Cina, l’assenza dei diritti umani deve essere continuamente denunciata

Di Stu Cvrk

La propaganda dei media cinesi del Pcc che si vanta del ‘rispetto dei diritti umani’ è infinita e fastidiosa.

«Le idee, le misure e le pratiche della Cina nel rispetto e nella protezione dei diritti umani possono offrire ispirazione al resto del mondo», questa è una delle continue affermazioni assurde e palesemente false, e fa sì che ci si chieda se i redattori di testate come il China Daily riescano a mantenere la faccia seria quando pubblicano tali sciocchezze.

Le sofferenti minoranze etniche e religiose cinesi si sentono forse «ispirate» da decenni di implacabile persecuzione da parte del Partito Comunista Cinese (Pcc)?

È opportuno ricordare che rispondere alla propaganda comunista cinese con i fatti è un elemento critico del contrastare la guerra psicologica che il Pcc sta perpetrando contro il resto del mondo.

Il contesto

Quali sono i diritti umani fondamentali? Ecco un breve elenco tratto dal corpo di Human Rights World, particolarmente pertinente alla Cina comunista e coerente con la Dichiarazione universale dei diritti umani redatta dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948:

Diritto alla vita e alla libertà;

Libertà dalla schiavitù, dalla tortura e dai trattamenti inumani;

Libertà di opinione e di espressione;

Diritto alla privacy (protezione dalla sorveglianza eccessiva);

Diritto alla libertà di pensiero, religione, opinione ed espressione;

Il bilancio del regime cinese nel garantire questi diritti umani fondamentali è criminale. Non c’è altro modo per dirlo, e questo bilancio è stato atroce fin dall’inizio del controllo del Pcc sulla Cina, nel 1949.

All’inizio degli anni Cinquanta, il Pcc ha espropriato con la forza le proprietà di decine di milioni di persone durante la transizione del Paese verso un sistema socialista.

A metà degli anni Cinquanta, l’allora leader del Pcc Mao Zedong lanciò la campagna anti-destra, che portò all’epurazione e alla rieducazione forzata di circa 550 mila funzionari minori, intellettuali, accademici e altri.

Alla fine degli anni Cinquanta, Mao istituì il Grande balzo in avanti (1958-1961), finalizzato alla «rapida industrializzazione e collettivizzazione» dell’economia cinese. Gli sconvolgimenti che ne derivarono portarono alla Grande carestia cinese e a un numero di morti stimato tra 18 e 55 milioni di persone.

Alla fine degli anni Sessanta, l’ultima delle iniziative criminali di Mao perpetrate contro il popolo cinese fu la Grande rivoluzione culturale proletaria (1966-1971). Il paranoico Mao puntò la repressione contro i nemici interni, allo scopo di epurare la Cina e il Pcc da capitalisti, dai tradizionalisti (sostenitori della dinastia, buddisti, confuciani, ecc.) e altri cosiddetti nemici del Pcc. Gli abusi comprendevano umiliazioni pubbliche, imprigionamenti arbitrari, torture, molestie prolungate, sequestri di proprietà e lo spostamento di 17 milioni di giovani cinesi dalle aree urbane a quelle rurali attraverso il ‘Movimento su per la montagna e giù in campagna’.

Parallelamente alle suddette violazioni dei diritti umani, il Pcc ha attuato una politica di rieducazione di tutti i gruppi etnici minoritari in Cina perché diventassero dei cinesi Han stereotipati: le loro lingue e culture native sono state brutalmente soppresse dal Pcc.

I tibetani sono stati tra i primi gruppi minoritari a soffrire di questa campagna. «Secondo l’amministrazione centrale tibetana, “i tibetani non sono stati solo fucilati, ma anche picchiati a morte, crocifissi, bruciati vivi, annegati, mutilati, affamati, strangolati, impiccati, bolliti vivi, sepolti vivi, sgozzati e decapitati”», secondo quanto pubblicato su Tibet Post.

Le orribili azioni del Pcc hanno provocato la morte di circa un milione e 200 mila tibetani dal 1950, il saccheggio e la distruzione di 6.000 monasteri, templi e strutture storiche in Tibet e la colonizzazione del Tibet da parte di oltre 8 milioni di cinesi per garantire la dominazione cinese Han della cultura tibetana.

Il genocidio culturale in Tibet è stato esteso ad altri gruppi minoritari in Cina, tra cui i buddisti mongoli, i musulmani uiguri e gli aderenti al Falun Gong. Un milione degli 11 milioni di uiguri dello Xinjiang sono stati imprigionati nei cosiddetti campi di rieducazione sotto l’attuale leader del Pcc, Xi Jinping. Nel gennaio 2021, il Dipartimento di Stato americano ha definito la persecuzione e l’abuso degli uiguri da parte del Pcc come genocidio.

Le continue violazioni dei diritti umani citate – e molte altre persecuzioni, detenzioni illegali e torture – sono state ampiamente condannate dai governi e dalle organizzazioni internazionali che monitorano le violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. Un piccolo campionario comprende quanto segue:

La Human Rights Foundation, senza scopo di lucro, ha pubblicato una relazione del 2021 intitolata «100 anni di repressione», che valuta le tattiche di repressione del Pcc nella regione dello Xinjiang, in Tibet e a Hong Kong.

La Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (Uscirf) ha condannato la persecuzione dei monaci buddisti tibetani da parte del regime cinese nel 2008.

L’Organizzazione mondiale contro la tortura (Omct) ha condannato «la mancata firma da parte della Cina dei protocolli opzionali della Convenzione contro la tortura e la mancata prevenzione della detenzione arbitraria, della tortura e dell’uccisione di prigionieri».

Nel 2020, trentanove Paesi hanno condannato gli abusi contro gli uiguri; quest’anno il numero è salito a cinquanta.

Nel luglio 2021, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha aggiunto 14 aziende cinesi alla lista degli enti complici della «campagna di repressione, detenzione di massa e sorveglianza ad alta tecnologia di Pechino contro gli uiguri, i kazaki etnici e altri membri di gruppi minoritari musulmani nello Xinjiang», secondo un rapporto del Dipartimento di Stato.

Human Rights Watch (Hrw) continua a condannare l’oppressione cinese nelle sue relazioni annuali.

Reazioni del popolo

La sensibilità cinese alle suddette condanne delle violazioni dei diritti umani cinesi non può essere sottovalutata, poiché i rapporti internazionali colpiscono il cuore dei tentativi decennali del Pcc di stabilire la legittimità del regime. Dopo tutto, queste palesi violazioni dei diritti umani non sono azioni di governi legittimi.

I diplomatici e i media statali cinesi hanno cercato di riflesso di negare, deviare, spostare la colpa e persino ridefinire i diritti umani fondamentali, creandone di alternativi «con caratteristiche cinesi». Un esempio lo è un articolo intitolato ‘La Cina assicura la protezione dei diritti umani’. Si tratta di una bugia spudorata di fronte alle relazioni sulle violazioni dei diritti umani in Cina, per non parlare delle atrocità storicamente documentate commesse durante l’era di Mao Zedong!

L’articolo del China Daily citato sopra è solo l’ultimo tentativo di affermare che la Cina comunista è un «faro» per lo sviluppo dei diritti umani. Due punti di quell’articolo sono assurdi. Il primo cita una relazione congiunta della Fondazione Cinese per lo Sviluppo dei Diritti Umani e della Nuova Ricerca sulla Cina, che fa parte dell’agenzia di stampa Xinhua (!) che sostiene che «la visione della Cina sui diritti umani è stata continuamente arricchita e migliorata nella pratica, con le proprie prospettive e connotazioni ideologiche, sulla base delle condizioni reali del Paese». Si tratta di un tipico discorso comunista senza alcuna specificità: di certo nulla che riguardi specificamente i diritti umani fondamentali sopra elencati. Questa argomentazione circolare da parte di un’entità controllata dai comunisti implica che i diritti umani stiano migliorando in Cina, quando gli uiguri, i tibetani e altre minoranze perseguitate sanno diversamente per esperienza diretta.

La seconda voce cita l’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, che «ha mostrato che la Cina è passata da un punteggio di 0,499 nel 1990 a 0,761 nel 2019, elevando la nazione nella fascia dei Paesi ad alto sviluppo umano».

Si tratta di un tipico gioco di prestigio comunista, poiché l’Isu non ha nulla a che fare con i diritti umani. L’Onu definisce l’Isu come una misura di tre fattori: «una vita lunga e sana, la conoscenza e un tenore di vita decente». Non riflette sulle disuguaglianze, sulla povertà, sulla sicurezza umana, eccetera. O su qualsiasi misura che quantifichi e valuti i diritti umani fondamentali della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite.

Riflessioni conclusive

Sebbene gli osservatori della Cina siano ben consapevoli dei trucchi, delle bugie e della propaganda del comunismo cinese su un’ampia gamma di argomenti, tra cui i diritti umani di base e i genocidi culturali istigati dal Pcc, è importante giocare ad ‘acchiappa la talpa’ per contrastare tutte le dichiarazioni propagandistiche dei media cinesi gestiti dal Pcc ogni volta che vengono fatte.

Il Pcc è impegnato in una guerra psicologica aperta contro il mondo e deve essere contrastato in ogni occasione per rincuorare le minoranze oppresse e per informare la gente comune della verità sulle violazioni dei diritti umani in Cina.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

Articolo in inglese: Chinese Human Rights Propaganda Must Be Continually Exposed

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