Messi a tacere, storie di cinesi che hanno detto la verità sul virus

Di Cathy He

A partire da dicembre, il regime cinese ha messo la museruola ai cittadini che hanno tentato di dire la verità sull’epidemia del virus del Pcc, che ha avuto origine nella città di Wuhan.

Tra le persone messe a tacere vi sono medici informatori, giornalisti cittadini, studiosi e uomini d’affari.

Di seguito alcune delle loro storie.

Epoch Times si riferisce al nuovo coronavirus, che causa la malattia Covid-19, come il virus del Pcc, poiché l’insabbiamento e la cattiva gestione del Partito Comunista Cinese hanno permesso al virus di diffondersi in tutta la Cina e di creare poi l’attuale pandemia globale.

I Medici che hanno dato l’allarme

Li Wenliang

Li Wenliang, un oftalmologo di 34 anni che lavorava nell’ospedale centrale di Wuhan, è stato tra i primi a divulgare informazioni sull’epidemia che si stava diffondendo nella sua città.

«Sono stati confermati sette casi simili alla Sars legati al mercato dei frutti di mare di Huanan», aveva scritto in un gruppo di WeChat in cui erano presenti centinaia di suoi ex compagni della facoltà di medicina.

Li scriveva questo messaggio il 30 dicembre 2019, un giorno prima che le autorità sanitarie di Wuhan riconoscessero formalmente l’esistenza di una misteriosa epidemia di polmonite, continuando però a negare che la malattia fosse trasmissibile da uomo a uomo.

Nonostante il promemoria di Li, che aveva chiesto ai suoi colleghi di non «diffondere a terzi» le informazioni da lui condivise, gli screenshot della conversazione – con tanto di nome e cognome – si sono diffusi molto rapidamente nella rete. Così, il 3 gennaio, la polizia lo ha rimproverato insieme ad altri sette medici professionisti per aver diffuso «dicerie» online.

Un documento stilato dalla polizia sosteneva che Li avesse violato la legge, e continuava affermando: «Il dipartimento di pubblica sicurezza spera che lei possa collaborare in modo proattivo con il nostro lavoro, ascoltare le indicazioni della polizia e fermare le attività illegali da ora in avanti. Riuscirà a raggiungere questo obiettivo?». Il medico, messo alle strette, ha scritto «Sì» sul documento.

Zhao Chen, un collega di Li Wenliang, ha spiegato che dopo la sua convocazione da parte della polizia, il direttore del reparto ha intimato al personale sanitario di «non andare contro le autorità, non indossare mascherine, non fare commenti imprudenti». Zhao ha anche dichiarato – durante un’intervista con la stampa di regime che è stata poi cancellata – che in un primo momento l’ospedale aveva deciso di licenziare Li.

Li Wenliang. (Per cortesia di Li Wenliang)

Alcuni giorni dopo, Li ha contratto il virus mentre visitava un paziente asintomatico affetto da glaucoma. Alla fine è morto il 7 febbraio, lasciando soli una moglie incinta e un figlio piccolo. Scossi dalla sua morte, alcuni utenti cinesi hanno organizzato veglie funebri virtuali e hanno rilanciato una più ampia richiesta di libertà di parola.

Nel frattempo, almeno 200 operatori sanitari che lavoravano nell’ospedale di Li hanno contratto il virus, e tre di loro sono morti.

Il 19 marzo, la polizia di Wuhan ha ritirato la denuncia contro Li e ha presentato le proprie scuse, affermando che «trarrà una profonda lezione» dall’incidente.

Ai Fen

Ai Fen, un chirurgo d’urgenza dell’ospedale, ha poi rivelato di essere stata l’«informatrice» che ha consegnato il rapporto diagnostico a Li. Avendo compreso che il virus poteva essere contagioso, ha chiesto a tutti i medici del pronto soccorso di indossare delle maschere.

La polizia non è andata a trovare Ai, ma il chirurgo ha comunque ricevuto un «pesante richiamo, senza precedenti» dai suoi superiori.

Durante un’intervista con la rivista cinese Ritratto, ha dichiarato: «Penso a quanto sarebbe bello se potessimo tornare indietro a quel momento». Ora, infatti, la dottoressa si pente amaramente di non aver informato del pericolo un numero maggiori di medici.

«Se avessi saputo che la situazione sarebbe degenerata fino allo stadio attuale, non mi sarebbe importato nulla di essere criticata, lo avrei detto a tutti. Qualcuno deve farsi avanti e dire la verità […] Dovrebbe esserci una pluralità di voci nel mondo, giusto?»

Cittadini giornalisti

Fang Bin

Fang Bin, un commerciante di vestiti di Wuhan, ha iniziato a filmare gli ospedali alla fine di gennaio, poco dopo la messa in isolamento della città, postando poi i video online. I filmati mostravano lunghe code fuori dagli istituti, nonché pazienti in fin di vita e familiari distrutti.

In un video che è diventato virale, Fang conta otto sacchi per cadaveri ammassati in un furgone parcheggiato fuori da un ospedale. «Tanti morti», dice con un sospiro, «sono troppi». Nello stesso filmato, entra poi in una stanza dell’ospedale, dove i medici sono radunati intorno a un paziente che sembrava essere appena morto.

«Chi è?», chiede Fang a un uomo; «Mio padre», risponde l’uomo in lacrime.

Fang Bin in un video postato il 4 febbraio 2020. (Screenshot/YouTube)

Quella stessa sera, 5 o 6 uomini coperti con tute protettive hanno bussato alla porta di Fang, dicendogli che dovevano misurargli la temperatura. Fang, che ha registrato l’incidente, ha risposto che la sua temperatura era normale e ha chiesto loro di tornare con un mandato di ispezione. Ciononostante, gli uomini hanno fatto irruzione in casa sua, hanno confiscato i suoi dispositivi elettronici e lo hanno portato in una stazione di polizia. Lì la polizia lo ha interrogato sui suoi video.

Meno di due settimane dopo, Fang è scomparso definitivamente. Alcuni suoi amici hanno detto a Epoch Times che è stato arrestato.

Chen Qiushi

Chen Qiushi, un avvocato di 34 anni diventato giornalista indipendente, è arrivato a Wuhan il 24 gennaio, un giorno dopo che la città era stata posta in stato di isolamento. Armato di uno smartphone, ha dichiarato di voler documentare le storie dei residenti della città.

«Che razza di giornalista sei se non hai il coraggio di stare in prima linea?», ha dichiarato nel suo primo video a Wuhan, girato con un bastone da selfie dopo essere arrivato alla stazione ferroviaria.

In poco più di due settimane, ha pubblicato oltre 100 post sui suoi account YouTube e Twitter – entrambe piattaforme bandite in Cina – che hanno attirato milioni di visualizzazioni. Ha filmato interviste a persone del posto che avevano perso i loro cari e a pazienti ammassati su letti provvisori lungo i corridoi dell’ospedale. Ha anche filmato i cadaveri lasciati in giro nelle strutture sanitarie.

In una delle scene riprese in ospedale, una donna con una mascherina protettiva cerca di mantenere dritto il corpo di un suo familiare in sedia a rotelle, la cui testa tende a cadere verso il basso. Nel video Chen domanda alla signora: «Che problema ha il suo familiare?». La donna risponde che «è già morto».

Alla fine, il pesante lavoro ha finito per avere un impatto negativo su Chen.

«Ho paura. Davanti a me c’è il virus. Alle mie spalle c’è il potere legale e amministrativo della Cina», ha detto in un video registrato nella sua stanza d’albergo il 30 gennaio, in cui si mostra molto emozionato.

Poco prima che Chen girasse questo video, le autorità avevano molestato i suoi genitori, cercando di costringerli a rivelare dove lui si trovasse: «Non ho paura di morire – affermava Chen in lacrime dinanzi alla telecamera – Perché dovrei aver paura di te, Partito Comunista?».

Il 7 febbraio, sua madre, in un video pubblicato sul suo account Twitter, ha annunciato che Chen era scomparso il giorno precedente.

Un amico di Chen, Xu Xiaodong, un importante combattente di arti marziali miste, ha dichiarato in un video su YouTube che l’amico era stato messo in quarantena con la forza, sebbene non mostrasse sintomi della malattia.

Li Zenhua

Li Zenhua, un ex conduttore della Cctv, l’emittente televisiva statale cinese, è stato il terzo famoso video blogger ad essere arrestato nell’epicentro dell’epidemia.

«Non voglio chiudere i miei occhi e le mie orecchie […] Lo faccio in modo che più giovani come me possano farsi avanti», diceva il giornalista, di 25 anni, in un accorato discorso in diretta su YouTube, prima che la polizia facesse irruzione nella sua camera in albergo.

Li era arrivato da solo a Wuhan in treno il 12 febbraio, seguendo le tracce di Chen Qiushi e Fang Bin, che erano stati arrestati dalla polizia locale.

Nel corso delle due settimane, prima che la polizia lo prendesse, ha visitato il complesso residenziale di Baibuting (dove molti residenti hanno contratto la malattia durante un grande banchetto organizzato dalle autorità locali a fine gennaio), ha intervistato un impiegato delle pompe funebri e si è recato in una stazione ferroviaria locale, dove pare che siano rimasti bloccati molti lavoratori pendolari.

Alla fine, mentre rientrava da una visita a un laboratorio di virologia locale, si è reso conto di essere inseguito: «Sto guidando molto veloce. Ti prego aiutami», ha detto ansimante con una mascherina protettiva in volto. In effetti qualche ora dopo alcuni poliziotti in borghese hanno bussato alla porta della sua stanza.

All’inizio si è rifiutato di farli entrare. Ha acceso la telecamera e ha iniziato a parlare delle proteste studentesche di piazza Tienanmen del 1989 in favore della democrazia, che sono terminate in modo sanguinoso dopo che Pechino ha sguinzagliato militari e carri armati contro gli studenti. Li si è lamentato dell’ignoranza dei giovani cinesi a proposito della storia recente, essendo le proteste un argomento fortemente censurato in Cina.

«Sento che è improbabile che io non venga portato via e messo in quarantena. Ma voglio che sia chiaro: non mi vergogno davanti a me stesso, né ai miei genitori, né all’Università della Comunicazione della Cina dove mi sono laureato, né davanti a questo Paese», ha dichiarato poco prima di aprire la porta per far entrare la polizia. Gli agenti gli hanno confiscato il telefono e il portatile e hanno interrotto il collegamento.

Uomini d’affari

Ren Zhiqiang

Soprannominato dai media cinesi ‘il cannone’ per via delle sue critiche feroci e senza riserve, il magnate cinese dell’immobiliare Ren Zhiqiang, di 69 anni, è scomparso alcuni giorni dopo aver preso di mira il regime di Pechino.

Con un pungente articolo pubblicato online all’inizio di marzo, ha criticato le autorità per il modo in cui hanno gestito l’epidemia e per la censura delle informazioni su internet.

«Questa epidemia di polmonite di Wuhan ha fatto emergere la realtà: quando tutti i media ‘assumono il cognome del Partito’, vuol dire che il popolo è stato abbandonato. Senza mezzi di comunicazione che rappresentino gli interessi della gente e riferiscano la verità, le persone sono lasciate a subire i danni sia del virus che di un sistema gravemente malato».

Ren ha criticato il Partito Comunista Cinese per aver elogiato i propri risultati durante una teleconferenza tenutasi a febbraio con i massimi dirigenti del Partito: «La verità emersa durante l’epidemia è che il Partito sta difendendo solo i suoi interessi. Non c’è stata alcuna indagine sulle cause dell’epidemia, nessuno ha riflettuto e si è assunto la responsabilità. Al contrario, si cerca di coprire la verità con ogni genere di ‘grandi risultati’».

Alla fine, a partire dal 12 marzo, Ren è diventato irreperibile.

Il magnate non è l’unico ad essere stato recentemente punito per aver criticato la risposta delle autorità all’epidemia. Xu Zhangrun, studioso di diritto della prestigiosa università di Tsinghua, è stato messo agli arresti domiciliari dopo aver pubblicato all’inizio di febbraio un articolo, intitolato Le persone arrabbiate non hanno paura, che denunciava l’ipocrisia del regime.

Nell’articolo il professore ha scritto: «La verità è che l’attuale livello di rabbia popolare causato dalla gestione dell’epidemia è vulcanico; delle persone così infuriate possono, alla fine, anche mettere da parte le proprie paure».

 

Articolo in inglese: Silenced: Stories of Citizens Suppressed for Speaking the Truth About the CCP Virus

 
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