Il centenario del Pcc: un secolo di uccisioni e inganni

Di Nicole Hao

Nota dell’editore: alcune parti di questo articolo contengono dettagli espliciti e inquietanti sulla tortura e altri trattamenti degradanti.

 

Fondato nel luglio 1921, per un secolo il Partito Comunista Cinese (Pcc) ha provocato morte e distruzione tra la popolazione cinese.

Armato dell’ideologia marxista della «lotta» come principio guida, il Pcc ha lanciato decine di movimenti contro una lunga lista di gruppi ‘nemici’: spie, proprietari terrieri, intellettuali, funzionari sleali, studenti pro-democrazia, credenti religiosi e minoranze etniche.

In ogni campagna, il presunto obiettivo del Partito è stato quello di creare un «paradiso comunista in terra». Ma più e più volte, i risultati sono stati sofferenza e morte. Nel frattempo, alcuni ufficiali d’élite del Pcc e le loro famiglie hanno accumulato un potere e una ricchezza incredibili.

Gli oltre 70 anni di governo del Partito hanno portato all’uccisione di decine di milioni di cinesi e allo smantellamento di una civiltà di 5.000 anni. E anche se negli ultimi decenni la Cina è progredita economicamente, il Pcc ha mantenuto la sua natura di regime marxista-leninista, deciso a consolidare la sua presa sulla Cina e sul mondo. Milioni di credenti religiosi, minoranze etniche e dissidenti sono ancora oggi violentemente repressi.

Di seguito è riportato un riassunto di alcune delle principali atrocità commesse dal Pcc nei suoi 100 anni di storia.

Incidente della Lega anti-bolscevica

Meno di un decennio dopo la fondazione del Partito, Mao Zedong, allora capo di un territorio controllato dai comunisti nella provincia dello Jiangxi nel sud-est della Cina, lanciò un’epurazione politica dei suoi rivali, nota come l’incidente della Lega anti-bolscevica. Mao accusò i suoi rivali di lavorare per la Lega anti-bolscevica, ovvero l’agenzia di intelligence del Kuomintang, il partito nazionalista che all’epoca era al potere in Cina.

Il risultato fu che migliaia di membri dell’Armata Rossa e del Partito furono uccisi durante l’epurazione.

La campagna di un anno, iniziata nell’estate del 1930, segnò il primo di una serie di movimenti guidati dal paranoico leader, che con il tempo divennero solo più sanguinosi e più vasti. La carneficina di massa durò fino alla morte di Mao nel 1976.

Sebbene non ci siano dati che mostrino esattamente quanti membri del Pcc siano stati uccisi durante la campagna, lo storico cinese Guo Hua ha scritto in un articolo del 1999 che in un solo mese sono stati uccisi 4.400 dei 40 mila membri dell’Armata Rossa, compresi decine di comandanti militari. Nel giro di pochi mesi, il comitato del Pcc nel sud-ovest dello Jiangxi aveva ucciso più di mille dei suoi membri non militari.

Alla fine del movimento, il comitato del Pcc dello Jiangxi ha riferito che l’80-90 per cento dei funzionari del Pcc nella regione erano stati accusati di essere spie e quindi giustiziati.

Secondo l’articolo di Guo, anche i familiari di alti funzionari vennero perseguitati e uccisi. I metodi di tortura inflitti ai membri del Pcc includevano bruciare loro la pelle, tagliare il seno delle donne e infilare bastoncini di bambù sotto le loro unghie.

Il movimento di rettifica di Yan’an

Dopo essere diventato leader del Partito, nel 1942 Mao diede il via al Movimento di rettifica di Yan’an, il primo movimento ideologico di massa del Pcc. Dalla base del Pcc, nella regione montuosa isolata di Yan’an nella provincia nordoccidentale dello Shaanxi, Mao e i suoi fedelissimi impiegarono l’ormai consueta tattica di accusare i rivali di essere spie, allo scopo di eliminare determinati alti funzionari e membri del Partito. In tutto, vennero uccisi circa 10 mila membri del Pcc.

Durante questo movimento, varie persone furono torturate e costrette a confessare di essere spie, secondo quanto ha raccontato Wei Junyi in un libro del 1998: «Tutti erano diventati spie a Yan’an, dagli studenti delle scuole medie a quelli delle elementari», ha scritto Wei, che allora era direttore dell’agenzia stampa del Pcc, Xinhua. «Spie di 12, 11, 10 anni. Ne è stata scoperta persino una di 6 anni!»

Il tragico destino della famiglia di Shi Bofu, pittore locale, è raccontato nel libro di Wei. Nel 1942, i funzionari del Pcc accusarono improvvisamente Shi di essere una spia e lo arrestarono. Quella notte, la moglie di Shi, incapace di affrontare la probabile condanna a morte del marito, si tolse la vita e la tolse anche ai suoi due bambini. Ore dopo, i funzionari trovarono lei e i corpi dei bambini e proclamarono pubblicamente che la moglie di Shi nutriva un «profondo odio» verso il Partito e il popolo, e quindi meritava di morire.

Riforma terriera

Un proprietario terriero cinese viene giustiziato da un soldato comunista a Fukang, in Cina. (Dominio pubblico)

Nell’ottobre del 1949 il Pcc prese il controllo della Cina e Mao divenne il primo leader dell’odierno regime. Mesi dopo, nel primo grande movimento del regime, chiamato Riforma Agraria, Mao mobilitò i contadini più poveri della nazione a impadronirsi violentemente della terra e di altri beni dei presunti proprietari terrieri, molti dei quali erano in realtà solo contadini benestanti. Milioni di persone morirono.

China File, una rivista pubblicata dal Center on Us-China Relations presso l’Asia Society, scrisse che nel 1949 Mao fu accusato di essere un dittatore e lo ammise: «Miei cari signori, avete ragione, è proprio quello che siamo». Secondo Mao, i comunisti al potere dovrebbero essere dittatoriali, contro i «cani da corsa dell’imperialismo», «la classe dei proprietari terrieri e la borghesia burocratica» e i «reazionari e i loro complici», che erano associati all’opposizione del Kuomintang. Naturalmente, erano i comunisti a decidere chi andava qualificato come «cane da corsa», «reazionario» o «proprietario terriero».

Lo storico Frank Dikötter, che ha accuratamente raccontato le brutalità di Mao, spiega: «Molte delle vittime sono state picchiate a morte e alcune sono state colpite con armi da fuoco, ma in molti casi sono state prima torturate per far loro rivelare i loro beni, reali o immaginari».

Il libro del 2019 The Bloody Red Land racconta la storia di Li Man, un proprietario terriero di Chongqing sopravvissuto alla campagna. Dopo che il Pcc è salito al potere, i funzionari hanno sostenuto che la famiglia di Li aveva nascosto 1,5 tonnellate d’oro. Ma non era vero, poiché la famiglia era andata in bancarotta anni prima a causa della tossicodipendenza del padre di Li. Non avendo l’oro da consegnare al Pcc, Li è stato torturato fino a un passo dalla morte: «Mi hanno tolto i vestiti, mi hanno legato mani e piedi a un palo. Poi hanno legato una corda intorno ai miei genitali e hanno legato una pietra ai miei piedi. Poi hanno appeso la corda a un albero e immediatamente il sangue è sgorgato dal mio ombelico», ha raccontato Li.

Li è stato infine salvato da un funzionario del Pcc che lo ha mandato a casa di un medico di medicina cinese. Anche se aveva subito gravi lesioni agli organi interni e ai genitali, Li si considerava ancora fortunato. Altre 10 persone torturate insieme a Li sono tutte morte. E nei mesi successivi, i parenti stretti e la famiglia allargata di Li sono stati torturati a morte, uno dopo l’altro.

Come risultato della tortura, Li, che all’epoca aveva 22 anni, ha perso la sua virilità. Durante i successivi movimenti del Pcc, Li è stato torturato molte altre volte, cosa che alla fine gli è costata la vista.

Grande Balzo in avanti

Una famiglia cinese affamata, data sconosciuta (dominio pubblico)

Mao ha lanciato il ‘Grande Balzo in avanti‘ nel 1958, una campagna di quattro anni finalizzati ad aumentare esponenzialmente la produzione di acciaio del Paese, mentre al contempo l’agricoltura veniva collettivizzata. L’obiettivo, come recita lo slogan di Mao, era «superare la Gran Bretagna e raggiungere l’America».

Ai contadini fu ordinato di costruire forni da cortile per produrre acciaio, lasciando i terreni agricoli in uno stato di grave abbandono. Inoltre, funzionari locali troppo zelanti che temevano di essere etichettati come «ritardatari» fissavano obiettivi di raccolto irrealisticamente alti, e le tasse da pagare erano basate sugli obiettivi, non sui risultati. Di conseguenza, i contadini non avevano più nulla da mangiare dopo aver dovuto consegnare la maggior parte dei propri raccolti come tasse.

Ciò che ne seguì fu il peggior disastro causato dall’uomo nella storia: la ‘Grande Carestia’, durante la quale decine di milioni di persone morirono di fame, tra il 1959 e il 1961.

I contadini affamati contavano su animali selvatici, erba, cortecce e persino caolinite, un minerale argilloso, per sopravvivere. La fame estrema spinse molti al cannibalismo.

Ci sono casi registrati di persone che mangiarono i cadaveri di estranei, di amici o familiari, nonché casi di genitori che uccisero i loro figli per mangiarli e viceversa.

Jasper Becker, che ha scritto il resoconto del ‘Grande Balzo’ in avanti Hungry Ghosts, ha affermato che i cinesi sono stati costretti a impegnarsi, per pura disperazione, nella vendita di carne umana sul mercato e nello scambio di bambini, in modo da non mangiare i propri.

In 13 province, ci sono stati dai 3000 ai 5000 casi registrati di cannibalismo.

Becker sostiene che probabilmente il cannibalismo in Cina alla fine degli anni ’50 e all’inizio degli anni ’60 si è verificato «su una scala senza precedenti nella storia del 20° secolo».

Lo storico cinese Yu Xiguang negli anni ’80 ha trovato una foto d’archivio della sua città natale nella provincia dell’Hunan, che pareva mostrare un uomo di nome Liu Jiayuan in piedi accanto alla testa e alle ossa di suo figlio di 1 anno. Liu alla fine fu giustiziato per omicidio.

Yu in seguito, negli anni 2000, ha intervistato i membri della famiglia di Liu sopravvissuti per verificare la storia. Lo storico ha quindi scritto: «Liu Jiayuan era estremamente affamato. Ha ucciso suo figlio e ha cucinato un pasto abbondante. Prima di finire il cibo, i suoi familiari hanno scoperto il suo crimine e lo hanno denunciato alla polizia. Poi è stato arrestato e giustiziato».

Secondo lo storico Dikötter, autore di La grande carestia di Mao, ben 45 milioni di persone morirono durante il ‘Grande Balzo’ in avanti.

La Rivoluzione culturale

Quadri del Partito Comunista appendono un cartello al collo di un uomo cinese durante la Rivoluzione Culturale, nel 1966. Le parole sul cartello indicano il nome dell’uomo e lo accusano di essere un membro della «classe nera». (Dominio pubblico)

Dopo il catastrofico fallimento del ‘Grande Balzo’ in avanti, Mao sentiva che stava perdendo la presa sul potere, così nel 1966 lanciò la Rivoluzione Culturale nel tentativo di sfruttare il popolo cinese per riaffermare il suo dominio sul Pcc e sul Paese. Creando un culto della personalità, Mao mirava a «schiacciare quelle persone autorevoli che prendevano la strada capitalista» e a rafforzare la sua ideologia, secondo una direttiva dell’epoca.

Nei 10 anni di caos che ne seguirono, milioni di persone sono state uccise o spinte al suicidio dalle violenze autorizzate dallo Stato, mentre giovani zelanti e ideologizzati, le famigerate Guardie Rosse, giravano per il Paese distruggendo e denigrando le tradizioni e il patrimonio culturale della Cina.

È stato uno sforzo dell’intera società, con il Partito che incoraggiava persone di ogni ceto sociale a fare la spia su colleghi di lavoro, vicini, amici e persino membri della famiglia che erano presunti «controrivoluzionari», ovvero chiunque avesse pensieri o comportamenti ‘politicamente scorretti’.

Le vittime, che includevano intellettuali, artisti, funzionari del Pcc e altre persone ritenute «nemici di classe», erano sottoposte a umiliazioni rituali attraverso «sessioni di lotta», incontri pubblici in cui le vittime venivano costrette ad ammettere i propri presunti crimini e a sopportare maltrattamenti fisici e verbali dalla folla, prima di essere arrestate, torturate e mandate nelle campagne per svolgere lavori forzati.

La cultura e le tradizioni cinesi erano un obiettivo diretto della campagna di Mao, volta a distruggere i ‘Quattro vecchiumi’: vecchi costumi, vecchia cultura, vecchie abitudini e vecchie idee. Come risultato, furono distrutti innumerevoli reperti culturali, templi, edifici storici, statue e libri.

Zhang Zhixin, un membro d’élite del Pcc che lavorava nel governo provinciale del Liaoning, è stata una delle vittime della campagna. Secondo un resoconto citato dai media cinesi dopo la Rivoluzione Culturale, nel 1968 una collega aveva denunciato Zhang perché le aveva confidato che non riusciva a capire alcune delle azioni del Pcc. La 38enne è stata quindi reclusa in un centro di formazione dei quadri del Partito locale, dove sono stati detenuti più di 30 mila membri del personale del governo provinciale.

Durante la prigionia, ha rifiutato di ammettere di aver fatto qualcosa di sbagliato e ha sostenuto le sue opinioni politiche. Era fermamente fedele al Partito, ma non era d’accordo con alcune delle politiche di Mao. La Zhang ha sofferto orribilmente mentre i funzionari cercavano di costringerla a rinunciare alle sue opinioni. Le guardie carcerarie hanno usato il fil di ferro per tenerle la bocca aperta mentre le spingevano dentro uno straccio sporco. Le hanno ammanettato le mani dietro la schiena e appeso alle catene un blocco di ferro di circa 18 kg. I funzionari provinciali del Pcc le hanno persino strappato tutti i capelli, e le guardie spesso la facevano violentare da un gruppo di prigionieri maschi.

Zhang ha tentato di suicidarsi ma senza riuscirvi, il che ha indotto i funzionari della prigione a intensificare il controllo. Nel frattempo il marito è stato costretto a divorziare. All’inizio del 1975 Zhang è sprofondata nella follia, e prima di essere fucilata, nell’aprile di quell’anno, le guardie carcerarie le hanno tagliato la trachea perché non potesse più emettere suoni. È morta all’età di 45 anni.

Durante la detenzione della Zhang, il marito e i suoi due bambini piccoli sono stati costretti a rinnegare i propri legami con lei. Dopo aver appreso della sua morte, non hanno nemmeno osato piangere, per paura di essere sentiti dai vicini che avrebbero potuto denunciarli in quanto ‘nutrivano risentimento verso il Partito’.

Il disastroso Movimento si concluse solo nell’ottobre del 1976, meno di un mese dopo la morte di Mao.

Secondo Dikötter, l’eredità della Rivoluzione Culturale va ben oltre la distruzione di milioni di vite umane. «Non è tanto la morte che ha caratterizzato la Rivoluzione Culturale, è stato il trauma», ha dichiarato a Npr nel 2016. «Era il modo in cui le persone si mettevano l’una contro l’altra, erano obbligate a denunciare familiari, colleghi, amici. Si trattava di perdita di fiducia, perdita di amicizia, perdita di fiducia negli altri esseri umani, perdita di prevedibilità nelle relazioni sociali. E questo è davvero il segno che la Rivoluzione Culturale ha lasciato».

Politica del figlio unico

Una piccola orfana cinese in una culla, in un centro di affidamento a Pechino, il 2 aprile 2014. (Kevin Frayer/Getty Images)

Nel 1979, il regime lanciò la ‘politica del figlio unico’, che consentiva alle coppie sposate di avere un solo figlio, in una campagna apparentemente volta a migliorare il tenore di vita frenando la crescita della popolazione. Tuttavia, la politica ha portato a milioni di aborti forzati, sterilizzazioni forzate e infanticidi. Secondo i dati del Ministero della Salute cinese citati dai media statali cinesi, dal 1971 al 2013 sono stati eseguiti 336 milioni di aborti in Cina.

Xia Runying, una abitante del villaggio della provincia di Jiangxi che ha subito la sterilizzazione forzata, ha scritto in una lettera pubblica nel 2013 che la sua famiglia aveva chiesto di posticipare l’intervento a causa delle sue cattive condizioni di salute. Il funzionario locale ha però risposto che la avrebbero operata anche se avessero dovuto legarla con delle corde. Dopo l’intervento ha iniziato a urinare sangue e ad avere mal di testa e di stomaco. Successivamente, è stata costretta a smettere di lavorare.

Il regime ha interrotto la politica del figlio unico nel 2013, consentendo due figli, mentre il 31 maggio di quest’anno ha annunciato che le famiglie sono ora autorizzate ad avere tre figli.

Massacro di piazza Tienanmen

Una ragazza ferita durante lo scontro tra esercito e studenti il 4 giugno 1989, nei pressi di piazza Tiananmen, viene trasportata su un carro. (Manuel Ceneta/Afp/Getty Images)

Quello che era iniziato come un raduno studentesco per piangere la morte dell’ex leader cinese Hu Yaobang, orientato alle riforme, nell’aprile 1989, si è trasformato nelle più grandi proteste che il regime avesse mai visto. Gli studenti universitari che si sono radunati in Piazza Tiananmen a Pechino hanno chiesto al Pcc di controllare la grave inflazione, frenare la corruzione dei funzionari, assumersi la responsabilità delle colpe passate e sostenere una stampa libera e idee democratiche.

A maggio, studenti provenienti da tutta la Cina e residenti di Pechino di tutti i ceti sociali si erano uniti alla protesta. Manifestazioni simili si sono verificate in tutto il Paese.

I leader del Pcc hanno però deciso di non accogliere le richieste degli studenti, e hanno ordinato all’esercito di reprimere la protesta nel sangue. La sera del 3 giugno, i carri armati sono entrati in città e hanno circondato la piazza. Decine di manifestanti disarmati sono stati uccisi o mutilati dopo essere stati schiacciati dai carri armati o colpiti da soldati che sparavano indiscriminatamente sulla folla. Si stima che migliaia di persone siano morte.

Lily Zhang, che era infermiere caposala in un ospedale di Pechino a 15 minuti a piedi dalla piazza, ha recentemente raccontato a Epoch Times lo spargimento di sangue di quella notte. Nelle prime ore del 4 giugno si è svegliata al suono degli spari e dopo aver appreso del massacro si è precipitata in ospedale. È rimasta inorridita quando ha trovato una scena «simile a una zona di guerra». Un’altra infermiera, singhiozzando le ha detto che il sangue dei manifestanti feriti stava «formando un fiume in ospedale». Nell’ospedale di Zhang, almeno 18 persone erano già morte quando sono state portate nella struttura.

I soldati hanno usato proiettili dum-dum, che si espandono all’interno del corpo della vittima infliggendo ulteriori danni, ha detto la Zhang. Molti riportavano gravi ferite e sanguinavano così copiosamente che era «impossibile rianimarli».

Al cancello dell’ospedale, un giornalista gravemente ferito del China Sports Daily, un quotidiano statale, ha raccontato ai due operatori sanitari che lo trasportavano che «non immaginava che il Partito Comunista Cinese avrebbe davvero aperto il fuoco». «Attaccare studenti e gente comune disarmati: che razza di partito è questo al governo?» furono le sue ultime parole, ha ricordato la Zhang.

L’allora leader cinese Deng Xiaoping, che ha ordinato la sanguinosa repressione, è stato citato dal governo britannico per aver detto «duecento morti potrebbero portare 20 anni di pace in Cina», un mese prima del massacro, nel maggio del 1989.

Fino ad oggi, il regime si è rifiutato di rivelare il numero delle vittime del massacro o i loro nomi, e continua a sopprimere pesantemente ogni informazione sull’incidente.

Persecuzione del Falun Gong

Due agenti di polizia in borghese arrestano un praticante del Falun Gong in Piazza Tiananmen a Pechino, il 31 dicembre 2000. (Minghui.org)

Un decennio dopo, il regime ha deciso di compiere un’altra sanguinosa repressione.

Il 20 luglio 1999, le autorità hanno iniziato un’ampia campagna contro i circa 70-100 milioni di praticanti del Falun Gong, una pratica spirituale che include esercizi meditativi e insegnamenti morali incentrati sui valori di Verità, Compassione e Tolleranza.

Secondo il Falun Dafa Information Center, un sito web che raccoglie informazioni relative al Falun Gong, milioni di praticanti sono stati licenziati, espulsi dalle scuole, incarcerati, torturati o uccisi, semplicemente perché si sono rifiutati di rinunciare al loro credo.

Nel 2019, un tribunale popolare indipendente a Londra ha confermato che il regime aveva e continua a effettuare prelievi forzati di organi «su larga scala» e che i praticanti del Falun Gong imprigionati sono «probabilmente la fonte principale» degli organi.

Minghui.org, un sito web che raccoglie testimonianze sulla persecuzione del Falun Gong in Cina, riporta che He Lifang, un praticante del Falun Gong di 45 anni di Qingdao, una città nella provincia dello Shandong, è morto dopo essere stato detenuto per due mesi. I suoi parenti hanno dichiarato che aveva incisioni sul petto e sulla schiena. Il suo viso sembrava sofferente e c’erano ferite su tutto il suo corpo.

Soppressione delle minoranze religiose ed etniche

Per mantenere il suo dominio, il regime del Pcc ha trasferito un gran numero di persone di etnia Han in Tibet, Xinjiang e nella Mongolia interna, dove i gruppi etnici locali hanno proprie culture e lingue. Il regime ha costretto le scuole locali a utilizzare il cinese mandarino come lingua ufficiale.

Quando nel 2008, i tibetani hanno protestato per esprimere la loro rabbia contro il controllo del regime, il Pcc ha schierato la polizia e centinaia di tibetani sono stati uccisi. Dal 2009, più di 150 tibetani si sono autoimmolati, sperando che la loro morte potesse fermare lo stretto controllo del regime in Tibet.

Recinzione perimetrale attorno a quello che è ufficialmente noto come un centro di rieducazione professionale a Dabancheng, nella provincia dello Xinjiang, in Cina, il 4 settembre 2018 (Thomas Peter/Reuters)

Nello Xinjiang, le autorità del regime sono state accusate di aver commesso un genocidio contro gli uiguri e altre minoranze etniche, che include la detenzione di almeno un milione di persone nei campi segreti di ‘rieducazione politica’.

L’anno scorso, il regime di Pechino ha stabilito una nuova politica che imponeva l’insegnamento del solo cinese mandarino in alcune scuole della Mongolia interna. Quando genitori e studenti hanno protestato, sono stati minacciati di arresto, detenzione e perdita del lavoro.

Il regime utilizza anche un sistema di sorveglianza per monitorare i gruppi etnici, tramite telecamere installate nei monasteri tibetani e registrando i dati biometrici nello Xinjiang.

 

Articolo in inglese: CCP at 100 Years: A Century of Killing and Deceit

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