Censura cinese, nuovo duro colpo alle multinazionali dei media

Il governo cinese ha recentemente varato diverse leggi che vietano alle aziende straniere di «pubblicare online»; un provvedimento che potrebbe avere impatti notevoli sia sulle imprese straniere che sui media tradizionali.
La normativa vieta alle società estere e alle imprese cinesi di proprietà straniera di pubblicare online libri di testo, giochi, mappe, cartoni animati, audio e contenuti video; la disposizione restringe ulteriormente le libertà di uno dei sistemi di controllo mediatico più oppressivi al mondo.

Le nuove norme sono state emesse congiuntamente dal ministero dell’Informatica e dall’Amministrazione statale di Stampa, Pubblicazione, Radio, Film e Televisione ed entreranno in vigore il 10 marzo.

REPRESSIONE 

Per più di un decennio, i media stranieri hanno investito in Cina milioni di dollari per creare dei mezzi di informazione per il pubblico cinese. Una volta, i dirigenti aziendali pensavano che stabilire dei legami più stretti con la Cina avrebbe aumentato le probabilità di una sua apertura, sebbene esistesse la censura.
Cinque mesi fa, il leader Xi Jinping aveva dichiarato a Rupert Murdoch, presidente della holding mediatica News Corporation, che la Cina avrebbe «accolto i media stranieri e i corrispondenti per coprire le storie in Cina, mostrando lo sviluppo della Cina al mondo e aiutando il mondo a cogliere le opportunità di sviluppo della Cina». Questo discorso era stato citato da Xinhua, il media di Stato, durante un incontro a Pechino.

In realtà, parlando di presunta apertura dei mezzi di informazione, la verità è che attualmente televisione, stampa e media online cinesi continuano a essere sottoposti a censura. Per fare un esempio, i siti di Bloomberg News, del New York Times e di Thomson Reuters sono tutti bloccati dal Grande Firewall. Anche Murdoch, difensore da lungo tempo della Cina, ha ridimensionato il suo interesse, vendendo quote di maggioranza di tre stazioni televisive cinesi a una finanziaria cinese di private equity.

MAGGIORE CONTROLLO 

Il centro della questione sono il potere e la politica: Pechino è infatti preoccupata che le pubblicazioni online possano avere un impatto sull’opinione pubblica, in particolare nei confronti del Partito Comunista; inoltre, la nuova normativa imporrà anche alle aziende cinesi che intendano produrre contenuti online, di chiedere prima una licenza e tutti i contenuti trasmessi dovranno essere memorizzati sui server presenti in Cina.

Queste norme, in superficie, aumenteranno la portata e le attività della censura nella rete cinese. Ma la questione più importante non è quello che hanno annunciato le autorità cinesi, quanto il modo in cui si applicheranno queste misure; infatti, tutte le restrizioni annunciate esistono già, in una certa misura, all’interno del mercato dei media cinesi: l’annuncio della scorsa settimana serve piuttosto a codificare e consolidare queste regole sotto un unico quadro normativo; in questo modo per Pechino sarà più facile regolare e applicare tali normative.

In passato, le autorità cinesi si fidavano dell’autocensura, e le agenzie governative facevano rispettare le regole in modo selettivo e a loro piacimento (ad esempio: nell’ultimo anno Pechino si è concentrata su giochi e video online).
Tuttavia gli esperti sostengono che internet sia troppo grande per essere controllato: il regime è in guerra non solo contro i media stranieri, ma anche contro l’innovazione tecnologica e soprattutto la natura umana.

NON SOLO MEDIA 

In attesa di conoscere in dettaglio i nuovi regolamenti, l’annuncio di Pechino è di carattere abbastanza generale da rappresentare una sfida per le imprese straniere che non siano solo media. Un concetto che è stato ribadito anche dal National Law Review, una rivista statunitense che scrive articoli giuridici: «Questa attenzione sulla sicurezza nazionale ha implicazioni importanti per le aziende e i governi con interessi attuali o potenziali in Cina».

Tali norme si estendono oltre il semplice controllo su scala nazionale (in questi casi, di solito il regime utilizza un programma quando le sue leggi draconiane vengono criticate) e per le imprese straniere potrebbero determinare la chiusura delle aree del mercato cinese. È una questione che il governo degli Stati Uniti potrebbe sollevare nei prossimi negoziati commerciali con la Cina.

A subire l’impatto maggiore, probabilmente saranno le aziende tecnologiche internazionali. In effetti, i nuovi regolamenti deprimono notevolmente le speranze dei giganti dei social network stranieri, come LinkedIn, Facebook e Twitter, che vorrebbero operare in modo indipendente in terra cinese.

Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore delegato di Facebook, negli ultimi anni ha cercato di corteggiare la Cina, visitandola in numerose occasioni, imparando il cinese e invitando i suoi funzionari statali agli uffici americani di Facebook. Ma questi sforzi non hanno portato buoni risultati.
Inoltre, le nuove disposizioni consentiranno joint-venture esclusivamente con concorrenti locali e progetti specifici con partner cinesi. Quindi, aziende come Facebook dovranno tornare a negoziare, se sperano di entrare liberamente nel mercato in Cina.

E per le imprese che lavorano in Cina da tempo, le sfide saranno ancora più impegnative. Ad esempio Sony e Microsoft, principali produttori di hardware per videogiochi al mondo, potrebbero affrontare contraccolpi notevoli; entrambe le società possiedono infatti negozi e comunità con contenuti fruibili solo da internet. Le nuove regole potrebbero quindi interrompere o rallentare drasticamente lo sviluppo e la vendita di nuove versioni di giochi. Di conseguenza i due colossi, nel rispetto delle nuove normative, potrebbero aumentare le necessità del personale, accrescere i costi e ridurre i margini.

Anche l’attività di Uber sarà condizionata dalle nuove leggi. Il servizio di trasporto automobilistico privato si basa infatti su servizi di mappatura che sfruttano il Gps e sta già subendo una stretta sulla sua applicazione, a vantaggio del rivale cinese Didi kuaidi; sarà quindi interessante osservare il modo in cui le nuove leggi influenzeranno il rilascio e le caratteristiche delle mappe, oltre ai contenuti correlati. Per il momento una cosa è certa: qualsiasi potenziale rallentamento nella distribuzione degli aggiornamenti delle applicazioni di Uber potrebbe influire negativamente sulla sua attività.

Stesso discorso per le società di servizi, tra cui banche, studi legali, società di revisione contabile e aziende che forniscono consulenza su ricerche e rapporti pubblici nazionali. Le imprese e gli investitori locali si affidano a questi servizi, ma non si sa ancora in che modo queste società saranno colpite; forse dovranno sottoporre le proprie relazioni alle autorità di regolamentazione, prima di rilasciarle ai clienti.

A ogni modo, sebbene sussistano ancora diversi dubbi, le intenzioni del Partito Comunista sono chiare: è da lungo tempo che diverse società accusano la Cina di essere parziale nei confronti delle imprese straniere (multe, indagini e cosiddette ‘sanzioni antitrust’), per questo le nuove disposizioni sono solo un’ennesima conferma della politica economica perseguita dal Partito.

In conclusione, le società estere che abbiano in programma una base in Cina dovrebbero stare seriamente in guardia: nonostante sia diventato un luogo comune, oggi più che mai è evidente come anni di investimenti, di ‘manovre di arruffianamento’ e di lavoro con marigini minimi nella speranza di futuri profitti, possano in ogni momento essere spazzati via da un cambiamento di politica a Pechino.     

Per saperne di più:


Articolo in inglese: ‘China’s Publishing Ban Has Far-Reaching Implications

 
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