Che cosa succede quando un Paese si libera dal comunismo?

Di Daniel J. Mitchell

 

Nel corso del 2017, ricordato per il centesimo anniversario della presa di potere comunista in Russia, si è parlato spesso delle innumerevoli vittime di questa ideologia. Gran parte dei vecchi Paesi comunisti hanno celebrato la liberazione da questo sistema di asservimento e, dopo quasi tre decenni dalla caduta della Cortina di ferro, quelli che hanno reso più libero il proprio sistema politico stanno meglio.

James Gwartney e Hugo Montesinos, dell’Università statale della Florida, hanno analizzato l’andamento economico tra il 1995 e il 2015 negli ex Paesi del blocco sovietico, chiamati anche ‘ex Paesi a pianificazione centrale’ (Appc).
Secondo gli studi dei due esperti, più i Paesi si allontanano dalla pianificazione centrale, più progrediscono economicamente. Un dato rispecchiato dall’Indice della libertà economica nel mondo (Economic Freedom of the World index (Efw), pubblicato dall’associazione di esperti canadesi del Fraser Institute. Questo indice valuta la libertà economica nei cinque principali settori: politica fiscale, commercio, politica monetaria, legislazione e ambito giuridico.

Gwartney e Montesinos scrivono: «Tra il 1995 e il 2015, il bilancio delle prestazioni economiche nei Paesi Appc è stato impressionante, soprattutto nei sette di questo gruppo che hanno progredito nella liberalizzazione economica: in quegli anni infatti, la media annuale del Pil reale per abitante è aumentata del 5 percento. In sei di questi, nei due decenni, lo stesso Pil è più che raddoppiato. Nel 2015 i sette paesi, Georgia, Estonia, Lituania, Lettonia, Romania, Armenia e Albania, hanno complessivamente superato di 7,5 punti l’indice della libertà economica in tutto il mondo».

Questo punteggio si avvicina a quello degli Stati Uniti (7,94 percento) e non è distante da quello di Hong Kong (8,97), il più alto secondo l’indice Efw.

Considerato che i Paesi del gruppo Appc hanno iniziato a svilupparsi da una base economica relativamente bassa, hanno progredito a una velocità tre volte superiore rispetto ai Paesi europei ad alto reddito. Questo fenomeno è chiamato ‘convergenza’.
Tuttavia, una convergenza veloce non si verifica se non è accompagnata da adeguate politiche governative; infatti il tasso di crescita è inferiore dove la politica è meno liberista.

Così, in vent’anni, il Pil pro capite è aumentato annualmente del 4,54 percento nei Paesi che favoriscono il libero scambio e il libero accesso al mercato. Mentre nei Paesi che adottano una politica meno liberista, è cresciuto del 3,3. Di conseguenza, scrivono Gwartney e Montesinos, i redditi nei Paesi relativamente più liberi sono aumentati più rapidamente, ponendosi alla pari con i maggiori europei. E precisano: «Il rapporto tra il Pil medio per abitante nel gruppo dell’Appc a economia liberista e quello a reddito elevato, è più che raddoppiato, passando dal 19,9 percento del 1995 al 40,6 nel 2015».

Sono andati particolarmente bene la Georgia e i Paesi Baltici, aumentando il reddito medio, rispetto a quello delle principali economie occidentali, dal 6,7 al 20,3 percento la Georgia, e dal 33 al 61,6 percento l’Estonia. La Polonia e la Slovacchia, nonostante un punteggio Efw leggermente inferiore, stanno crescendo rapidamente grazie a migliori politiche economiche.

Se nel gruppo Appc si osservano i livelli più bassi, relativamente all’Efw, si notano in particolare gli scarsi risultati dell’Ucraina. Tuttavia un tale andamento era prevedibile, considerata la quasi totale assenza di libertà economica del Paese.

La conclusione dell’analisi evidenzia il fatto che i Paesi si sviluppano più rapidamente e producono prosperità, quando seguono il modello del libero mercato, e quando ‘limitano’ gli interventi governativi nei cinque principali settori di sviluppo economico.

OPPORTUNITÀ DI CRESCITA

James Gwartney e Hugo Montesinos sottolineano che è nell’ultimo di questi settori, il contesto giuridico (che comprende aspetti come il diritto di proprietà, lo Stato di diritto e il livello di corruzione statale), che tutti i Paesi dell’Appc presentano seri ritardi. E spiegano: «I Paesi del gruppo Appc […] hanno una grave lacuna: il loro sistema giuridico è debole e ci sono stati pochi progressi in questo campo. E non sorprende, se si tiene conto della loro storia. Sotto il socialismo, il sistema giudiziario è concepito per servire gli interessi del potere. Giudici, avvocati e gli altri funzionari del sistema giuridico sono addestrati e ricompensati per servire gli interessi del Governo. Sotto il regime socialista, la difesa dei diritti di individui, imprese e organizzazioni private, non ha importanza».

Sfortunatamente, benché l’analisi sia fatta, le soluzioni non sono di semplice attuazione: non è facile cambiare decenni e decenni di cultura socialista nell’intera classe politica di una nazione.

 

Daniel J. Mitchell è un economista che vive a Washington, specializzato in politica fiscale

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non corrispondono necessariamente a quelle di Epoch Times

 

Articolo in inglese: What Happens After a Nation Escapes Communism?

Traduzione di Francesca Saba

 
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