Cina «sempre più disperata» taglia i tassi di interesse

Secondo le ultime cifre del Pil cinese, tutto sembra andare nel verso giusto per l’economia cinese: il Pil sta crescendo del 6,9 per cento, molto più velocemente che in Europa o negli Stati Uniti.

Quindi, perché la Banca Popolare Cinese (PBOC) ha tagliato i tassi d’interesse per la sesta volta in un anno? Forse perché le cose non stanno andando così bene. In effetti l’ultimo taglio dello 0,25 per cento nel tasso d’interesse (che ha raggiunto il 4,35 per cento, nuovo recordo al ribasso) e gli interessi sui depositi (che ha toccato l’1,5 per cento), conferma una politica monetaria che non si era vista dall’ultima crisi finanziaria. Ancora altri tagli e la Cina si unirà al club a zero interessi del quale fanno parte Giappone, Europa e Stati Uniti.

La Cina è «sempre più disperata» e «le cose stanno andando di male in peggio», ha detto Vikas Gupta, vicepresidente esecutivo presso il Fondo di investimento Arthveda di Mumbai.

Tanto per essere sicuri, la Cina ha anche abbassato il coefficiente di riserva (la quantità di denaro che le banche devono tenere presso la Banca centrale e non possono prestare) dello 0,5 per cento, raggiungendo il 17,5 per cento.

Ma perché va così male? È la conferma che la crescita sta rallentando, scendendo più in basso del 6,9 per cento che è stato reso pubblico e che la transizione verso una economia di consumo, della quale tanto è stato detto, non sta accadendo.

Un altro segnale negativo è dato dal fatto che i precedenti tagli ai tassi non hanno prodotto gli effetti sperati. In ultimo, ma non meno importante, è la prova che una quantità maggiore di capitale sta volando via dal Paese, e la Cina ha la necessità di stampare moneta per compensare questo prosciugamento. Gli investitori, sia cinesi che internazionali, hanno ritirato qualcosa come 850 miliardi di dollari al settembre 2015.

Finora la Cina ha stabilizzato il tasso di cambio – tenuto sotto pressione dalla fuoriuscita di capitale – grazie alle vendite effettuate dal Ministero. Causando un effetto deflazionistico e anti crescita sull’economia.

«Quando il Ministero dell’Economia vende, vende dollari americani, si prende i renminbi indietro e poi li immette nell’economia», afferma Evan Lorenz nel suo commento al giornale Grant’s Interest Rate Observer. Questo succede perché la valuta cinese, il renminbi, proviene da un mercato privato gestito e mantenuto in equilibrio dalla Banca Popolare Cinese.

Quindi, per compensare l’effetto deflazionistico, la PBOC deve attenuare le condizioni interne, il che è qualcosa che ha appena fatto. Problema: abbassare i tassi e stampare moneta crea ulteriore pressione sulla valuta e peggiora la fuga di capitali. «Se dovessero abbassare i tassi in modo massiccio, ciò aumenterebbe la pressione, e di conseguenza il Tesoro dovrebbe continuare a vendere», ha aggiunto Lorenz. «Sarebbe controproducente». Esattamente quello che sembra stia accadendo in questo momento.

Il Paese sta soffrendo per il cosidetto trilemma monetario, nel quale non si può avere una valuta stabile, una politica monetaria interna indipendente e libertà di movimento dei capitali.

Eppure la Cina non vuole solo una fetta della torta:

  • Valuta stabile: in passato ha aiutato a promuovere l’export, adesso vi è la necessità di stabilizzarla per evitare che i capitali prendano altre strade.

  • Politica monetaria interna indipendente: è richiesta per stimolare un’economia che sta rallentando.

  • Libertà di movimento dei capitali: qualcosa che al momento è ancora precluso. La Cina ha bisogno di aprirsi se vuole che il renminbi possa competere con il dollaro come riserva di valuta. D’altra parte vuole evitare che il pubblico possa spostare il denaro troppo velocemente.

«Alla fin fine possono decidere, se le cose si fanno abbastanza disperate, di abbandonare una valuta stabile e allentare la presa sull’economia domestica. Ma la conseguenza è che parte del capitale fuoriuscirà», sostiene Lorenz.

 

 
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