Churchill, Reagan, Trump e la percezione del male

Nel corso della storia, e soprattutto nella storia recente, le nazioni democratiche oscillano come un pendolo tra idealismo e realismo.

La necessità di perseguire entrambi può essere ricondotta a quelle che sono le elezioni e un governo parlamentare. Una politica basata sull’idealismo o sul realismo non può essere condotta a lungo termine poiché entrambi si dimostrano troppo gravosi per un popolo e troppo dannosi per il mondo.

Un idealista vede il mondo attraverso una lente che riflette le cose migliori dell’umanità, mentre un realista vede attraverso una lente che riflette tutto ciò che è peggiore. Si può dire che è come guardare a un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto: uno guarda al contenuto con speranza, l’altro con sospetto.

Tuttavia, se il contenuto del bicchiere è effettivamente cattivo, il realismo è la lente con cui una nazione dovrebbe guardare le cose.

Molto probabilmente, Winston Churchill e Ronald Reagan sono stati due grandi realisti del 20° secolo, perché mentre molti altri evitavano il male, loro lo denunciavano, audacemente e senza esitazione, come se fossero stati dotati dal Creatore di una capacità innata di percepirlo.

Winston Churchill

Nel 1919 Churchill sapeva cosa fosse il bolscevismo, come molti altri che a quel tempo stavano iniziando a conoscerlo, con una differenza principale: la sua capacità di stare in una posizione di potere e parlarne apertamente.

La sua padronanza della lingua inglese ha sempre lasciato un segno indelebile sugli ascoltatori, soprattutto quando parlava dei mali del mondo. Durante la Conferenza di pace di Parigi, etichettò in modo perspicace e accurato il bolscevismo, come una «malattia» e una «pestilenza». Definì i bolscevichi una «lega di falliti, criminali, morbosi, squilibrati e sconvolti».

Il 6 novembre del 1919, davanti alla Camera dei Comuni, la sua vivida descrizione del ritorno di Vladimir Lenin in Russia dalla Svizzera non può essere dimenticata: «Lenin è stato inviato in Russia dai tedeschi nello stesso modo in cui si potrebbe inviare una fiala contenente una coltura di tifo o colera da versare nella riserva idrica di una grande città, e ha funzionato con incredibile precisione».

La singolare descrizione di Lenin fatta da Churchill si adatta perfettamente a quella di uno psicopatico, un termine psicologico che è stato coniato solo di recente: «Implacabile vendetta, che sorge da una pietà congelata sotto un manto di tranquillità, ragionevolezza, concretezza e buon umore! La sua arma, la logica; il suo umore, opportunista; le sue simpatie, fredde e ampie come l’Oceano Artico; i suoi odi, stretti come il cappio del boia. Il suo scopo, salvare il mondo; il suo metodo, farlo esplodere. Principi assoluti, ma pronti a cambiarli. Capace di uccidere o imparare all’istante; sventure e ripensamenti; ruffianesimo e filantropia. Ma un buon marito, un gentile ospite; felice, ci assicurano i suoi biografi, di lavare i piatti o cullare un bambino; si diverte lietamente tanto a inseguire un gallo cedrone quanto a massacrare un imperatore».

Sebbene il mondo fosse diffidente nei confronti di Hitler e si preferisse la pace alla guerra, le nazioni mantennero il silenzio, ma la capacità di Churchill di parlare apertamente del male, non vacillò nemmeno sotto la minaccia del Fuhrer.

Nel maggio del 1935, Reeves Shaw, direttore della rivista The Strand, si rivolse a Churchill per chiedere la sua valutazione su Hitler e gli chiese di essere «il più esplicito possibile» e «assolutamente sincero nel giudizio sui suoi metodi». Il suo articolo è stato pubblicato poco più di un anno dopo la Notte dei lunghi coltelli, quando Hitler ordinò l’assassinio di 200 membri del suo esercito, in soli tre giorni.

Ha scritto: «La storia si riferirà ad Hitler come a un mostro o un eroe.[…] Se, dato che la storia è incompiuta, perché, in effetti, i suoi capitoli più fatidici devono ancora essere scritti, saremo costretti a soffermarci sul lato oscuro del suo lavoro e della sua dottrina, non dobbiamo però mai dimenticare né smettere di sperare in una luminosa alternativa».

Ciò che fu ancora più agghiacciante, se non più accurato, fu la sua valutazione del popolo tedesco dopo questo massacro: «Ma la cosa sorprendente è che il grande popolo tedesco, educato, scientifico, filosofico, romantico […] non solo non ha risentito di questo orribile bagno di sangue, ma lo ha approvato, acclamando il suo autore con gli onori, non solo di un sovrano, ma quasi di un dio. Ecco il terribile fatto, davanti al quale ciò che resta della civiltà europea deve chinare la testa per la vergogna, e per di più, a tutti gli effetti, per la paura».

Tre anni dopo, quando il primo ministro Neville Chamberlain tornò da una conferenza con Hitler, il dittatore italiano Benito Mussolini, dichiarò: «Miei buoni amici, per la seconda volta nella nostra storia, un primo ministro britannico è tornato dalla Germania portando la pace con onore. Credo che sia pace per i nostri tempi […] Andate a casa e godetevi un bel sonno tranquillo».

Un anno dopo, la Germania invase la Polonia, portando la Francia a dichiarare guerra alla Germania; la Francia sarebbe caduta sotto la Germania mesi dopo. Chamberlain, l’idealista, fu estromesso e il popolo britannico rivolse le sue speranze al realismo.

Ronald Reagan

La caduta di Germania e Giappone ha favorito l’ascesa delle nazioni comuniste, in particolare Urss e Cina comunista. Nel febbraio del 1946, appena sei mesi dopo la fine della seconda guerra mondiale, i contenuti del ‘lungo telegramma’ di George Kennan diedero inizio alla politica di contenimento del mondo occidentale. Il mese seguente, Churchill tenne il suo discorso sulla cortina di ferro al Westminster College di Fulton, nel Missouri.

«Da Stettino nel Baltico fino a Trieste nell’Adriatico, una cortina di ferro è scesa in tutto il continente […] Da quello che ho visto dei nostri amici e alleati russi durante la guerra, sono convinto che non ci sia nulla che ammirino tanto quanto la forza, e non c’è nulla per cui abbiano meno rispetto che per la debolezza militare».

Il suo consiglio si è rivelato veritiero. Indipendentemente da ciò, nel 1950, gli Stati Uniti avevano ridotto la loro forza militare a meno del 10 percento di quello che era stato nel settembre del 1945. La massiccia riduzione si rivelò fatale all’inizio della guerra di Corea. L’idea che il mondo avesse finalmente raggiunto «una pace per i nostri tempi» non era più vera di quando Chamberlain la proclamò per la prima volta.

I presidenti Harry S. Truman, Dwight D. Eisenhower, John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, Richard M. Nixon, Gerald Ford e Jimmy Carter hanno ereditato la politica di contenimento che è diventata sempre più debole in ogni amministrazione. La stanchezza causata dalla guerra del Vietnam e la sua cattiva gestione hanno spianato la strada all’idealista Carter, che ha abbracciato l’idealismo finale: il socialismo. Nel periodo della sua carica ha dimostrato che il percorso di minor resistenza, in particolare con l’Iran, era il percorso più costoso.

Ronald Reagan era un realista, che sapeva individuare non solo il nemico all’estero, ma anche il nemico all’interno. Nel suo discorso del 1964, A Time for Choosing (Il momento di scegliere), affermò con forza: «Siamo in guerra con il nemico più pericoloso che abbia mai affrontato l’umanità nella sua lunga scalata dalla palude alle stelle. Si dice che se perdiamo quella guerra, perdiamo il modo di ottenere la nostra libertà e la storia registrerà con il massimo stupore che quelli che avevano più da perdere abbiano fatto il minimo per impedire che ciò accadesse».

Sedici anni dopo, sarebbe diventato presidente, con grande dispiacere degli idealisti. È stato un ‘anticonformista’ che rischiava di far estinguere il genere umano. Parlava duramente e senza esitazione dell’Unione Sovietica.

Nel suo discorso del 1983 alla National Association of Evangelicals, ha definito l’Unione Sovietica «il centro del male nel mondo moderno» e «l’impero del male». Ha quindi diretto l’attenzione sul popolo americano.

«Se la storia insegna qualcosa, insegna che la pacatezza semplice o il pio desiderio nei confronti dei nostri avversari è una follia. Significa il tradimento del nostro passato, lo sperpero della nostra libertà».

Più tardi nello stesso anno, i piloti militari sovietici abbatterono il volo 007 della Korean Air Lines, uccidendo 269 persone. Reagan non si trattenne affatto nel suo condannare l’atto e il regime stesso: «È stato un atto di barbarie, nato da una società che ignora ostinatamente i diritti individuali e il valore della vita umana e cerca costantemente di espandersi e dominare le altre nazioni».
«Non dovremmo essere sorpresi da una brutalità così disumana».

Reagan capì che le persone dietro al governo e l’ideologia che avevano abbracciato erano la stessa cosa. Qualunque barbarie mostrata non sarebbe e non poteva essere una sorpresa per Reagan; o si sarebbe trattato di idealismo.

La vera sorpresa è arrivata con l’ascesa di Mikhail Gorbaciov, un uomo con il quale Reagan poteva finalmente lavorare e comunicare, parlandogli direttamente in numerose occasioni, ma mai così efficacemente come quando lo faceva in sua assenza.

Dinanzi alla Porta di Brandeburgo a Berlino Ovest, nel giugno del 1987, Reagan pronunciò uno dei discorsi più potenti e più iconici mai pronunciati da un presidente o da qualsiasi altro leader.

Ha parlato di speranza e possibile libertà, ha parlato di come il mondo abbia voltato pagina migliorandosi, lasciandosi alle spalle l’Unione Sovietica. La sua retorica era diversa, eppure la stessa; non era combattivo, ma risoluto: era un invito a unirsi al resto del mondo.

Per decenni, questi due Paesi avevano visto solo il peggio l’uno dell’altro, ma ora Reagan stava ponendo sopra la testa dei sovietici, e di Gorbaciov soprattutto, un’idea idealistica. Sperava che Gorbaciov avrebbe guardato al contenuto del bicchiere americano con speranza e non con sospetto.

La cosa interessante è che la parte più impegnativa del suo discorso non era alla fine, ma nel mezzo: questo ha dimostrato un senso di sincerità, anziché la volontà di un finale ad effetto.

Con il muro di Berlino alle spalle, Reagan rese il suo invito: «Segretario generale Gorbaciov, se cerca la pace, se cerca la prosperità per l’Unione Sovietica e l’Europa orientale, se cerca la liberalizzazione, venga qui a questa porta. Signor Gorbaciov, apra questo cancello! Signor Gorbaciov, abbatta questo muro!»

Il muro di Berlino fu demolito due anni dopo.

Donald Trump

Lo stesso anno in cui Reagan fece quel discorso, fu pubblicato The Art of the Deal (L’arte dell’accordo), di Donald Trump. Quando l’Urss cadde in rovina, la Cina iniziò la sua ascesa. Mentre il Partito Comunista Cinese ha continuato a intimidire, se non dominare, altre nazioni, in particolare nel sud-est asiatico, il suo dominio è rimasto indiscusso. Nonostante la minaccia cinese abbia suscitato l’allarme della comunità dell’intelligence, i leader non si sono preoccupati.

Trump ha parlato delle violazioni dei diritti umani e dei comportamenti caotici di determinati regimi: durante i suoi discorsi alle Nazioni Unite, è arrivato al punto di chiamare rispettivamente i regimi di Iran e Corea del Nord «omicidi» e «depravati».

Di fronte alle Nazioni Unite, ha minacciato che se l’America fosse costretta a difendere se stessa o i suoi alleati, non avrebbe «alcuna scelta se non quella di distruggere totalmente la Corea del Nord». Nel 2017 ha dichiarato che «il rocketman [Kim Jong-un] è in missione suicida per se stesso e il suo regime».

Ha condannato il regime iraniano definendolo una «dittatura corrotta dietro la falsa maschera di una democrazia», ​​ha sostenuto chi lo contestava e ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo nucleare iraniano. Le sue dichiarazioni verso la Siria e il regime di Assad non sono state molto diverse e tutto ciò è stato supportato da un qualche tipo di azione militare.

Sulla Cina, tuttavia, c’è un tono diverso, che continua a venire giudicato e osservato sia da sinistra che da destra. L’intervento di Trump più vicino a denunciare le violazioni dei diritti umani in Cina, è stato quando ha espresso sgomento sul fatto che «alcuni governi con vergognose violazioni dei diritti umani siedano al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite». Ci sono 47 Stati nel consiglio dei diritti umani, di cui numerosi possono rientrare in questa descrizione.

Non vi è dubbio che la Cina e gli Stati Uniti siano le due grandi potenze del mondo. Su larga scala, tuttavia, pochi regimi al mondo esercitano più violazioni dei diritti umani rispetto alla Cina.

Una domanda a cui vale la pena interrogarsi è se il leader del mondo libero veda il contenuto del bicchiere cinese con speranza o con sospetto. Da quando è diventato presidente, è sembrato optare per la prima, sebbene la recente epidemia di Covid-19 possa averlo cambiato.

Trump ha continuato ad attaccare la Cina da un punto di vista economico, anche se resta da vedere se le ritorsioni economiche contro il Partito Comunista Cinese avranno successo laddove le parole non arrivano.

Ogni leader nel corso della storia ha avuto il proprio nemico; alcuni li conquistano, altri non ci riescono. Alcuni non ci provano nemmeno, ma indubbiamente, il Partito Comunista Cinese è uno dei grandi mali di questo mondo.

La domanda non è se Trump sia un idealista come Chamberlain o Carter, la domanda è se può salire al livello di Churchill o Reagan.

 

Dustin Bass è il co-fondatore di The Sons of History, una serie di YouTube e podcast settimanali sulla Storia. È un ex giornalista diventato imprenditore e un autore.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

Articolo in inglese: Churchill, Reagan, and Trump, and the Perception of Evil

 
Articoli correlati