leader cinese Xi Jinping si incontrano a Pechino il 4 febbraio 2022. (Alexei Druzhinin/Sputnik/AFP tramite Getty Images)

Oggi non sono Hitler e Mussolini a minacciare la guerra e a conquistare territori, ma Xi Jinping e Vladimir Putin. Questi ultimi sono altrettanto razzisti, ad esempio contro ucraini, uiguri e tibetani.

Data la massiccia economia cinese e l’utilizzo di sofisticate tecnologie di sorveglianza, questo rinnovato asse russo-cinese di totalitari è tuttavia probabilmente ancora più pericoloso di quelli del XX secolo.

Sia la Cina che la Russia cercano di sfruttare la polarizzazione politica negli Stati Uniti e in Europa per far sembrare il legislatore dall’altra parte del corridoio una minaccia maggiore del dittatore dall’altra parte degli oceani.

Come i paralleli sopra citati dovrebbero dimostrare, c’è di nuovo il rischio che le democrazie reagiscano in modo eccessivo alle differenze politiche interne e trasformino le proprie società in quelle a cui ora si contrappongono, caratterizzate da dittatura e guerra. Il libro di Haslam è un buon modo per ricordarci gli obiettivi comuni che abbiamo, i pericoli del comunismo e del fascismo e come queste ideologie estreme si alimentino a vicenda. Speriamo che il libro venga letto e ci aiuti a evitare entrambi i pericoli in futuro.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di The Epoch Times.

Articolo in inglese  How Communism Led to Fascism and Violence

 
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