Il cambiamento climatico offre a Pechino l’opportunità di espandere il suo potere globale

Di Nicole Hao e Cathy He

Secondo un eminente accademico cinese, il regime comunista cinese considera il cambiamento climatico un’opportunità per espandere la sua influenza nel mondo.

Il 27 aprile, Di Dongsheng, preside associato della Scuola di Studi Internazionali all’università Renmin di Pechino, ha scritto nel suo blog che la riduzione delle emissioni globali può aiutare il regime dal punto di vista economico e ha anche un «significato politico». «Può aiutare [noi, ndr] a regolamentare e controllare l’ambiente sociale, politico ed economico».

Secondo Di, il regime dovrebbe assumere un ruolo guida nell’affrontare il cambiamento climatico globale, date le crescenti spaccature tra Pechino e le potenze occidentali su una serie di questioni: «La questione del clima è fondamentalmente l’unico argomento positivo sul quale Cina, Stati Uniti ed Europa possono riunirsi e discutere amichevolmente».

Il professore ha guadagnato notorietà lo scorso anno quando ha messo in luce il ruolo di lunga data di Wall Street nell’influenzare la politica statunitense per conto di Pechino. Secondo la sua biografia online, Di ha lavorato con vari organi del regime cinese, tra cui il Ministero degli Esteri e la Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme.

Il clima è in effetti uno dei pochi problemi che gli Stati Uniti e il regime hanno affermato di poter risolvere insieme, sebbene il loro rapporto più ampio abbia subito forti contraccolpi negli ultimi anni.

Durante il governo Trump, gli Stati Uniti hanno progressivamente rafforzato la loro posizione contro il Partito Comunista Cinese (Pcc) su una serie di fronti, dalle gravi violazioni dei diritti umani di Pechino al furto dilagante di proprietà intellettuale straniera. L’amministrazione Biden si è impegnata a continuare questo approccio intransigente, ma ha ripetutamente affermato di essere anche disposta a cooperare con il regime su interessi condivisi come il cambiamento climatico.

Il leader cinese Xi Jinping, nella sua prima apparizione con il presidente Joe Biden, durante il vertice globale sul clima del mese scorso, ha affermato che il Paese «limiterà rigorosamente» l’aumento del consumo di carbone nei prossimi cinque anni e lo ridurrà nei cinque anni successivi.

La Cina è di gran lunga il più grande utilizzatore di carbone al mondo. Nel 2020, ha incrementato la sua produzione di energia elettrica dal carbone di oltre 38,4 gigawatt (Gw), più del triplo della quantità aggiunta nel resto del mondo. Sono previsti altri 247 Gw di energia a carbone, quasi sei volte l’intera produzione elettrica a carbone della Germania.

Il Paese è anche il più grande emettitore di gas serra al mondo, rappresentando oltre il 27 per cento delle emissioni globali totali. Nel 2019, le emissioni della Cina hanno superato quelle degli Stati Uniti e degli altri Paesi sviluppati messe assieme. Nel 2020, circa il 61 per cento del consumo energetico totale della Cina proveniva dal carbone, secondo i dati ufficiali.

Al vertice, Xi ha anche ribadito l’impegno dello scorso anno di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e di portarle a zero entro il 2060. Tuttavia, parlamentari ed esperti americani dubitano che Pechino manterrà le promesse, ricordando la sua lunga storia di rinnegamento dei suoi impegni.

Un lavoratore cinese cammina tra i moduli solari di un nuovo progetto fotovoltaico per una rete da 100 MW installata a Dunhuang, nella provincia cinese di Gansu, il 21 luglio 2010. (Feng Li / Getty Images)

Raccogliere ricompense

Lo stesso Di Dongsheng ha dichiarato di essere scettico sul fatto che il riscaldamento globale sia effettivamente provocato dall’uomo, definendolo una «falsa teoria». Tuttavia, crede che Pechino dovrebbe cogliere l’opportunità offerta dall’agenda sul clima per diventare un leader mondiale nelle tecnologie verdi.

In tal modo, il regime potrebbe guadagnare economicamente aumentando le esportazioni di tecnologia pulita in tutto il mondo e guadagnando al contempo capitale politico, diventando il Paese «punto di riferimento verde sulle questioni di sviluppo globale».

Il professore ha osservato che il Regno Unito ha guidato la prima rivoluzione energetica al mondo tramite l’uso del carbone, mentre gli Stati Uniti hanno aperto la strada alla seconda rivoluzione energetica sulla scia del petrolio e del gas. Ora, secondo Di, la Cina potrebbe essere il leader nella terza rivoluzione energetica basata sull’energia pulita e «guidare lo sviluppo dell’umanità in una nuova direzione».

«In 10 anni, le imprese cinesi hanno battuto le loro controparti europee nel campo dell’energia eolica e solare. In questi due campi, la capacità di produzione della Cina rappresenta oltre il 60 per cento del totale mondiale», ha aggiunto.

La Cina è il più grande produttore mondiale di turbine eoliche e pannelli solari, ma la sua ascesa ai vertici delle industrie dell’energia pulita è stata alimentata da un’abbondanza di pratiche commerciali sleali che hanno permesso alle aziende cinesi di dominare i concorrenti stranieri sul mercato internazionale, secondo gli esperti.

Un rapporto del 2020 della Information Technology & Information Foundation (Itif) con sede a Washington, afferma che i sussidi governativi del regime sono stati fondamentali per aiutare le aziende cinesi a dominare il mercato globale dell’energia solare nello scorso decennio. Le aziende cinesi hanno svenduto pannelli solari economici in tutto il mondo, sventrando l’industria dei pannelli solari negli Stati Uniti e in altri Paesi. Quando nel 2012 gli Stati Uniti hanno imposto dazi antidumping sui pannelli solari sovvenzionati dal governo cinese, era ormai troppo tardi per salvare gran parte dell’industria nazionale.

Durante la discussione virtuale del 19 aprile, Robert Atkinson, presidente dell’Itif, ha sottolineato che la Cina è un «leader […] nel rubare tecnologie pulite straniere, facendo pressioni su queste aziende per trasferirle [in Cina, ndr] quando non vogliono farlo, e sovvenzionando in modo massiccio società di tecnologia pulita meno innovative in Cina».

Dal canto suo, Di ha anche suggerito che il regime stabilisca politiche di incentivi per incoraggiare le aziende cinesi a convertirsi all’energia pulita, dal momento che la maggior parte delle imprese nel Paese sono inquinatrici seriali e sperperatrici di energia. Ciò porterebbe a un calo significativo delle emissioni, aumentando il prestigio del regime cinese sulla scena internazionale.

Lasciati indietro

Secondo Di, la ricerca della Cina per aumentare l’utilizzo dell’energia pulita avrà un costo per i poveri del Paese. Una larga fetta della popolazione cinese non dispone ancora del riscaldamento in inverno perché l’intera parte meridionale della Cina non è dotata di sistemi centralizzati. Centinaia di milioni di cinesi che non possono permettersi soluzioni di riscaldamento private sono costretti a sopportare inverni freddi.

Se il regime cercherà di ridurre le emissioni, Di teme che il «sogno» della gente di avere il riscaldamento in inverno non si realizzerà per molto tempo.

Di ha ricordato che nella sua città natale di Qidong, nella provincia cinese del Jiangsu, tutte le persone pativano il freddo durante le stagioni invernali, quando le temperature medie scendono sotto lo zero. Qidong si trova alla foce del fiume Yangtze, che attraversa la parte centro-meridionale del Paese.

Sebbene la maggior parte delle persone che vivono nella regione del fiume Yangtze non possano permettersi sistemi di riscaldamento privati, l’economia cinese non è ancora abbastanza forte da supportare l’installazione del riscaldamento centralizzato in tutte queste case, ha concluso Di.

 

Articolo in inglese: Climate Change Presents Opportunity for Beijing to Expand Global Power: Chinese Professor



 
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