Bolsonaro e il futuro del Brasile

L’autore di questo articolo, Fergus Hodgson, è il fondatore e direttore esecutivo dell’Antigua Report, una rivista che si occupa di America Latina. Collabora anche con la Gold Newsletter ed è un ricercatore presso il Frontier Centre for Public Policy.

 

Il Brasile non ha bisogno di essere il ‘Paese del futuro‘: la sua crescita potrebbe verificarsi nell’immediato. Le piaghe di lunga durata come il mercantilismo, la corruzione e la centralizzazione non sono scolpite nelle pietra, e spezzare il loro circolo vizioso e liberare l’economia dovrebbe essere la priorità numero uno per il presidente Jair Bolsonaro.

Il neo presidente ha il piano giusto e le persone adatte per la nazione più estesa e popolosa dell’America Latina. Come ha spiegato a gennaio durante il World Economic Forum, Bolsonaro ha intenzione di ridurre la pressione fiscale e semplificare le normative – garantendo contemporaneamente la stabilità economica e lo Stato di diritto – rendendo così più facile la vita a produttori, imprenditori e investitori. Ha inoltre intenzione di far rientrare il Brasile tra le prime 50 nazioni al mondo in termini di libertà economica.

La ‘battaglia’ si svolgerà nel Congresso Nazionale (il parlamento del Brasile), dove Bolsonaro dovrà rafforzare e stringere nuove alleanze in modo da poter varare le ampie riforme che il Paese attende da molti anni.

Privatizzazione

Il primo gennaio Bolsonaro, capitano dell’esercito in pensione e membro veterano del Congresso, si è insediato con un chiaro mandato da parte dei propri elettori: combattere il crimine, la corruzione e la stagnazione dell’economia. Ufficialmente il Paese è uscito dalla peggiore recessione di sempre alla fine del 2017, tuttavia la crescita è rimasta fievole, e sembra destinata a rimanere al di sotto della media dei mercati emergenti fino al 2020. La disoccupazione si aggira intorno all’11,6 percento, e ogni anno avvengono circa 25 omicidi ogni 100 mila abitanti, una delle percentuali più alte al mondo.

Bolsonaro ha promesso di fare quello che i Chicago Boys hanno fatto per il Cile: liberalizzare e ridimensionare lo Stato brasiliano, ormai divenuto emblema di inefficienza e spreco. A condurre le danze sarà Paulo Guedes – un economista formatosi all’Università di Chicago che ha insegnato all’Università del Cile negli anni ‘80 – che in qualità di ministro dell’Economia intende tagliare il massiccio debito pubblico del Paese, che sta aumentando ogni anno a un ritmo esorbitante.

Le misure già collaudate presenti sul tavolo – come nel caso del grande successo del Cile – includono la riduzione delle tasse e la semplificazione, l’abbassamento delle imposte doganali, e nuovi trattati commerciali. Solamente a livello federale, il Brasile possiede 138 aziende statali, molte delle quali hanno debiti superiori al proprio patrimonio.
Guedes vorrebbe cedere ai privati almeno un centinaio di aziende, recuperando circa 214 miliardi di dollari. Il presidente nel frattempo ha già firmato un decreto per avviare una serie di concessioni trentennali a privati (23 infrastrutture tra aeroporti e porti navali) che dovrebbero portare nelle casse dello Stato un totale di 935 milioni di dollari.

Gli aspetti più delicati del programma

Affinché l’impresa abbia successo, Bolsonaro e la sua squadra dovranno seguire i consigli di Alvaro Vargas Llosa, autore peruviano del libro Liberty for Latin America, e affiancare il processo di privatizzazione all’aumento della competitività dei mercati. Infatti, se queste imprese pubbliche fossero vendute a condizioni eccessivamente favorevoli  sarebbero probabilmente destinate a divenire delle imprese private ugualmente inefficienti, come è accaduto in tutta l’America Latina negli anni ‘90.

Per quanto riguarda la criminalità, Bolsonaro ha promesso che avrebbe reso meno severa la legge sul porto d’armi, e in effetti ha già eliminato alcune restrizioni in materia. Ha intenzione di dare alle forze dell’ordine maggiore libertà di azione nell’utilizzo della forza letale e di abbassare l’età a cui i minori, spesso ingaggiati dalle bande criminali, possano essere processati. Quest’ultima riforma potrebbe tuttavia avere degli effetti collaterali, poiché le carceri brasiliane sono tristemente note per essere sovrappopolate e violente. I detenuti sono triplicati dal 2000, e oltre un terzo di loro sono in attesa di essere processati.

Uno degli elementi chiave dietro la violenza è la guerra territoriale tra i cartelli della droga. Fino ad oggi Bolsonaro si è dimostrato restio ad appoggiare la timida liberalizzazione delle droghe che ha iniziato il proprio iter all’interno del Congresso. Diverse nazioni offrono degli esempi imperfetti ma utili a riguardo, come il Canada e l’Uruguay, secondo i quali la liberalizzazione può far diminuire la violenza.

Per contrastare la corruzione, Bolsonaro ha nominato un giudice dalle credenziali impeccabili a capo del Ministero della Giustizia, Sergio Moro, che è considerato un eroe da molti brasiliani, in quanto ha messo messo dietro le sbarre alcuni tra i politici e gli imprenditori più potenti del Brasile nell’ambito della cosiddetta Operazione Autolavaggio. Tra questi c’era anche Lula da Silva, l’ex presidente socialista (2003-2011) che ha tentato di partecipare alle elezioni contro Bolsonaro.

Sebbene quella di Moro possa sembrare un’operazione politica, essa è avvenuta nel rispetto della legge e quindi al giudice ora ministro dovrebbe essere consentito di continuare a svolgere il proprio lavoro. Tra le sue varie iniziative, Moro ha scritto un disegno di legge che include pene più severe per il reato di corruzione e limita le possibilità dei ricorsi in appello.

Una forte opposizione

Diversamente dal Cile di Pinochet, le riforme di Bolsonaro saranno fortemente osteggiate dagli enormi sindacati, dai partiti di opposizione e dalla stampa. Nonostante la vittoria alle ultime elezioni, il suo partito è riuscito infatti ad assicurarsi solamente 52 seggi alla camera brasiliana (su 513) e 4 al senato (su 81): questo significa che dovrà necessariamente scendere a compromessi e annacquare le proprie proposte se vuole che vengano approvate.

Quando il 19 febbraio il nuovo disegno di legge anti-corruzione e anti-criminalità è stato sottoposto all’esame del Parlamento, è stato infatti indebolito, nella strategia contro i fondi neri, oggetto di grande dibattito. Quella dei fondi neri è una pratica ampiamente diffusa in Brasile e almeno 17 parlamentari sono sotto processo per imputazioni ad essa legate; già nel 2016 era stato proposto un disegno di legge simile, che però non è stato mai approvato.

Anche per le privatizzazioni sarà necessaria l’autorizzazione, caso per caso, del Parlamento. Un esempio emblematico è la vendita della società elettrica Eletrobras che è stata posticipata al 2020, il che mostra la riluttanza della classe politica a cedere i beni statali.

Tuttavia, tutti sono d’accordo sul fatto che il Brasile abbia bisogno di sistemare i propri conti, ed è su questo aspetto che dovrebbe concentrarsi Bolsonaro per ottenere grandi risultati economici. Nel 2016 ad esempio, il Congresso ha varato un emendamento costituzionale che essenzialmente ha congelato le spese del governo per 20 anni.

In questo tortuoso labirinto di compromessi per adempiere al proprio mandato, Bolsonaro dovrà inevitabilmente stabilire alcune priorità e tenere a freno la lingua, altrimenti rischierà di allontanare alcuni dei potenziali alleati. Sebbene i brasiliani lo abbiano eletto in opposizione al Partito dei Lavoratori, il presidente non dovrebbe credere erroneamente di avere carta bianca, nel suo scagliarsi contro le politiche sociali che potrebbero minare il futuro dell’economia brasiliana.

 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

Articolo in inglese: Bolsonaro’s Agenda Is What the Doctor Ordered for Brazil

 
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