La Cina contro i social media, solo «dicerie» e «false notizie»

L’uso dei social media come fonte di notizie è ormai un’abitudine in Italia. I feed di Twitter abbelliscono frequentemente le homepage dei siti web di informazione, e le segnalazioni provenienti da Facebook appaiono spesso nei reportage televisivi. Ma, in Cina, tutto questo non è permesso.

Il Partito Comunista Cinese ha emanato una nuova normativa che etichetta le informazioni provenienti dai social media come «false notizie» e «dicerie». Di fatto, proibisce l’uso di queste piattaforme come fonte d’informazione, per paura che vengano fuori notizie scomode: un gran numero di siti di informazione, in effetti, sono già stati sanzionati.

La normativa è apparsa pochi giorni dopo la nomina del nuovo zar di internet, Xu Lin. Il suo predecessore, Lu Wei, aveva supervisionato al blocco dei servizi di Google e al suo ritiro dalla Cina. E Xu sembrerebbe ora intenzionato ad alzare nuovamente il tiro.

Il 3 luglio l’Amministrazione del Cyberspazio della Cina ha rilasciato il comunicato con la nuova normativa, nel quale si afferma: «È severamente vietato ai siti web di falsificare o non identificare la fonte delle notizie e di utilizzare immaginazioni o dicerie per inventare o distorcere dei fatti».
Il comunicato sembrerebbe suggerire che i social media possono essere utilizzati, a condizione che le informazioni vengano verificate. Allo stesso tempo però, sono gli organi del regime che decidono cosa è ‘verificato’ e cosa non lo è.

L’Amministrazione del Cyberspazio, nello stesso comunicato, dichiara che un grande numero di profili e siti web che hanno fatto circolare ‘false’ informazioni sono stati sanzionati. Fra questi risultano portali come Sina, Phoenix, Tencent e NetEase.

Wang Sixin, professore presso l’Università della Comunicazione Cinese, su un sito web controllato dalla Commissione Centrale del Partito, ha dichiarato: «Queste misure dell’Amministrazione del Cyberspazio Cinese mostrano il punto di vista e l’opinione del governo e sono di avvertimento per i siti web e le imprese che vendono notizie».

I critici hanno interpretato la direttiva come un’ulteriore colpo alla già limitata libertà di stampa in Cina. Zhu Xinxin, un membro del Centro delle Penne Indipendenti della Cina, una rete di scrittori, ha dichiarato a Radio Free Asia: «Quello di cui hanno più paura è che i media si allontanino dal loro controllo».
«Possiamo notare che i siti web sottoposti a una sanzione correttiva sono dei media standard», ha spiegato Zhou, riferendosi a dei portali che sono ancora fortemente influenzati dallo Stato: «Praticamente utilizzano la censure di false notizie a loro scomode, su certi media, come giustificazione per impedire la libertà di informazione su tutti gli altri media».

La normativa ha innescato un’ampia discussione da parte degli utenti di internet poiché attualmente nessuno di essi, secondo la nuova disposizione, ha la possibilità di essere citato in una notizia giornalistica.

‘Hunan tumbler’ un insoddisfatto utente di Sina Weibo ha domandato ironicamente: «Così andrà bene prendere semplicemente come linee guida l’Agenzia Giornalistica Xinhua e il People’s Daily e trasmettere solamente le loro notizie?»

«Non è apparso prima di tutto sui social media il caso di Lei Yang?», ha scritto un altro utente, riferendosi alla morte in prigione di un’insegnante universitaria, che ha provocato la mobilitazione online di un gruppo di ex studenti e successivamente attratto l’attenzione dei media, forzando solo allora l’intervento dell’autorità. Senza la pressione dell’opinione pubblica, è possibile che i responsabili per la morte di Lei Yang non sarebbero stati puniti. L’utente ha continuato: «In alcuni casi i social hanno lavorato nel retroscena, portando la pressione della massa sui media, trasmettendola poi alle istituzioni, sollecitando quindi l’applicazione della legge e la presa di responsabilità».

Un altro utente ha scritto: «Il cyberspazio cinese sta imitando il modello nord-coreano, isolandoci dal mondo».

La nuova normativa è la più recente misura del Partito Comunista Cinese volta a controllare il ruolo che i nuovi media – difficilmente tracciabili e censurabili a causa della loro capillarità e velocità – giocano nella situazione di scarsa libertà d’espressione in Cina. 

Articolo in inglese: http://www.theepochtimes.com/n3/2107955-fake-news-from-social-media-now-banned-in-china/

 
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